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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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152 ALESSANDRO FERSEN<br />

durata e le aeree traslazioni nello spazio raggrumano in uno specchio<br />

concavo le forme «storiche» del divenire.<br />

Nell’orgia della sua momentanea vittoria sul tempo, la Memoria<br />

mitica non conosce freni. La sua avidità di vita presente la porta a «ricominciare<br />

da capo» la recita degli eventi. Nello spazio onirico l’accaduto<br />

non esiste: la Memoria acceca gli occhi che conoscono il futuro dell’accadimento<br />

e l’iterazione è risentita come un inizio. Quando nei riti<br />

primitivi vengono rievocati «i tempi delle origini» 9 , tempi di fondazione<br />

del mondo e del rito, forse è proprio un comportamento immemore<br />

come questo che presiede alle antiche cerimonie: non una ripetizione<br />

consapevole, pur accompagnata da partecipazione emozionale.<br />

Forse anche allora, come nel mnemodramma, tutto ricomincia veramente<br />

da capo.<br />

Ma gli eventi e le visioni giocati in questa dimensione sono astratti.<br />

Le azioni non incidono sul reale, le visioni non corrispondono ai dati<br />

della vista. La memoria mitica si esprime per simboli e non per fatti:<br />

penetriamo in un’area in cui la comunicazione avviene per via di allusioni.<br />

Lo spazio onirico è dunque uno spazio rituale: in esso gli eventi<br />

sono incorporei, le azioni senza conseguenza 10 .<br />

9 La narrazione dei miti d’origine è una componente di tutti i rituali primitivi, ma<br />

anche di quelli evoluti: essa ha il potere di attualizzare gli eventi verificatisi illo tempore,<br />

i quali dunque tornano a prodursi nel corso della narrazione e del rito. Analizzando<br />

l’importanza culturale della narrazione delle «storie sacre» presso le popolazioni melanesiane<br />

delle isole Trobriand da lui lungamente studiate, Malinowski rileva come non<br />

si tratti di un «racconto ozioso», né di un’«esplicazione intellettuale», né di una «fantasticheria<br />

artistica», bensì di una «funzione», di un «ingrediente vitale» del rito. Il mito è una<br />

«realtà vivente» che, dai tempi delle origini, continua a influenzare il mondo e i destini<br />

umani (B. Malinowski, Myth and Primitive Psychology, in Magic, Science and Religion,<br />

New York, 1954, pp. 100-1). In opposizione al «funzionalismo» di Malinowski, che s’inquadra<br />

nella lunga «querelle» antropologica sulla natura e sulla collocazione culturale<br />

del mito, si cita qui, a titolo esemplificativo, la concezione di Jensen che ipotizza un<br />

Erlebnis originario, il quale si pone alla radice di ogni formazione mitica e culturale: si<br />

tratta dunque di un’esperienza vivente e disinteressata, di un Weltbild, di una visione<br />

del mondo, che è la matrice della mitopoiesi. L’ipotesi che si può formulare sulla base<br />

delle esperienze di laboratorio è quella di un Erlebnis, che – a prescindere da interpretazioni<br />

funzionaliste, storicistiche o mistiche – si realizza nella narrazione rituale dei<br />

miti d’origine, grazie a un’immedesimazione situata ai livelli più profondi della<br />

coscienza (Cfr. A. E. Jensen, Mythos und Kult bei Naturvölkern, Wiesbaden, 1951).<br />

10 A proposito della qualità onirica della memoria mitica, pare interessante citare la<br />

terminologia impiegata dalla cultura totemica australiana. I tempi mitici delle origini

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