I VIAGGI DI GULLIVER.pdf

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CAPITOLO VI. Svariati trattenimenti coi quali l'autore diverte il re e la regina – Sue prodezze musicali – Egli ragguaglia il re dello stato dell'Europa, e sua maestà gli fa qualche osservazione su codesto proposito. Un paio di volte alla settimana assistevo al levarsi del sovrano, e qualche volta restavo a parlare con lui anche mentre si faceva fare la barba; spettacolo che, da principio, mi faceva paura, perché il rasoio del barbiere era lungo il doppio d'una nostra falce; secondo l'uso del paese sua maestà si faceva radere soltanto due volte ogni otto giorni. Un giorno chiesi al barbiere qualche pelo della barba del re; poi presi un pezzetto di legno in cui feci con un ago molti buchi a egual distanza l'uno dall'altro e, infilandovi dentro convenientemente i peli, ne ottenni un bel pettine. Mi fu utilissimo perché il mio era rotto da un pezzo e non serviva più, né v'era nel paese un operaio capace di fabbricarmene un altro. Mi procurai anche un altro svago, facendomi dare dalla cameriera particolare della regina i capelli che cadevano alla sovrana mentre si faceva pettinare. Quando ne ebbi una quantità sufficente feci fare allo stipettaio di corte due poltrone eguali a quelle che stavano nella mia casetta, e gli feci fare molti buchi nel legno delle medesime con un finissimo succhiello. Preparate così le gambe, i bracciali e gli schienali delle poltroncine, cominciai a infilare nei buchi i capelli della regina e così fabbricai il fondo presso a poco come si fa in Inghilterra per i mobili di giunco. Poi regalai le poltrone alla regina che le mise nel suo armadio come oggetti rari. Una volta voleva anche che mi mettessi a sedere in una di quelle poltrone, ma mi rifiutai, protestando che mi sarei fatto uccidere mille volte piuttosto che posare una parte così ignobile del mio corpo sopra i nobilissimi capelli che avevano avuto l'onore di adornare la testa di sua maestà. In seguito, con altri di quei capelli, mi divertii anche a fabbricare un borsellino lungo circa cinque piedi, col nome della regina intessutovi a lettere d'oro; e col permesso di lei lo regalai a Glumdalclitch, la quale vi teneva qualcuno di quei ninnoli così cari alle bambine, perché la borsa non avrebbe potuto sostenere neppure il peso di qualche monetina d'oro. Così dimostravo il mio ingegno inventivo in fatto di meccanica. Il re era appassionato per la musica e dava spesso dei concerti; io vi 109

assistevo stando nella mia scatola, ma il fragore era tale da impedirmi di distinguere qualunque motivo: tutti i tamburi e le trombette del nostro regio esercito, rullando e sonando insieme vicino al mio orecchio, non avrebbero pareggiato quello strepito; sicché solevo farmi mettere con la mia scatola nell'angolo più lontano dai sonatori, chiudere porte e finestre e tirare le tende; con queste cautele la loro musica mi faceva un effetto non dispiacevole. La mia balietta aveva in camera un clavicembalo sul quale si eserciva due volte la settimana col proprio maestro. Io, che da giovane avevo imparato codesto strumento, ebbi un giorno il capriccio di far sentire al re e alla regina un'arietta inglese; ma era difficilissimo riuscirvi, perché il clavicembalo era lungo quasi sessanta piedi e i tasti erano larghi un piede, sicché non potevo raggiungerne più di cinque con ambo le braccia aperte, e di più mi toccava tirare dei fortissimi pugni sopra un tasto per cavarne un suono. Pensai allora di far porre un palco accanto alla tastiera, quindi presi due bastoni grossi come una comune mazza da passeggio e ne rinvoltai l'estremità in una pelle di topo, per risparmiare i tasti e non alterarne il suono. Montando così sul palco e correndo con tutta la velocità e sveltezza possibile, battevo a più non posso or qua or là sulla tastiera; e così riuscii a eseguire una giga inglese con gran diletto dei sovrani. Però devo confessare che mai esercizio fu più violento e faticoso di codesto; inoltre, per quanto facessi, non potevo mai raggiungere un'estensione maggiore di sedici tasti e dovevo perciò fare a meno dell'accompagnamento, togliendo gran parte dell'effetto alle mie esecuzioni. Spesso il re – uomo, l'ho già detto, molto intelligente – voleva ch'io gli fossi portato nel suo gabinetto entro la mia scatola, che veniva posata sulla tavola; allora tiravo fuori dalla scatola una seggiola e mi ci mettevo a sedere in modo da trovarmi all'altezza della faccia del sovrano: così parlavamo spesso insieme. Una volta mi permisi di osservargli come non fosse degno del suo illuminato intelletto nutrire tanto disprezzo per l'Europa e per il resto del mondo; perché la ragione non ha a che fare con la grandezza del corpo e anzi, nel nostro paese, era stato osservato che gli uomini più grossi erano di solito i meno intelligenti; come del resto tra gli animali i più industriosi e ingegnosi sono le api e le formiche. Finalmente conclusi che speravo di poter rendere grandi servigi a sua maestà ad onta del poco caso che faceva di me. Il re mi ascoltò attentamente e si formò d'allora in poi una migliore opinione sul conto mio. Egli volle anzi che gli parlassi minutamente della politica dell'Inghilterra, assicurandomi che, per quanto di solito i governanti (a giudicare da quel che gli avevo narrato) siano attaccati ai loro usi e ai loro concetti, egli si sarebbe fatto premura di imitare ciò 110

CAPITOLO VI.<br />

Svariati trattenimenti coi quali l'autore diverte il re e la regina – Sue<br />

prodezze musicali – Egli ragguaglia il re dello stato dell'Europa, e sua<br />

maestà gli fa qualche osservazione su codesto proposito.<br />

Un paio di volte alla settimana assistevo al levarsi del sovrano, e qualche<br />

volta restavo a parlare con lui anche mentre si faceva fare la barba; spettacolo<br />

che, da principio, mi faceva paura, perché il rasoio del barbiere era lungo il<br />

doppio d'una nostra falce; secondo l'uso del paese sua maestà si faceva radere<br />

soltanto due volte ogni otto giorni.<br />

Un giorno chiesi al barbiere qualche pelo della barba del re; poi presi un<br />

pezzetto di legno in cui feci con un ago molti buchi a egual distanza l'uno<br />

dall'altro e, infilandovi dentro convenientemente i peli, ne ottenni un bel<br />

pettine. Mi fu utilissimo perché il mio era rotto da un pezzo e non serviva più,<br />

né v'era nel paese un operaio capace di fabbricarmene un altro. Mi procurai<br />

anche un altro svago, facendomi dare dalla cameriera particolare della regina i<br />

capelli che cadevano alla sovrana mentre si faceva pettinare. Quando ne ebbi<br />

una quantità sufficente feci fare allo stipettaio di corte due poltrone eguali a<br />

quelle che stavano nella mia casetta, e gli feci fare molti buchi nel legno delle<br />

medesime con un finissimo succhiello. Preparate così le gambe, i bracciali e gli<br />

schienali delle poltroncine, cominciai a infilare nei buchi i capelli della regina e<br />

così fabbricai il fondo presso a poco come si fa in Inghilterra per i mobili di<br />

giunco. Poi regalai le poltrone alla regina che le mise nel suo armadio come<br />

oggetti rari. Una volta voleva anche che mi mettessi a sedere in una di quelle<br />

poltrone, ma mi rifiutai, protestando che mi sarei fatto uccidere mille volte<br />

piuttosto che posare una parte così ignobile del mio corpo sopra i nobilissimi<br />

capelli che avevano avuto l'onore di adornare la testa di sua maestà.<br />

In seguito, con altri di quei capelli, mi divertii anche a fabbricare un<br />

borsellino lungo circa cinque piedi, col nome della regina intessutovi a lettere<br />

d'oro; e col permesso di lei lo regalai a Glumdalclitch, la quale vi teneva<br />

qualcuno di quei ninnoli così cari alle bambine, perché la borsa non avrebbe<br />

potuto sostenere neppure il peso di qualche monetina d'oro. Così dimostravo il<br />

mio ingegno inventivo in fatto di meccanica.<br />

Il re era appassionato per la musica e dava spesso dei concerti; io vi<br />

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