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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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88 ALESSANDRO FERSEN<br />

Artaud gli echi di certe esperienze fonetiche del periodo eroico dell’avanguardia<br />

russa.<br />

Ma non si confonda quest’idea di teatro con il teatro biomeccanico<br />

di Mejerchol’d. Profondamente diversa nell’uno e nell’altro è appunto<br />

la concezione della «fisicità». Nel teatro di Mejerchol’d il fisico coincide<br />

col fisiologico. L’espressione gestuale si affida al controllo muscolare,<br />

alla mimica espressiva. Il corpo è strumento di espressione plastica del<br />

discorso. La «fisicità» di Artaud va intesa nello spirito del Teatro di Bali:<br />

un teatro che, tramite il linguaggio dei corpi, sprigiona una «intellectualité<br />

admirable» 61 . Un linguaggio fisico che non trasmette pensieri,<br />

ma fa pensare. È dunque una «fisicità» che rivela una sua interiorità.<br />

Una fisicità percorsa da potenti energie psichiche, che rende possibili<br />

stati di trance sulla scena 62 . In questa zona hanno origine i miti. «Creare<br />

dei Miti – ecco il vero oggetto del teatro» 63 . Questa è forse la conclu-<br />

61 Ivi, IV, p. 69.<br />

62 Id., Il teatro cit., p. 162. Un’analisi della nozione artaudiana di fisicità risulta fatalmente<br />

riduttiva e inesauriente, se contenuta nei limiti ristretti dei suoi scritti propriamente<br />

teatrali (come necessariamente avviene in queste pagine). Ben diversa evidenza<br />

e spessore quella nozione assume, se inquadrata nella prospettiva più vasta della<br />

tormentosa avventura culturale di Artaud. L’influenza del pensiero alchimistico, del<br />

quale nel Teatro e il suo doppio c’è solo una minima traccia, conferisce al «corporeo»<br />

una valenza immateriale: già negli scritti giovanili, la carne, il «basso», viene concepita<br />

come un canale atto a veicolare messaggi metafisici, una chiave per la «conoscenza<br />

della vita». Queste intuizioni giovanili si organizzano poi nella strategia teatrale del<br />

periodo maturo: «A differenza dell’alchimia, che “offre il mezzo spirituale per decantare<br />

e trasfondere la materia”, la scena della crudeltà rovescia il procedimento, agendo<br />

sul sensorio per avviare allo spirito». Così Artioli (U. Artioli e F. Bartoli, Teatro e corpo<br />

glorioso, Milano, 1978, p. 145) nella sua acutissima esplorazione dell’intero itinerario<br />

spirituale di questo teatrante-filosofo. Quando, durante il soggiorno a Rodez, si opera<br />

un ribaltamento totale del pensiero di Artaud con un passaggio dall’esoterismo di ispirazione<br />

alchimistica a un «materialismo» antidivino (è l’Artaud del Ci-gît, del Van Gogh<br />

ou le suicidé de la société, del Pour en finir avec le jugement de Dieu), il corpo viene<br />

contrapposto alla carne in una sorta di dualismo manicheo: «È sintomatico che Artaud,<br />

quando parla del “corpo puro” faccia riferimento alla carne solo in termini di corruzione<br />

e caduta. Il corpo glorioso è anche “vergine” e “casto”. […] La carne non coincide<br />

col corpo, non ne rappresenta la linfa segreta, ma è ciò che il dio ha insinuato nel corpo<br />

per pervertirne la forza originaria» (ivi, p. 218). Così anche in quest’ultima «versione» l’idea<br />

artaudiana della fisicità è radicalmente diversa dai significati che le sono stati attribuiti<br />

nel lessico teatrale delle avanguardie.<br />

63 Ivi, p. 188.

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