I VIAGGI DI GULLIVER.pdf

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Io lo pregai dunque d'intercedere presso il sovrano in mio favore, perché mi fosse concesso di andarmene. Il re si mostrò dispiacente, e me lo disse francamente; mi fece anche qualche lusinghiera offerta che io respinsi, pur dichiarandomene gratissimo; infine dovette arrendersi alle mie preghiere. Così il 16 febbraio mi congedai da sua maestà, dopo averne avuto un dono del valore di 200 ghinee. Anche il mio protettore mi fece un regalo equivalente, aggiungendovi una lettera di raccomandazione per un suo amico di Lagado, la capitale di Balnibarbi. Essendo giunta, intanto, l'isola sopra una montagna, fui calato giù dalla galleria inferiore con lo stesso mezzo che avevo impiegato per salire. Trovandomi sulla terra ferma di Balnibarbi (questo, come ho già detto, è il nome del dominio terrestre del re di Laputa) provai un senso di viva soddisfazione. Essendo vestito come quegli abitanti e conoscendo discretamente la lingua del paese, m'incamminai verso Lagado, la capitale, col cuore tranquillo, e avendo subito trovato la casa della persona alla quale ero indirizzato, presentai la lettera del mio protettore e fui accolto con somma cortesia. Codesto signore balnibarbese, che si chiamava Munodi, mi assegnò un bel quartierino in casa sua, dove abitai per tutto il tempo che rimasi in quel paese, e mi trattò con esemplare ospitalità. Il giorno dopo il mio arrivo, Munodi mi portò nella sua carrozza a visitare la città, che è grande come metà Londra. Ma le case mi parvero costruite in modo assai strambo, e quasi cadenti; la gente, coperta di stracci, camminava per le vie con passo affrettato e aveva sguardo attonito, espressione stravolta. Usciti fuori da una porta, c'inoltrammo per tre miglia nella campagna e vidi una grande quantità di contadini che lavoravano la terra con ogni sorta di strumenti; ma non potei capire nulla dei loro atti, né appariva traccia di foraggi o di messi, sebbene il terreno sembrasse fertilissimo. Domandai al mio cicerone il perché di tante teste e di tante braccia sì intensamente occupate in città e in campagna, dato che nessun effetto traspariva della loro attività; perché non avevo mai visto terreni così male coltivati, case così rovinate e cadenti e gente così miserabile negli abiti e smunta nell'aspetto. Il signor Munodi era un nobile di prima classe, e altra volta era stato governatore di Lagado per molti anni; ma gli intrighi dei ministri l'avevano fatto deporre come incapace. Il re, tuttavia, lo trattava con benevolenza, apprezzando le sue buone intenzioni, alle quali non corrispondeva la ristretta intelligenza. 145

Alle mie franche domande egli rispose soltanto che non potevo ancora giudicare quel paese, in cui mi trovavo da troppo poco tempo; aggiunse che ogni popolo ha i propri costumi, e mi contentò insomma con qualche frase delle solite. Però, appena fummo tornati al suo palazzo, mi domandò quale impressione mi faceva la sua residenza, quali stramberie vi trovavo, quali difetti potevo osservare nei costumi e nel contegno dei suoi famigli. La domanda mi parve superflua, perché in casa sua tutto spirava ricchezza, ordine e buon gusto. Gli risposi che la sua grandezza, i suoi mezzi, il suo giudizio gli avevano impedito di cadere nei difetti in cui la miseria o la pazzia avevano trascinato gli altri; e avendomi egli detto che sarebbe stato opportuno ritornare sull'argomento quando avessi visitato anche la sua residenza di campagna, posta a venti miglia da Lagado, mi affrettai a mettermi a sua disposizione. Così, la mattina seguente partimmo. Durante il viaggio, sua eccellenza mi spiegò i diversi metodi impiegati dai contadini per coltivare le loro terre; ma non potei comprenderne i vantaggi, perché, tranne in qualche rara parte, non mi era riuscito di vedere un filo d'erba né una spiga di grano. A un tratto, dopo tre ore di strada, la scena cambiò totalmente, e la campagna diventò bellissima. Le case dei mezzadri erano più frequenti e ottimamente costruite, i campi cintati comprendevano vigneti, prati e piantagioni di frumento, così belle come non ricordavo d'averne mai veduto. Munodi, che mi scrutava in volto, disse sospirando che lì cominciavano i suoi possedimenti, e che l'aspetto della campagna non sarebbe più cambiato fino alla sua villa. Confessò che i suoi concittadini lo schernivano e disprezzavano perché non sapeva fare i suoi interessi e dava un cattivo esempio, che d'altra parte veniva seguito soltanto da pochi vecchi ostinati e rammolliti come lui. Così giungemmo alla villa, che mi parve un magnifico fabbricato, eretto secondo le migliori regole dell'antica architettura. Fontane, giardini, viali, boschetti, strade, tutto era disposto con raziocinio e buon gusto, sicché dovetti farne i più incondizionati elogi. Ma Sua Eccellenza non sembrò gradirli troppo, e quando, dopo il pranzo, restammo soli, mi disse con aria triste che quanto prima avrebbe dovuto buttar giù il palazzo di città e la villa per ricostruirli secondo la moda, e distruggere tutte le piantagioni per rifarle sul tipo moderno, costringendo anche i suoi fattori a fare lo stesso. Altrimenti sarebbe passato per un individuo ostinato, ignorante, strambo e fantastico e avrebbe corso il pericolo di accrescere il malumore del re verso di lui. Io ne feci le grandi 146

Alle mie franche domande egli rispose soltanto che non potevo ancora<br />

giudicare quel paese, in cui mi trovavo da troppo poco tempo; aggiunse che<br />

ogni popolo ha i propri costumi, e mi contentò insomma con qualche frase delle<br />

solite. Però, appena fummo tornati al suo palazzo, mi domandò quale<br />

impressione mi faceva la sua residenza, quali stramberie vi trovavo, quali difetti<br />

potevo osservare nei costumi e nel contegno dei suoi famigli. La domanda mi<br />

parve superflua, perché in casa sua tutto spirava ricchezza, ordine e buon gusto.<br />

Gli risposi che la sua grandezza, i suoi mezzi, il suo giudizio gli avevano<br />

impedito di cadere nei difetti in cui la miseria o la pazzia avevano trascinato gli<br />

altri; e avendomi egli detto che sarebbe stato opportuno ritornare sull'argomento<br />

quando avessi visitato anche la sua residenza di campagna, posta a venti miglia<br />

da Lagado, mi affrettai a mettermi a sua disposizione. Così, la mattina seguente<br />

partimmo.<br />

Durante il viaggio, sua eccellenza mi spiegò i diversi metodi impiegati dai<br />

contadini per coltivare le loro terre; ma non potei comprenderne i vantaggi,<br />

perché, tranne in qualche rara parte, non mi era riuscito di vedere un filo d'erba<br />

né una spiga di grano.<br />

A un tratto, dopo tre ore di strada, la scena cambiò totalmente, e la campagna<br />

diventò bellissima. Le case dei mezzadri erano più frequenti e ottimamente<br />

costruite, i campi cintati comprendevano vigneti, prati e piantagioni di<br />

frumento, così belle come non ricordavo d'averne mai veduto.<br />

Munodi, che mi scrutava in volto, disse sospirando che lì cominciavano i<br />

suoi possedimenti, e che l'aspetto della campagna non sarebbe più cambiato<br />

fino alla sua villa. Confessò che i suoi concittadini lo schernivano e<br />

disprezzavano perché non sapeva fare i suoi interessi e dava un cattivo esempio,<br />

che d'altra parte veniva seguito soltanto da pochi vecchi ostinati e rammolliti<br />

come lui.<br />

Così giungemmo alla villa, che mi parve un magnifico fabbricato, eretto<br />

secondo le migliori regole dell'antica architettura. Fontane, giardini, viali,<br />

boschetti, strade, tutto era disposto con raziocinio e buon gusto, sicché dovetti<br />

farne i più incondizionati elogi. Ma Sua Eccellenza non sembrò gradirli troppo,<br />

e quando, dopo il pranzo, restammo soli, mi disse con aria triste che quanto<br />

prima avrebbe dovuto buttar giù il palazzo di città e la villa per ricostruirli<br />

secondo la moda, e distruggere tutte le piantagioni per rifarle sul tipo moderno,<br />

costringendo anche i suoi fattori a fare lo stesso. Altrimenti sarebbe passato per<br />

un individuo ostinato, ignorante, strambo e fantastico e avrebbe corso il<br />

pericolo di accrescere il malumore del re verso di lui. Io ne feci le grandi<br />

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