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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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110 ALESSANDRO FERSEN<br />

con frammenti di frasi costruiti a fatica – così comincia a parlare l’attore<br />

in trance mnemodrammatica.<br />

Oppure la parola è preceduta da pianto improvviso o da riso o da<br />

sorriso segreto. E, mentre comincia a «parlare», l’attore solleva lo sguardo<br />

e fissa un punto dello spazio davanti a sé: egli ora vede. Vede e<br />

parla con stupore e tremore. È posseduto da un panico che chiamerò<br />

rituale. Egli vede quello che noi, presenti, non vediamo e che, a causa<br />

di questa nostra cecità realistica, diventa per noi più presente e incombente<br />

che non una presenza reale. Siamo vicinissimi a lui, ma lui è lontano<br />

da noi, dal nostro tempo e dal nostro spazio. Udiamo le sue<br />

domande, le sue risposte, ma non possiamo udire quello che replica il<br />

suo invisibile interlocutore 12 . E sono domande aspre, suppliche, ingiurie,<br />

parole gonfie di pianto o parole dolcissime, carezze vocali, cui<br />

l’ombra risponde via via.<br />

Nella veemenza dei sentimenti che lo squassano l’attore oscilla<br />

pericolosamente sulla sedia, si aggrappa al tavolo, si abbandona su di<br />

esso, lo scaraventa in un angolo oppure si alza e insegue oggetti volatili<br />

o si accascia a terra.<br />

A pochi passi da lui seguiamo affascinati la potenza delle emozioni<br />

che si scatenano su questo campo di battaglia che è divenuto il suo<br />

io. Il contagio dell’angoscia è irresistibile: qualcuno fugge dalla sala<br />

del laboratorio. Lui, nel suo cono di luce, è solo coi suoi demoni e coi<br />

suoi angeli. Non lo distrae la vicinanza dello sperimentatore, quasi<br />

fosse immerso in un sonno profondo: tale è, nella pratica normale del<br />

mnemodramma, il suo stato di trance. Una trance volontaria, indotta<br />

da lui stesso: opera sua, come era la trance degli sciamani in viaggio<br />

lungo l’albero del mondo.<br />

La vicenda volge al termine. O un lungo rovello si risolve in un<br />

pianto liberatore che suggella la crisi o la recitazione misteriosa si spe-<br />

12 Lo sguardo dell’attore in trance mnemodrammatica ricorda quello dell’attore del<br />

teatro Kathakali (spettacolo classico del Sud dell’India), descritto in questi termini da F.<br />

Marotti (op. cit., p. 107): «Mi rendo conto solo ora che, in tutta la notte, mai un attore<br />

kathakali ha rivolto lo sguardo verso il pubblico o verso i propri compagni: lo sguardo<br />

dell’attore kathakali è uno sguardo assente, perché rivolto altrove, in un punto indefinito,<br />

oltre il partner, al di là del pubblico, ma al tempo stesso è uno sguardo terribilmente<br />

presente, uno sguardo rivolto al doppio, direbbe Artaud, uno sguardo allucinante».<br />

Egli fissa infatti «l’immagine fantastica ma vera, non finta, del suo antagonista»<br />

evocato in uno stato di concentrazione profonda.

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