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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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<strong>IL</strong> DESTINO È NELLE ORIGINI 187<br />

(proprio o altrui). Nell’attuale vacanza drammaturgica il regista si autoelegge<br />

mejercholdianamente autore dello spettacolo. Il suo potere teatrale<br />

diventa strapotere. Egli non disdegna l’attributo di demiurgo.<br />

Demiurgo o chirurgo? La sua stessa presenza è il segno di uno stato<br />

patologico della vita teatrale. È questa situazione che lo ha procreato:<br />

gli si chiede di sanarla. Egli opera col bisturi, applica ricette miracolose.<br />

Ma sbaglia, o elude, la diagnosi essenziale. Il suo punto debole<br />

sta nel tentativo di sostituirsi all’attore sulla scena: vuole diventare il<br />

protagonista dell’evento. Segno di una cattiva conoscenza del mezzo<br />

di espressione che egli si trova a maneggiare. Invece di approfondire<br />

il senso e le modalità della vita teatrale, il regista si piazza da protagonista<br />

in palcoscenico e recita le sue geniali invenzioni. L’attore per lui<br />

è solo uno strumento per la realizzazione della sua idea (l’attore è<br />

ormai il servo di due padroni…). E su quale materia egli esercita questa<br />

sua attività creativa? Sul repertorio della vecchia tradizione.<br />

Su questo terreno ripetutamente dissodato si sbizzarriscono le<br />

interpretazioni, le manipolazioni, i rifacimenti, le attualizzazioni, le trasposizioni,<br />

le dissacrazioni, le contaminazioni operate dai nuovi signori<br />

della scena. Una situazione paradossale e, in definitiva, sterile. È<br />

grave che una cultura viva di interminabili variazioni su temi di altri<br />

tempi. Questo non è un teatro moderno, non è un teatro creativo.<br />

Riconosciuta la necessità di un’attenta cura verso il teatro di tradizione,<br />

un’epoca deve pure esprimere suoi contenuti in una lingua che sia<br />

sua. Ricamare, sia pure genialmente sul passato, può essere uno spunto<br />

per fruizioni di alto livello scenico. Ma è atteggiamento che non si<br />

sottrae al sospetto di un parassitismo culturale, che riduce il teatro a un<br />

cerimoniale infecondo.<br />

I registi vengono allora accusati di abuso: li si incolpa dei mali di<br />

cui soffre il teatro. Li si vuole cacciare dal Tempio. Cacciati, il Tempio<br />

resterebbe vuoto come prima.<br />

Compito del teatro, pensava Artaud, è la creazione di miti: una prerogativa<br />

che il teatro non può cedere impunemente al cinema (oggi<br />

diremmo alla televisione) 2 .<br />

2 II monito è contenuto nel secondo manifesto del «Teatro della crudeltà»: il quale<br />

«non intende lasciare al cinema il compito di svelare i Miti dell’uomo e della vita moderna»<br />

(A. Artaud, Il teatro cit., p. 193). Ma in uno scritto postumo (Il teatro è inizialmente<br />

rituale e magico…, in Oeuvres cit., V, p. 18) l’alternativa sembra già svuotata di ogni

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