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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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TEMPO DI ICONOCLASTI 73<br />

tata la platea, si annienta anche il palcoscenico che le corrisponde.<br />

Non si dà uno dei due termini senza il suo naturale complemento. La<br />

presenza del pubblico si dissolve come polo di attrazione nell’interiorità<br />

dell’attore, che infatti è colma della vita del personaggio.<br />

E tuttavia l’incontenibile vocazione alla teatralità, il gusto dello<br />

spettacolo, che sono qualità native in Stanislavskij, si traducono in uno<br />

sbalorditivo naturalismo scenografico che affastella mobili, popola la<br />

scena di un’oggetteria ricercata con passione da bricoleur, evoca dalle<br />

quinte tutte le «voci della natura». Nell’idea di Stanislavskij, questa ricostruzione<br />

ambientale aiuta l’immedesimazione dell’attore nella situazione<br />

drammaturgica. Ma, al di là delle manie personali di Stanislavskij,<br />

al di là delle sue motivazioni estetiche, questo naturalismo scenico<br />

trascura paradossalmente la platea. Elevata la quarta parete, le altre<br />

pareti di questa «boîte à illusions» che è il teatro si aprono e cadono: il<br />

teatro non è più teatro. La scenografia perde la sua illusoria fragilità<br />

per acquistare una consistenza obiettiva. I personaggi recitano per se<br />

stessi la propria storia: non sono più personaggi per nessuno. «Espellere<br />

dal teatro il teatro», è la parola d’ordine di uno dei più fervidi<br />

discepoli del Maestro, il primo Vachtangov 13 .<br />

E allora il «parlato» s’interiorizza: l’attore biascica a mezza voce le<br />

battute che la quarta parete arresta al di qua della ribalta. Si concentra<br />

per evocare le sue reviviscenze. Pause e sussurri si alternano, avvicendandosi<br />

con esplosioni isteriche, propaggine inevitabile del rigurgito<br />

di ricordi personali 14 . Il pubblico protesta? Non importa. Sulla<br />

scena è necessario «vivere»: comunicare non è necessario.<br />

tatori, ha dato la sua impronta a tre secoli di arte drammatica internazionale. Era l’arte<br />

drammatica dell’approssimazione. Il teatro è vissuto, durante tre secoli, della finzione<br />

che nel teatro non esistessero spettatori». Occorre tuttavia rettificare le affermazioni di<br />

Piscator nel senso che la «quarta parete» è un corollario del teatro naturalista. Il teatro<br />

postrinascimentale è stato un teatro d’intrattenimento, sempre rivolto al pubblico, con<br />

il quale instaurava continui contatti, anche tramite i suoi monologhi e i suoi «a parte».<br />

13 Cfr. E. B. Vachtangov, Iz zapisnych knizek, cit. in A. M. Ripellino, op. cit., p. 223:<br />

«Espellere dal teatro il teatro. Dal dramma l’attore. Bandire il trucco, il costume».<br />

14 L. Rasi ravvisava quest’aspetto patologico nell’arte di Eleonora Duse: «Ella possiede<br />

al sommo la faccia che noi vediamo il più spesso nelle malattie del sistema nervoso,<br />

e, particolarmente, delle grandi nevrosi, la faccia convulsiva. L’occhio è agitato<br />

da tremiti impercettibili e si reca rapidamente in direzioni opposte; le guance passano<br />

con incredibile rapidità dal rossore al pallore, le narici e le labbra fremono; i denti si<br />

serrano con violenza e ogni più piccola parte del corpo è in movimento […] è per ciò

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