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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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<strong>IL</strong> DESTINO È NELLE ORIGINI 189<br />

affinità con un canovaccio rituale; che ponga attenzione alla vera natura<br />

dell’attore, misconosciuta e manomessa dall’obbligo dell’interpretazione;<br />

che, ricorrendo ad antichi stimoli, sia in grado di suscitare la<br />

sua creatività originale. Una drammaturgia al servizio dell’attore, non<br />

un attore al servizio della drammaturgia.<br />

Un insieme festivo<br />

Un progetto teatrale che codifichi – ma con saggezza antica! – i<br />

comportamenti profondi dell’attore e sia dunque ispirato a un’estrema<br />

parsimonia di segni scritturali e a un’organica indicazione di stimoli<br />

significanti: questa è la prospettiva culturale che emerge dalla sperimentazione<br />

del mnemodramma. Il nuovo codice linguistico, articolato<br />

in simboli condivisi, scatena una decodificazione partecipante da<br />

parte della collettività che assiste. La figura tradizionale dello spettatore<br />

dilegua, dilegua l’antiquato concetto di spettacolo. La massa<br />

amorfa del pubblico che spectat si struttura spontaneamente in<br />

quell’«insieme» teatrale, alla cui ricerca si è mossa questa meditazione.<br />

Penetriamo nell’ambito arcaico e glorioso della Festa.<br />

A Cocullo, a Rajano, a Pierno, a Tricarico, ad Avellino, a Ostuni, a<br />

Barile, a Madonna dell’Arco, i pellegrini, che affluiscono da paesi e<br />

regioni vicine, portano ognuno con sé il fardello doloroso di un anno<br />

di privazioni, di malattie, di angosce. Ma il «privato» individuale, che<br />

viene a cercare sollievo e miracolo, si scioglie nella coralità del soffrire<br />

e nel successivo riscatto della speranza. Il singolo riversa le incertezze<br />

individuali nella certezza collettiva. Affida l’espressione di sé a<br />

quella comune espressione che è il rito. L’individualità raggrinzita in se<br />

stessa come i volti di questa arcaica gente della campagna e della montagna<br />

comincia ad alitare, si dilata. In una compenetrazione reciproca<br />

le singole presenze si ricostituiscono in corpo sociale teatralmente<br />

vivente. Il teatro recupera qui le radici della propria identità smarrita 3 .<br />

3 C. Kerenyi (Miti cit., pp. 140-3) nota che le denominazioni delle feste greche<br />

hanno spesso una comune radice: Antesteria (feste di Dioniso Anthester, quale dio<br />

della fioritura), Lampsteria, Plynteria, Kallynteria, Anakalupteria, Mysteria (che,<br />

contrariamente alla valenza misteriosa assunta dal termine, sono le feste del myste eleusino,<br />

dell’iniziato). Tale radice comune è Sotèr che significa Salvatore. Le feste si svol-

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