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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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<strong>IL</strong> GESTO E <strong>IL</strong> SUO SEGNO 157<br />

serie di azioni simboliche, di allusioni gestuali, che riattualizzano un<br />

passato mitico. Il «gesto» nella sua accezione più ampia – mimica, voce,<br />

musica – ha qui il valore semantico e la necessità che gli derivano dalla<br />

sua etimologia. È «gesto» di un evento, dunque, di un passato trasfigurato<br />

dalla memoria.<br />

Esso non va dunque confuso con la cosiddetta «gestualità» teatrale<br />

(in cui la moda ha coinvolto anche Artaud), intesa come linguaggio dei<br />

corpi: in questa diversa accezione la gestualità fisica non può e non<br />

deve essere se non il segno esteriore dei gesti immateriali che si tracciano<br />

nel grembo della memoria mitica.<br />

La dissoluzione dei simboli<br />

Il linguaggio della memoria mitica vige in quelle società primitive<br />

che si situano all’interno di un orizzonte culturale unitario e che sono<br />

affratellate da un patrimonio simbolico comune. I grandi miti di fondazione,<br />

che spiegano le origini del mondo e del clan, dettano «gesti»<br />

rituali, idonei a riattualizzare quei supremi eventi delle origini – le<br />

«gesta» degli eroi fondatori – nell’interiorità collettiva. E aprono la via a<br />

un’esperienza, comunitaria che si pone alle origini del teatro.<br />

Nella presente frantumazione del nostro orizzonte culturale (se n’è<br />

accennato introducendo il discorso sul mnemodramma) questa comunicazione<br />

profonda non è possibile. Non c’è «gesto» che ci riconduca a<br />

una mitologia comune: i nostri «gesti» sono mutilati. Ecco la nuova diagnosi<br />

che scaturisce da queste riflessioni. Nella superficialità di un’e-<br />

incontro fra le due dee. C. Kerenyi nega nettamente questa possibilità: «Lo stato di fatto<br />

archeologico depone decisamente contro l’ipotesi di un palcoscenico misterico sia nel<br />

telesterion sia al di fuori di esso» (G. C. Jung e C. Kerenyi, Prolegomeni allo studio<br />

scientifico della mitologia cit., p. 202), ma ammette, poco oltre, la possibilità che, nel<br />

corso del rito, fossero presentate delle figurazioni molto stilizzate riconducibili alle «più<br />

arcaiche danze dei cori tragici». G. Colli non esclude la possibilità di considerare il rituale<br />

eleusino come «una rappresentazione, un dramma mistico, che faceva rivivere in<br />

forma prevalentemente mimica, la sacra storia di Demetra e di Core» (La Sapienza cit.,<br />

I p. 31). Forse il termine exorcheisthai, che indica il modo in cui i segreti misterici potevano<br />

essere traditi, e significa alla lettera un palesare all’esterno delle movenze orchestiche,<br />

cioè danzate, depone a favore non di una rappresentazione vera e propria, ma<br />

della presenza di un’azione gestuale di carattere simbolico nel contesto eleusino.

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