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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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134 ALESSANDRO FERSEN<br />

inquietanti visioni che trasfigurano l’oggetto e che noi intuiamo nelle<br />

espressioni dei volti, negli atteggiamenti stupiti dei corpi. Il gruppo è un<br />

grumo di angosce. L’angoscia, nell’autentica festa popolare, è la prima e<br />

costante fase dell’evento festivo 6 . Qui, una tensione comune lega gli<br />

sguardi dei giovani all’oggetto. Chi si irrigidisce nel raccapriccio, chi sogguarda<br />

di spalle, chi si protende in un sorriso di desiderio, chi s’inginocchia,<br />

chi non regge alla vista e volge di nuovo il volto alla parete.<br />

Ma già una ragazza muove qualche passo in direzione dell’oggetto,<br />

un giovane la supera con una breve corsa che si blocca nel suo eccessivo<br />

ardimento. Un altro rasenta la parete con gli occhi dilatati alla<br />

minaccia preannunciata dalle strutture immobili della «cosa». Anche<br />

per noi, che partecipiamo involontariamente a questa lenta cerimonia,<br />

la «cosa» si anima nella sua spettrale immobilità, incomincia ad alitare<br />

per queste intensità da cui viene investita. Ma ormai le attenzioni e i<br />

corpi convergono verso di essa, pur mantenendo una certa distanza si<br />

direbbe reverenziale. La contemplazione sembra in alcuni affisarsi in<br />

uno zenith immobile, in altri trascolorare in un’onirica successione di<br />

immagini cangianti.<br />

6 L’angoscia festiva viene illustrata in questi termini da A. M. Di Nola (Gli aspetti,<br />

cit., pp. 19-20): «Infine va rilevato che la festa come principale occasione rituale nella<br />

quale si esprime la religiosità rurale, assume significati che esigono una revisione<br />

semantica e una riproposta interpretativa. Festa, festività, festivo […] evocano per noi<br />

un periodo di esultanza, di liberazione, di divertimento vissuto in connessione con<br />

talune ricorrenze di carattere religioso o civile». Nelle società rurali la situazione è diversa:<br />

«L’esposizione alle incertezze e ai rischi esistenziali in senso economico è ampia e<br />

continua. […] In conseguenza, il momento festivo diviene l’occasione della liberazione<br />

dalle cariche angoscianti. […] Un tale confuso emergere di malessere storico e di dolore<br />

di antiche radici si manifesta nei pellegrinaggi, nei quali l’esplosività festosa del<br />

gruppo quasi nasconde e comprime i rischi di cancellazione della propria presenza storica,<br />

come è risultato dall’analisi dei canti di pellegrinaggio di Cocullo» (ibidem).<br />

Accanto a questa definizione socio-economica dell’angoscia festiva e in una prospettiva<br />

più remota, è da ravvisare nella Festa, che ruota sempre intorno a un perno rituale,<br />

l’antica ricorrente dinamica di passione, morte, resurrezione, tipica di ogni ritualità primitiva<br />

ed evoluta, con tutto il suo appannaggio di angosce, terrori iniziatici e recuperi<br />

esistenziali. Nella società urbana contemporanea, venute meno certe motivazioni storiche<br />

del comportamento festivo, è tuttavia sempre in agguato il rischio dell’alienazione<br />

e della perdita d’identità individuale: si ricrea così quella situazione di angoscia che<br />

si sprigiona e si libera nell’evento mnemodrammatico. Cfr. anche «Dramma», 8, agosto<br />

1978; Teatro popolare come festa, intervista a A. Fersen a c. di D. Cappelletti e D.<br />

Cappelletti, Il teatro in prosa, in «Studi romani», 3, 1978.

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