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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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120 ALESSANDRO FERSEN<br />

li della trance totale. L’indomani, all’abituale controllo e colloquio che<br />

segue ogni mnemodramma, H. dichiarerà con qualche ritegno: «Ecco,<br />

forse mi devo vergognare a dirlo, ma io – stamattina – sono felice...».<br />

Quello che colpisce nel mnemodramma di H. è l’intreccio di intensità<br />

viventi e di comportamenti luttuosi 15 . Il morto è presente: dunque,<br />

per H., in qualche modo, vivo. Eppure, il pianto disperato del giovane<br />

prova la sua consapevolezza della morte effettiva dell’amico. Così i<br />

confini fra vita e morte sembrano confondersi. Anche l’assente che,<br />

evocato nel mnemodramma, si materializza agli occhi dell’attore, è<br />

come un morto: di morte provvisoria. La sua apparizione ha qualche<br />

cosa di spettrale. «Spettrali» erano per Artaud i personaggi del teatro di<br />

Bali 16 .<br />

Di questi dialoghi coi morti è costellata la storia del mnemodramma,<br />

che si situa così su un crinale estremo fra irrealtà ed esistenza. Il<br />

protagonista del mnemodramma vive la morte in prima persona, il<br />

morto torna a sperimentare una specie di vita. La vita dei morti è complementare<br />

alla morte dei vivi. Nulla è definitivo. Il mnemodramma è<br />

un’esperienza sciamanica di morte e rinascita. È un rito iniziatico. È la<br />

morte di una conoscenza superficiale di sé ed è la nascita tempestosa<br />

di un’autoconoscenza che attinge alle radici dell’io.<br />

15 Sembra pertinente accostare queste esperienze mnemodrammatiche alle teorizzazioni<br />

di E. De Martino sul pianto rituale antico. L’angoscia che si scatena nelle occasioni<br />

luttuose «segnala l’attentato alle radici stesse della presenza» (Morte e pianto<br />

rituale nel mondo antico, Torino, 1958, p. 30): la crisi si manifesta in una mimesi luttuosa<br />

(lo spargersi di cenere il capo, il graffiarsi il volto, lo strapparsi i capelli), in un<br />

impeto autodistruttivo che denuncia il rischio incombente del «non poter esserci in una<br />

storia umana» (ibidem). In tale situazione soccorre il «controllo rituale del patire» (ivi, p.<br />

60), cioè «la tecnica del piangere» coralmente organizzata. Le antiche ritualità della<br />

lamentazione funebre hanno il compito di coinvolgere il dolore individuale in un dolore<br />

comune, che, pur sospingendola a limiti parossistici, padroneggia e risolve la crisi<br />

solitaria. Il mnemodramma, con le sue fasi di annientamento e di recupero dell’io, riecheggia,<br />

anche per questo verso, tecniche rituali antichissime.<br />

16 A. Artaud sottolinea in questi termini la spettralità e il carattere allucinatorio dello<br />

spettacolo del teatro di Bali presentato all’Esposizione Coloniale di Parigi (1931): «È<br />

molto significativo che […] i personaggi, uomini e donne, che serviranno allo svolgimento<br />

di un tema drammatico ma familiare, ci appaiano in un primo momento nella<br />

loro condizione spettrale, siano cioè visti in quella prospettiva di allucinazione che è<br />

tipica di ogni personaggio teatrale» (op. cit., p. 142).

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