I VIAGGI DI GULLIVER.pdf
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Subito sette uomini della stessa statura si fecero innanzi, tenendo ciascuno in mano un falcetto grande come sei grandi falci. Questi individui erano vestiti peggio del primo, talché giudicai che fossero suoi dipendenti: uditi i suoi ordini, essi vennero a tagliare l'orzo proprio là dove io stavo rincantucciato. Cercai d'allontanarmi in tutta fretta, ma era per me difficilissimo muovermi, perché i fusti dell'orzo distavano spesso appena un piede fra loro, formando una specie di foresta dove m'insinuavo con estrema fatica. Così tuttavia giunsi a una parte del campo dove il vento e la pioggia avevano abbattuto la piantagione; e lì dovetti fermarmi, perché i fusti erano tanto intrecciati da non poterli attraversare, e le spighe cadute avevano certe reste così dure e appuntite che i miei vestiti ne furono trapassati e la mia carne trafitta; e in questo frattempo m'accorsi che i mietitori erano appena a cento yards da me. Disperato, stremato di forze, mi lasciai andare a terra fra due solchi, e mentre desideravo di morire, m'immaginavo la mia vedova in lacrime, i miei figli orfani, e maledicevo la pazzia che mi aveva fatto intraprendere questo secondo viaggio contro i consigli di tutti i miei amici e parenti. In questo stato di agitazione terribile, non potei trattenermi dal ripensare al paese di Lilliput, i cui abitanti mi avevano considerato come il più gran prodigio che fosse mai apparso al mondo; dove avevo potuto trascinare un'intera flotta con una mano, e compiere altre meravigliose azioni la cui memoria sarà eternata negli annali di quell'impero, e che i posteri stenteranno a credere ad onta della testimonianza di milioni di persone. Pensai quanto sarebbe umiliante per me apparire, agli occhi di quella gente fra cui ora mi trovavo, insignificante come sarebbe un lillipuziano fra noi. Ma ciò era ancora il minor male; perché essendosi osservato che gli uomini sono di solito selvaggi e crudeli in proporzione della loro forza, che cosa potevo aspettarmi se non d'esser divorato in un boccone dal primo di quegli esseri mostruosi che mi afferrasse? Hanno veramente ragione i filosofi quando dicono che il grande e il piccolo sono relativi. Forse i lillipuziani potrebbero trovare un popolo così piccolo, in loro confronto, come essi parvero a me; e chi sa che questa genìa di uomini colossali non sia a sua volta lillipuziana al paragone di qualche altra razza vivente in un paese non ancora scoperto? Queste filosofiche riflessioni facevo, mio malgrado, in mezzo al mio terrore e al mio stupore, quando uno dei mietitori, avvicinandosi a dieci yards appena dal solco dove stavo nascosto, mi fece temere d'essere, al suo prossimo movimento, schiacciato sotto il suo piede o tagliato in due dal suo falcetto: 79
sicché quando lo vidi muoversi cominciai a gridare con tutta la forza che lo spavento mi aveva lasciato. Subito il gigante si fermò e incominciò a guardare attentamente intorno a sé, finché mi scorse. Egli mi scrutò un po' di tempo con la circospezione d'un uomo che desideri prendere un animaletto pericoloso senza venire morso o graffiato, come io stesso qualche volta avevo fatto in Inghilterra per prendere una donnola. Infine si fece coraggio e afferratomi per la vita tra l'indice e il pollice mi alzò fino a tre yards dai suoi occhi per osservarmi meglio. Indovinando la sua idea, risolvetti di non opporre alcuna resistenza; sebbene, tenendomi in aria all'altezza di più di sessanta piedi, mi stringesse le costole in modo da farmi male, pel timore ch'io gli scivolassi di mano. Allora alzai gli occhi al cielo, giunsi le mani in atto supplichevole e pronunziai qualche parola in tono umile e sconsolato, adatto alla circostanza in cui mi trovavo, perché dovevo temere che da un momento all'altro non mi schiacciasse, come di solito si schiacciano certi animaletti sgradevoli. Per fortuna egli sembrò impressionato dai miei gesti e dalla mia voce e stupito sentendomi pronunziare delle parole, sebbene non le comprendesse, e cominciò a guardarmi come un oggetto molto strano. Allora mi misi a lamentarmi e a piangere a calde lacrime e dimenandomi cercai di fargli capire che mi faceva assai male stringendomi fra le dita. Egli parve comprendere il mio dolore, poiché ripiegando un lembo della sua giacca mi ci rinvoltò delicatamente e corse in gran fretta verso il suo padrone, che era un ricco colono: quegli stesso che avevo visto per il primo nel campo. Il padrone dopo essersi fatto narrare (per quanto potei arguire dei loro discorsi) come e dove ero stato trovato, prese una pagliuzza grossa presso a poco come un nostro bastone e con essa alzò i lembi del mio vestito che, a quanto mi parve, credette una specie d'involucro datomi dalla natura. Mi soffiò nei capelli per vedermi meglio in faccia, poi chiamò i suoi dipendenti e domandò loro, probabilmente, se avessero mai trovato in quel podere un animalino che mi somigliasse. Infine mi posò pian piano in terra su quattro gambe; ma io mi alzai subito e cominciai ad andare su e giù maestosamente per far vedere che non avevo alcuna voglia di fuggire. Costoro si sedettero in circolo intorno a me per osservare meglio i miei movimenti. Io mi levai il cappello e feci un'umilissima riverenza al colono; m'inginocchiai e dissi qualche cosa più forte che potei; poi tirai fuori una borsa piena di monete d'oro e glie la presentai con gran rispetto. Egli se la mise nella palma della mano e se l'accostò agli occhi per vedere che cosa era. Poi la rivoltò parecchie volte con la punta di uno spillo che si estrasse dalla manica, ma 80
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sicché quando lo vidi muoversi cominciai a gridare con tutta la forza che lo<br />
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corse in gran fretta verso il suo padrone, che era un ricco colono: quegli stesso<br />
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domandò loro, probabilmente, se avessero mai trovato in quel podere un<br />
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