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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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82 ALESSANDRO FERSEN<br />

Il Dybbuk ebraico di Vachtangov costituisce una scoperta e una verifica:<br />

senza essere compreso nei suoi contenuti verbali (era recitato in<br />

lingua yddisch), provoca uno straordinario impatto nel pubblico e<br />

nella gente di teatro 43 . Ecco dunque la prova che la suggestione del<br />

teatro non è legata al senso letterale e al contenuto dell’opera!<br />

Furoreggia il zaùm, una lingua transmentale, fatta di combinazioni<br />

vocali e consonantiche senza significato alcuno. Kručënich teorizza la<br />

frantumazione delle parole come linguaggio teatrale 44 » Radlov si cimenta<br />

con un’espressione vocale fatta di grumi acustici 45 . Si intravede<br />

un teatro aconcettuale, si esalta il valore incantatorio della voce.<br />

Artaud è all’orizzonte.<br />

L’insanabile tricotomia<br />

Lo spettatore europeo, che sedeva ieri e siede oggi in questa platea<br />

sconcertata, vede crescere sul palcoscenico una foresta di interrogativi<br />

senza risposta.<br />

La stagione veemente delle iconoclastie non ha saputo realizzare<br />

un nuovo equilibrio fra le tensioni interne dell’evento teatrale, né<br />

spezzarne il circuito chiuso instaurando un ordine definitivamente<br />

egemonizzato da uno dei suoi protagonisti-antagonisti.<br />

Il perezˇivanie non ha eliminato la presenza intrusa dell’io dell’attore.<br />

Quando l’attrice Stanislava Wysocka irrompe indignata nel camerino<br />

di Stanislavskij, dopo la rappresentazione del Salieri di Pusˇkin,<br />

esclamando: «Konstantín Sergèevič, come avete potuto!», «vidi – essa<br />

43 Il Dybbuk di S. An-Ski andò in scena a Mosca il 31 gennaio 1922.<br />

44 Il poeta futurista Kručënich teorizza nel suo opuscolo Fonetika teatra (1923) un<br />

linguaggio chiamato zaùm «transmentale», costituito di fonemi, quali possono uscire<br />

dalla bocca di chi è in preda a forti emozioni. Kručënich le chiama «cineparole».<br />

45 Nel 1922 il regista Sergej Radlov sperimenta nel suo «Laboratorio di ricerche teatrali»<br />

a Pietroburgo una recitazione «non oggettiva», fatta di articolazioni acustiche slegate,<br />

miranti ad accrescere la tensione drammatica. Questo movimento ha la sua più<br />

completa espressione in Tairov, che in Tamira il citaredo di Annanskij (1916) condensa<br />

sequenze di fonemi che sfiorano il canto. Tairov sostiene la preminenza dei valori<br />

ritmici e sonori su quelli logici del discorso: «Tanto la costruzione logica che quella psicologica<br />

della lingua devono cedere di fronte alla costruzione ritmica» (A. J. Tairov, op.<br />

cit., p. 42).

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