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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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180 ALESSANDRO FERSEN<br />

Siamo così in presenza di varie civiltà teatrali, che, pur emancipandosi<br />

dal rito e alimentandosi di una drammaturgia autonoma, restano<br />

omogenee alle proprie matrici culturali. Lo straordinario impatto che<br />

uno spettacolo Nô o uno spettacolo Kathakali esercitano sul pubblico<br />

occidentale non è dovuto all’esotismo della rappresentazione o alla<br />

magnificenza dell’apparato scenico: si sprigiona da questi teatri una<br />

potenza di comunicazione a noi sconosciuta. Non è un’opera drammaturgica<br />

che viene da noi recepita, ma una visione collettiva del<br />

mondo. Anche noi – «spettatori»... – veniamo cavalcati dal dio. Quanto<br />

all’attore, egli si muove nel proprio medium culturale: non aliena la<br />

propria identità per assumerne un’altra a lui eterogenea. È semmai<br />

l’autore che accetta qui il ruolo d’interprete: egli media fra una cultura<br />

di base e le mutate condizioni in cui si situa la sua attività drammaturgica.<br />

Unico parallelo possibile in Occidente è quello di certi teatri legati<br />

a una particolare etnia o a forme idiomatiche di vita teatrale. L’Habimah,<br />

il famoso teatro ebraico di Mosca, che, sotto la direzione geniale<br />

di Vachtangov, soggioga le platee occidentali, attinge al fondo di una<br />

tradizione culturale ricca di ritualità, quale è quella yddisch<br />

dell’Europa orientale. La storia del Dybuk è una storia di invasamento:<br />

come avviene nel Nô, è un morto che possiede l’anima di una fanciulla,<br />

sua fidanzata in vita, e parla per sua bocca, fino a quando essa non<br />

viene esorcizzata dai rabbini della Comunità. Il dramma di An-Sky è un<br />

esempio di teatro coerente con la sua matrice mitico-rituale.<br />

Anche in forme epigonali di civiltà teatrale quali sono i teatri in dialetto<br />

– assente ormai ogni contatto con le origini rituali – la drammaturgia<br />

opera in un clima culturale da cui non le sono consentite evasioni.<br />

Le invenzioni dell’autore restano organiche all’idioma, ai costumi,<br />

al destino del gruppo etnico-sociale. Il pubblico recepisce lo spettacolo<br />

senza avvertire la mediazione drammaturgica. L’attore esprime<br />

con le parole del testo comportamenti che gli sono connaturati: non<br />

compie sforzi innaturali per appropriarsi del ruolo. Quanto è più agevole<br />

recitare in dialetto che in lingua! Il grosso attore dialettale, quando<br />

recita in lingua, sbiadisce...<br />

Poi il cordone ombelicale che lega il teatro rituale alla sua matrice<br />

si assottiglia. Si spezza. La drammaturgia diventa un’operazione mentale.<br />

Nasce fra quattro pareti.

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