IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla
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DELL’INTERPRETAZIONE 181<br />
Ibridi in scena<br />
Dell’interpretazione si usa dire che essa è un incontro a mezza strada<br />
fra la personalità dell’attore e il personaggio delineato dalla scrittura<br />
drammaturgica. Da quell’incontro nasce il Personaggio scenico,<br />
un’entità nuova. L’interpretazione, dunque il Personaggio, varia in funzione<br />
della personalità specifica dell’attore che interpreta.<br />
Ma questa ambigua operazione psico-drammaturgica va ormai<br />
interpretata, a sua volta, in chiave mnemodrammatica e antropologica.<br />
Essa muove da due distinte realtà. C’è un personaggio letterario, realizzato<br />
in forma drammatica, e c’è l’attore con una sua ascendenza culturale<br />
di qualità dionisiaca, sciamanica, verificata nella sua memoria<br />
mitica. Su questo ceppo vivente viene innestato il personaggio scritto.<br />
Sulle radici che alimentano l’espressione personale dell’attore viene<br />
impiantata un’ipotesi di vita totalmente estranea. Il testo è prescelto<br />
dal regista o dall’impresario o dal direttore del teatro: l’attore accetta il<br />
ruolo e viene scritturato. Collabora attivamente a quell’operazione di<br />
chirurgia scenica. L’attore, antica stirpe, si presta alla manomissione<br />
interiore. Segue una fase operativa, le prove: l’attore «prova» a diventare<br />
l’altro... Si spersonalizza per impersonare. L’innesto attecchisce.<br />
L’attore ha fatto suo il personaggio del testo.<br />
Si smorzano le luci, si scostano le porpore di velluto. Chi è di<br />
scena? Un ibrido. Ibridi sono queste creature che si muovono sui<br />
nostri palcoscenici, nate da una violenza culturale esercitata sull’io<br />
autentico dell’attore. Il quale mena ormai una vita anfibia. Non senza<br />
strazio. La conflittualità fra l’io e l’intruso si compone con un compromesso.<br />
Con un’accettazione. Con una rinuncia. Con una rivincita.<br />
E la simbiosi diventa una seconda natura. Di qui le oscillazioni del<br />
sistema tripolare.<br />
Piegato a una servitù inconsapevole, l’attore perde il senso della<br />
sua identità originaria. Perde la vocazione alla creatività autonoma:<br />
come un animale ridotto a domesticità, non saprebbe che farsene di<br />
una libertà completa. Senza il soccorso di un testo drammaturgico si<br />
sente perduto: non «ha niente da dire» – o lo crede. Si aggrappa a questa<br />
sua identità, fatta di due mezze identità. Diventa un cacciatore di<br />
personaggi: ne scopre che sono più affini al suo «temperamento», alla<br />
sua configurazione fisica e psichica. Sceglie, se può, quelli per facilitare<br />
l’innesto, per favorire la resa scenica.