IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla
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<strong>IL</strong> RECUPERO DI UNA COMUNITÀ SMEMBRATA 25<br />
chiama “angoscia”, e che si verifica in chi è dentro all’esercizio come<br />
una scoperta di ancestrali memorie, non quindi ricordi, ma scoperte di<br />
qualcosa di “altro da sé”.<br />
È qui che Fersen richiama dolcemente il ragazzo, sottraendolo a<br />
quella sorta di ipnosi, ma con un tono di voce suadente e sereno, che<br />
impone senza trauma all’allievo di riemergere da una sorta di situazione<br />
di discesa “ad infera” da lui sostenuta. Ecco allora che con un piccolo<br />
scatto quasi a saltare fuori da un recinto, il ragazzo sbatte ancora<br />
gli occhi, si scrolla tutto e poi si guarda intorno, fermando lo sguardo<br />
al Maestro, fino a sorridergli. “Bene – dice Fersen con garbo –. Come<br />
ti senti?”. “Benissimo – replica il ragazzo, quasi stupito di quella domanda<br />
–. Perché?”. È evidente che non ricorda nulla di quanto ha vissuto;<br />
risponde franco, senza il sospetto di aver vissuto qualcosa di cui<br />
non ha memoria.<br />
Questo genere di esperimenti, Fersen credo li provasse qualche<br />
volta per indurre un soggetto ad aprirsi senza forzature psicologiche o<br />
scavi nella personalità indotti da comandi razionali, per rendere l’attore<br />
più duttile e pronto a recepire, quando si fosse trovato ad affrontare<br />
un personaggio, ogni possibile sfumatura di una personalità differente<br />
dalla sua.<br />
Da parte di Fersen era, quello con l’individuo singolo, un passo iniziale<br />
verso una sorta di liberazione espressiva che andava poi allargandosi<br />
e arricchendosi di ulteriori applicazioni, al di là del proprio<br />
recinto interiore, attraverso gli altri “gradini” del mnemodramma, che<br />
fidando già in una prima fase di “liberazione” si libra a sollecitare la<br />
fantasia creativa attraverso l’uso di uno strumento, preso al di là di una<br />
sua valenza concreta – bastone, sedia, palla ecc. – come elemento di<br />
appoggio al proprio immaginare.<br />
Questo procedimento richiama un po’ quello che anni dopo ha sperimentato<br />
Peter Brook usando una sedia e soltanto una sedia sulla<br />
scena nuda: trono, cavallo, strumento di contenzione, albero, nave,<br />
tutto al di fuori che sedia, e di questo ha scritto indicando la suggestione<br />
infinita derivante dalla povertà dell’oggetto, mentre l’oggetto preciso<br />
relativo ad una scenografia non fa che imprigionare l’immaginazione<br />
a quanto l’occhio vede, con pigrizia, pretendendo altro e altro ancora<br />
ad ogni nuovo susseguirsi di azioni. Agendo singolarmente, gli allie-