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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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196 ALESSANDRO FERSEN<br />

giche, il teatro ha dimenticato di essere in origine un atto di conoscenza:<br />

esso coltiva ormai altri valori. La fruizione «artistica» dello spettacolo<br />

è il corollario grazioso di una cultura che ha perso il contatto<br />

con le proprie radici. La funzionalizzazione dell’evento teatrale a<br />

ragioni politiche contingenti, inefficace sul piano pratico, travisa<br />

anch’essa il senso del teatro come «polis» interiore. Le interpretazioni<br />

terapeutiche e psicoterapeutiche rischiano di circoscrivere il teatro<br />

nell’area del patologico.<br />

Il teatro invece è un atto di fondazione ontologica. È un rituale<br />

porsi nel mondo ed è una definizione di questo posto nel mondo. È la<br />

scelta culturale di un destino. Quando il teatro perde queste sue<br />

connotazioni originarie, comincia l’alienazione teatrale: lo spettacolo,<br />

la pompa, la strumentalizzazione, il divertimento. L’originaria «necessità»<br />

si sfilaccia nel superfluo: di questa superfluità il teatro giunge a<br />

compiacersi.<br />

Il destino è nelle origini 16 : trent’anni fa intitolavo così uno dei miei<br />

primi scritti in tema di teatro. Più che una visione, era il presentimento<br />

di una visione delle cose teatrali. Una lunga esperienza di vita scenica<br />

e di laboratorio teatrale mi riconducono coerentemente a quella<br />

lontana formulazione.<br />

Non si può conoscere la natura di un evento culturale, se si ignora<br />

la sua genesi; non si può prescindere dai suoi canoni originari, se si<br />

vuole operare per la sua presenza vivente.<br />

16 Il destino è nelle origini (in «Sipario», 50, 1950) è stato il terzo dei miei tre brevi<br />

saggi scritti nel 1950 che anticipavano, sia pure in forma ancora generica, quelle che<br />

sarebbero state le impostazioni teoretiche dello Studio Fersen. Gli altri due saggi erano:<br />

Teatro inattuale (ivi, 46, 1950) e Il teatro salvato dal cinema (ivi, 48, 1950). All’epoca<br />

suscitarono qualche vivace polemica, in particolare quella con S. D’Amico (cfr. «Il<br />

Tempo», 16 marzo 1950 e «Sipario», 48, 1950).

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