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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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150 ALESSANDRO FERSEN<br />

Ne è testimone il mnemodramma nella sua tempestosa ambivalenza<br />

6 .<br />

Un lettore impaziente<br />

Ma perché – protesta il lettore impaziente – divagare in queste elucubrazioni<br />

su tempo, memoria, presente, passato? non si parlava di cose<br />

teatrali in queste pagine? Appunto, appunto: e, senza anticipare gli sbocchi<br />

nei temi scottanti, che altro è il teatro se non memoria scritta? «passato»<br />

che attende di essere attualizzato sulla scena? Così, non divagazioni<br />

sono queste, ma penetrazioni nel cuore definitivo del tema.<br />

Lo spazio onirico<br />

Il tempo è impenetrabile: non si verificano sospensioni nel suo fluire,<br />

la sua occupazione del presente è totale.<br />

6 La divinizzazione di Mnemosyne da parte dell’orfismo segnala, secondo G. Colli, la<br />

facoltà della memoria di porsi fuori dal tempo e, più precisamente, in un «luogo assoluto<br />

– che è l’inizio del tempo – e staccato da tutte le altre esperienze» (La sapienza cit., p.<br />

39). Nella Filosofia dell’espressione, questo luogo assoluto pare essere l’«immediato», dal<br />

quale si snodano le «serie espressive» e in esso rifluiscono. L’«immediato» stesso è in sé<br />

inconoscibile. «L’aver divinizzato a questo modo il ricordo – per cui solo all’indietro il<br />

tempo è esaltante – è una decisiva indicazione metafisica» (ibidem). Nel ricordo, in ogni<br />

ricordo emerge così, al di sotto della sua superficie, «una realtà abissale». Analogamente,<br />

come si è visto – e come più chiaramente apparirà nel capitolo sul «gesto» –, gli eventi e<br />

le presenze del mnemodramma sono il segno di altro, di più profondi sommovimenti<br />

interiori. Ma in tale affinità tra una speculazione filosofica e un’esperienza teatrale si<br />

decantano anche posizioni di pensiero differenti. In queste sue ultime conclusioni, la<br />

Memoria orfica di Colli, unica testimone del «contatto» metafisico, appare una divinità<br />

maestra di conoscenza e saggezza, madre delle Muse, in un rapporto armonioso con<br />

Chronos. La Mnemosyne, quale si disegna sullo sfondo inquieto del mnemodramma, è<br />

una divinità drammatica e aggressiva. Nelle laminette orfiche, che gli iniziati portavano<br />

con sé nella tomba e che sono state ritrovate in gran numero nell’Italia meridionale, si<br />

legge una formula ricorrente: «Sono riarsa e muoio; ma date, subito / fredda acqua dalla<br />

palude di Mnemosine» (G. Colli, La sapienza cit., I, p. 175). La frescura dell’acqua della<br />

Memoria e questo suo defluire da una ferma palude sembrano alludere al placarsi dell’affanno<br />

in una quiete ultraterrena. La Mnemosyne del mnemodramma è, invece, una<br />

divinità incandescente. Così, nel momento in cui s’interrompeva un dibattito durato dal<br />

1945 in poi, si è riproposta, in nuove forme, quella contrapposizione che, già nel nostro<br />

primo incontro, si era delineata fra la concezione, che allora appariva parmenidea, del<br />

primo Colli e quella eraclitea dell’Universo come giuoco.

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