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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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30 MARICLA BOGGIO<br />

Se Fersen era partito, per i suoi esercizi, dal metodo Stanislavskij, e<br />

forse lo aveva in qualche modo applicato, non vi si era fermato a<br />

lungo. Non gli piaceva quell’eccesso di naturalismo che riteneva<br />

potesse avere senso per un Cecov inteso soltanto in tale dimensione,<br />

ma non quando si superasse il clima di una quotidianità vissuta realisticamente.<br />

Voleva andare più in profondità. Con il mnemodramma ci<br />

andò, ma i risultati di tale sperimentazione rimasero quasi del tutto<br />

come un lavoro di approfondimento dell’impegno dell’attore; il salto<br />

dal mnemodramma al testo, a quanto io ne abbia ricercato prove, non<br />

avvenne. Ci furono due spettacoli che dal mnemodramma attinsero<br />

risultati accantonati in mesi di lavoro con un gruppo di attori. Si trattò<br />

di “Diavolerie” rappresentato a Spoleto nel 1967 e di “Leviathan” ancora<br />

a Spoleto nel 1974. Ma lo stesso Fersen dichiarò che si trattava<br />

soprattutto di esercizi derivanti da lunghi e ripetuti momenti di laboratorio.<br />

In essi apparivano azioni legate all’uso di materiali che via via<br />

si trasformavano – come i bastoni del primo, che diventavano fra le<br />

agili mani degli attori oggetti via via sempre diversi – oppure si manifestavano<br />

attraverso momenti collettivi di forte intensità emotiva che<br />

offrivano agli spettatori immagini sorprendenti. Ma l’utilizzazione del<br />

mnemodramma per arrivare a interpretare un testo non avvenne. Era<br />

lo stesso mnemodramma, io credo, a costituirsi come elemento purificatore;<br />

l’interpretazione del testo era poi cosa che veniva realizzata<br />

secondo criteri e suggerimenti relativamente tradizionali. L’innovazione<br />

consisteva nella purificazione interiore dell’attore, avvenuta in precedenza<br />

e vissuta come liberazione implicita.<br />

Va anche osservato che pur non consapevolmente, ma attraverso<br />

scelte apparentemente casuali – ad esempio la “Lea Lebowitz” con le<br />

scene e i costumi di Luzzatti, inventata per colpire, con l’interesse della<br />

novità, loro ancora sconosciuti, il mondo del teatro –, Fersen andava<br />

recuperando una tradizione ebraica, che vedrà nascere successivamente<br />

“Golem” e “Leviathan”. A sua volta Costa, fin dalla sua formazione<br />

operata attraverso Silvio D’Amico e poi Jacques Copeau, tendeva<br />

ad un recupero di origini cristiane, sia attraverso rappresentazioni<br />

riprese in anni successivi, delle “Laudes”, sia poi del “Poverello” di<br />

Copeau e di “Assassinio nella Cattedrale” di Eliot, fino ai drammi di<br />

Ugo Betti e di Diego Fabbri, ma anche in un sentire sempre attento alla<br />

spiritualità dell’uomo.

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