I VIAGGI DI GULLIVER.pdf
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ecarmi a salutarla personalmente prima di tornare al mio paese. Pochi giorni dopo, infatti, chiesi all'imperatore il permesso di recarmi a ossequiare il gran re di Blefuscu. Mi rispose con freddezza che non aveva niente in contrario; ma un amico mi riferì segretamente che sua maestà, anche per le insinuazioni di Flimnap e di Bolgolam, aveva interpretato i miei rapporti con gli ambasciatori come un sintomo di tradimento. In ciò egli mi faceva torto; ma io imparai allora che cosa voglian dire corti e ministri. Mi sono scordato di dire che avevo parlato con gli ambasciatori per mezzo di un interprete, perché le lingue di quei due stati sono diversissime; e ciascuna delle due nazioni vanta l'antichità, la bellezza e l'efficacia della propria lingua, disprezzando l'altra. Anzi l'imperatore, gonfio della vittoria che gli avevo fatta riportare sopra la flotta dei blefuscudiani, aveva obbligato gli ambasciatori a servirsi della lingua lillipuziana nelle loro credenziali e nelle arringhe; ma conviene aggiungere che ogni persona distinta dell'impero di Lilliput, e anche la maggior parte dei negozianti e dei marinai delle città costiere, parlano ambedue le lingue, sia pel motivo del commercio che si fa continuamente fra i due stati, sia per l'accoglienza reciproca fatta agli esuli e per l'uso che hanno i lillipuziani di mandare a Blefuscu i loro giovani gentiluomini per impararvi l'eleganza e gli usi del gran mondo. Questa fu la mia fortuna; perché se fosse stato altrimenti, non so come avrei potuto salvarmi dalle difficoltà che mi suscitarono contro i miei nemici per la faccenda del mio viaggio a Blefuscu. Il lettore si ricorderà di certi articoli del patto che io avevo firmato prima della mia liberazione, e che soltanto il bisogno mi aveva spinto ad accettare nonostante il loro carattere servile. Ora la mia dignità mi dispensava da ogni umile servizio e l'imperatore (devo rendergli questa giustizia) non me ne aveva mai più parlato. Tuttavia mi si offerse una volta l'occasione di rendere a sua maestà un servizio singolarissimo. Era la mezzanotte quando fui svegliato dalle grida d'una gran folla assiepata dinanzi alla mia porta e che sembrava in preda al terrore; sentii ripetere parecchie volte la parola burlum. Alcuni funzionari dell'imperatore, aprendosi la strada tra la folla, vennero a pregarmi di correre al palazzo, poiché l'appartamento dell'imperatrice era in preda alle fiamme, per colpa di una delle sue dame la quale si era addormentata col lume acceso leggendo un romanzo blefuscudiano. Mi alzai subito e corsi al palazzo facendo molta fatica per non schiacciare nessuno. Quando giunsi erano già state poste delle scale ai muri del palazzo e funzionavano le secchie, ma l'acqua era assai lontana. Codeste secchie eran grandi presso a poco come anelli da cucire e quella povera gente le 55
iempiva col maggior zelo possibile; ma la forza dell'incendio non diminuiva. Avrei potuto soffocare l'incendio con la mia giacca; ma, disgraziatamente, nella fretta di uscire l'avevo lasciata a casa; sicché quel magnifico palazzo sarebbe stato senza fallo ridotto in cenere, se con una straordinaria presenza di spirito non avessi inventato un altro ripiego. La sera precedente avevo bevuto abbondantemente un vino bianco chiamato in paese Glimigrim, proveniente da una provincia di Blefuscu (dove vien chiamato Flunec) e che è molto diuretico; e per una straordinaria fortuna non mi ero ancora potuto scaricare la vescica. Sicché cominciai a orinare con sì grande abbondanza, dirigendo il getto così abilmente nei punti opportuni, che in tre minuti l'incendio fu spento, e il resto di quel mirabile edifizio, che era costato immensi tesori, fu salvato da una fatale rovina. Sul far del giorno tornai alla mia casa senza aspettare i ringraziamenti dell'imperatore, perché nonostante l'importanza del servigio resogli, non sapevo come sua maestà avrebbe gradito il mezzo da me impiegato. Un atto simile commesso nella cerchia dei palazzi imperiali era punito, secondo la legge del paese, con la pena di morte, qualunque fosse il grado del colpevole. Su questo punto fui tosto rassicurato da un messaggio di sua maestà che mi avvertiva di avermi fatto spedire una lettera di ringraziamento: tuttavia seppi che l'imperatrice, inorridita, s'era rifugiata all'estremità opposta del palazzo, giurando che non avrebbe mai più messo piede in un appartamento profanato da un'azione così insolente e villana, di cui essa giurò di trarre vendetta, in cospetto delle sue più intime confidenti. 56
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dopo, infatti, chiesi all'imperatore il permesso di recarmi a ossequiare il gran re<br />
di Blefuscu. Mi rispose con freddezza che non aveva niente in contrario; ma un<br />
amico mi riferì segretamente che sua maestà, anche per le insinuazioni di<br />
Flimnap e di Bolgolam, aveva interpretato i miei rapporti con gli ambasciatori<br />
come un sintomo di tradimento. In ciò egli mi faceva torto; ma io imparai allora<br />
che cosa voglian dire corti e ministri.<br />
Mi sono scordato di dire che avevo parlato con gli ambasciatori per mezzo di<br />
un interprete, perché le lingue di quei due stati sono diversissime; e ciascuna<br />
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disprezzando l'altra. Anzi l'imperatore, gonfio della vittoria che gli avevo fatta<br />
riportare sopra la flotta dei blefuscudiani, aveva obbligato gli ambasciatori a<br />
servirsi della lingua lillipuziana nelle loro credenziali e nelle arringhe; ma<br />
conviene aggiungere che ogni persona distinta dell'impero di Lilliput, e anche la<br />
maggior parte dei negozianti e dei marinai delle città costiere, parlano ambedue<br />
le lingue, sia pel motivo del commercio che si fa continuamente fra i due stati,<br />
sia per l'accoglienza reciproca fatta agli esuli e per l'uso che hanno i lillipuziani<br />
di mandare a Blefuscu i loro giovani gentiluomini per impararvi l'eleganza e gli<br />
usi del gran mondo. Questa fu la mia fortuna; perché se fosse stato altrimenti,<br />
non so come avrei potuto salvarmi dalle difficoltà che mi suscitarono contro i<br />
miei nemici per la faccenda del mio viaggio a Blefuscu.<br />
Il lettore si ricorderà di certi articoli del patto che io avevo firmato prima<br />
della mia liberazione, e che soltanto il bisogno mi aveva spinto ad accettare<br />
nonostante il loro carattere servile. Ora la mia dignità mi dispensava da ogni<br />
umile servizio e l'imperatore (devo rendergli questa giustizia) non me ne aveva<br />
mai più parlato. Tuttavia mi si offerse una volta l'occasione di rendere a sua<br />
maestà un servizio singolarissimo.<br />
Era la mezzanotte quando fui svegliato dalle grida d'una gran folla assiepata<br />
dinanzi alla mia porta e che sembrava in preda al terrore; sentii ripetere<br />
parecchie volte la parola burlum. Alcuni funzionari dell'imperatore, aprendosi<br />
la strada tra la folla, vennero a pregarmi di correre al palazzo, poiché<br />
l'appartamento dell'imperatrice era in preda alle fiamme, per colpa di una delle<br />
sue dame la quale si era addormentata col lume acceso leggendo un romanzo<br />
blefuscudiano. Mi alzai subito e corsi al palazzo facendo molta fatica per non<br />
schiacciare nessuno. Quando giunsi erano già state poste delle scale ai muri del<br />
palazzo e funzionavano le secchie, ma l'acqua era assai lontana. Codeste<br />
secchie eran grandi presso a poco come anelli da cucire e quella povera gente le<br />
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