I VIAGGI DI GULLIVER.pdf
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CAPITOLO VII. L'autore difende l'onore del suo paese – Utile proposta che egli fa al re, il quale però la respinge – Ignoranza del re in fatto di politica – Grettezza d'idee di quel popolo; loro leggi, partiti e milizie. Se non fosse il grande amore che io nutro per la verità, non seguiterei a narrare di codesti colloqui, nei quali dovetti ascoltare pazientemente ogni insulto diretto contro il mio paese, perché qualunque mostra che io facessi di dispetto, non otteneva altro effetto che di provocare il riso. Non vorrei però che si credesse che fosse per colpa mia; era la curiosità del re che mi costringeva a rispondere il meglio possibile alle sue domande, senza contare la riconoscenza e anche la semplice educazione. State certi, però, che io sfuggivo abilmente alle domande più imbarazzanti, e che in ogni caso cercavo di rispondere nel modo più favorevole alla mia patria, seguendo quel criterio di giusta parzialità che, a ragione, Dionigi d'Alicarnasso raccomanda agli storici. Nulla trascuravo per mettere in luce tutti i pregi e le bellezze dell'Inghilterra, nascondendone i difetti e i malanni; ma gli effetti che ne ottenni con quell'ottimo sovrano non furono troppo consolanti. Bisognava tuttavia compatirlo, pensando com'egli viva separato dal resto del mondo e ignori perciò ogni costume degli altri popoli; difetto d'esperienza, questo, che sarà sempre causa di pregiudizi e di una grettezza di pensiero da cui vanno esenti i paesi più progrediti d'Europa. Sicché sarebbe ridicolo che le idee d'un sovrano, straniero e lontano, sul vizio e sulla virtù fossero giudicate degne di imitazione e di applicazione. Voglio anzi raccontare, a maggior conferma di quanto ho detto, e per meglio dimostrare i disastrosi effetti d'una educazione ristretta, un episodio che può sembrare quasi incredibile. Per entrare in grazia di sua maestà, gli accennai un giorno a una scoperta, fatta or sono tre o quattrocento anni, d'una certa polvere nera che s'accende al contatto d'una sola scintilla, ed è capace di far saltare in aria le montagne stesse, con un fragore paragonabile a quello del fulmine. Gli spiegai anche come una certa quantità di codesta polvere, chiusa in un tubo di ferro o di bronzo, secondo i casi, poteva lanciare una palla di piombo o un proiettile di ferro con tale forza e velocità, che nulla era capace di resisterle; che codeste palle cacciate fuori dal tubo per la conflagrazione di detta polvere abbattevano, rompevano, disordinavano interi battaglioni e squadroni, 115
ovesciavano le più solide mura, rovinavano le più grosse torri, affondavano i più solidi vascelli; che codesta stessa polvere, posta dentro un globo di ferro lanciato sopra una città con una delle suddette macchine, bruciava e devastava le case, gettando tutto intorno scheggie micidiali per chiunque fosse lì vicino. Aggiunsi che io sapevo la ricetta per fabbricare codesta meravigliosa polvere, ch'era composta di sostanze comuni e di basso prezzo; e mi offersi d'insegnare ai sudditi di sua maestà il modo di costruire quei tubi della grossezza proporzionata alla loro statura; né i più grandi dovevano sorpassare i cento piedi. Venti o trenta di codesti arnesi caricati nel modo voluto avrebbero, soggiunsi, rovesciato le mura della più forte città del suo reame, qualora avesse osato di ribellarglisi, e avrebbero distrutto in poche ore la capitale medesima, qualora avesse tentato sottrarsi al suo potere. Questo servigio gli proffersi come piccolo attestato della mia gratitudine per le numerose prove di benevolenza che mi aveva dato. Alla descrizione di codesti terribili ordigni e all'offerta conseguente, il re inorridì. Non si poteva capacitare (furono le sue parole) che un vile insetto strisciante parlasse con tanta leggerezza degli effetti sanguinosi e perniciosi prodotti da tali invenzioni distruttrici; inventate certamente da qualche genio malefico nemico di Dio e della creazione. Egli mi assicurò che ogni nuova scoperta, sia nelle arti che nelle scienze, lo riempiva di gioia, ma che avrebbe preferito perdere il trono piuttosto che servirsi d'un così funesto segreto. E mi proibì, pena la vita, di comunicarlo ad alcuno dei suoi sudditi. Vedete quali strani effetti produca la ristrettezza delle vedute in un sovrano, pure così ben fornito di tutti i pregi che richiamano la stima, l'amore e la venerazione dei popoli! Codesto saggio e valente principe, pieno di buone qualità e adorato dal suo popolo, per uno scrupolo inconsistente, di cui non si ha neppure idea in Europa, si lasciava scappare l'occasione di diventare assoluto padrone della vita, della libertà e degli averi di tutti i suoi sudditi! Questo racconto abbasserà certamente, con mio gran dispiacere, quel sovrano nell'opinione d'ogni lettore inglese; ma sono convinto che tutto dipendesse dall'ignoranza di quel popolo in fatto di politica, ch'essi non hanno ancora trasformato in arte, come noi altri europei dall'intelligenza più sottile. Infatti mi ricordo che un giorno mi venne fatto di dire a sua maestà che da noi erano stati pubblicati moltissimi trattati sull'arte di ben governare; e il re, contro ogni mia aspettativa, ribatté che il nostro animo doveva essere molto basso, aggiungendo che, per parte sua, disprezzava e odiava ogni mistero, intrigo e raggiro che potesse entrare nei metodi d'un sovrano o d'un ministro. 116
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malefico nemico di Dio e della creazione. Egli mi assicurò che ogni nuova<br />
scoperta, sia nelle arti che nelle scienze, lo riempiva di gioia, ma che avrebbe<br />
preferito perdere il trono piuttosto che servirsi d'un così funesto segreto. E mi<br />
proibì, pena la vita, di comunicarlo ad alcuno dei suoi sudditi.<br />
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pure così ben fornito di tutti i pregi che richiamano la stima, l'amore e la<br />
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qualità e adorato dal suo popolo, per uno scrupolo inconsistente, di cui non si<br />
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