IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla
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<strong>IL</strong> MNEMODRAMMA PARLATO 121<br />
Mnemodramma e recitazione<br />
Nell’ambito del mnemodramma parlato anche la recitazione rivela<br />
possibilità completamente diverse da quelle delle definizioni d’uso. Al<br />
di là di naturalismo e straniamento, di vita vissuta e di finzione istrionica,<br />
il mnemodramma rivela la qualità onirica del comportamento<br />
teatrale 17 . Lo perezˇivanie, confusione di vita e teatro, è un malinteso<br />
culturale e lessicale. Lo straniamento, depurato dell’immedesimazio-<br />
17 Nel saggio Dell’Io e del Non-Io a teatro (in La dimensione perduta cit.), ho già<br />
tentato una prima teorizzazione sulla qualità onirica della recitazione teatrale. In quella<br />
sede citavo, fra gli elementi di prova, quello che E. De Martino (op. cit., p. 112) definisce<br />
«lo stato oniroide» della lamentatrice lucana: costei alterna il pianto disperato con<br />
l’attenzione professionale alla cerimonia che essa è incaricata di guidare, all’andirivieni<br />
dei visitatori, al versamento delle oblazioni che le sono dovute per la sua prestazione.<br />
Un tale ambiguo comportamento, osservato in altre aree mediterranee, è stato interpretato<br />
da studiosi quali Westermarck e Blackmann come una simulazione professionale<br />
o «ipocrisia tecnica». De Martino, confrontando questa duplicità di atteggiamenti<br />
con altri modelli di pianto rituale, giunge alla conclusione che non si tratta di simulazione,<br />
ma di uno stato «oniroide» che non esclude una partecipazione effettiva al lutto.<br />
Nella recitazione teatrale, come nella lamentazione funebre, si verifica dunque quella<br />
che De Martino definisce una «dualità tecnica che non fa avvertire il contrasto e rende<br />
possibile il “salto” da uno stato psichico all’altro» (ivi, p. 114). Tuttavia occorre qui rettificare<br />
l’ipotesi formulata nella Dimensione perduta, facendo riferimento a quanto<br />
esposto a proposito di una possibile tipologia del mnemodramma: evidentemente,<br />
questa duplicità è operante nei mnemodrammi che si situano a livelli prossimi all’autocoscienza.<br />
In questa situazione si trova l’attore impegnato nell’interpretazione di un<br />
testo drammaturgico che richiede un continuo autocontrollo. Da questo, che è dunque<br />
uno stato semionirico o «oniroide», si passa a stati autenticamente onirici nel mnemodramma,<br />
nel quale l’abbandono non è arginato da presupposti scenici.<br />
In altra parte della sua opera De Martino segue la progressiva trasformazione del<br />
pianto rituale in evento teatrale sia in Grecia sia nell’Italia medievale (e si potrebbe<br />
aggiungere l’esempio dei tea’zieh persiani, che sono in origine manifestazioni di cordoglio<br />
rituale per la morte di Husain, nipote di Maometto). «Nella sua unità originariamente<br />
rituale di responsorio fra guida e coro – scrive E. De Martino (ivi, p. 311) – il<br />
lamento funebre greco accenna ad un importante sviluppo culturale: la tragedia». Nel<br />
threnos e nel kommos, che Aristotele definisce nella Poetica (1452b) come un lamento<br />
eseguito dal coro e dall’attore corifeo, va dunque ricercata una delle matrici dell’evento<br />
tragico. Lo stesso processo si riscontra nel teatro sacro medievale: nella «popolarità<br />
del planctus Mariae medievale, dapprima in latino e poi in volgare, va individuata la<br />
“germinalità” da cui si sviluppano le Passioni, che drammatizzano l’evento sacro» (ivi,<br />
pp. 337 sgg.). Per altra via, appare anche evidente la «germinalità» del mnemodramma<br />
nei confronti della vita teatrale.