I VIAGGI DI GULLIVER.pdf
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giardiniere, che mi conosceva e m'era assai affezionato, ebbe una paura terribile. Mi prese in mano con premura e mi domandò come mi sentivo; ma il mio spavento e la velocità della corsa m'avevano tolto il fiato, tanto che mi occorsero parecchi minuti prima che potessi rispondere. Quando fui riportato là dove il cagnolino m'aveva trovato, Glumdalclitch era in preda alle più crudeli ansie, non vedendomi più, e mi chiamava disperatamente; essa sgridò anche il giardiniere per la colpa commessa dal suo pomero. Tuttavia decidemmo di non parlare a corte di codesta avventura, perché la bimba temeva i rimproveri della regina, ed io m'accorgevo d'avervi fatto una parte piuttosto ridicola. D'allora in poi la mia balietta deliberò di non perdermi mai di vista. Io temevo da un pezzo codesta sua decisione, e per evitarla le avevo tenuto nascosti parecchi incidenti spiacevoli che m'erano capitati. Ero stato lì lì per essere portato via da un cervo volante, dal quale mi salvai nascondendomi dietro una spalliera e difendendomi col mio coltello; un'altra volta rimasi inghiottito fino al collo in un buco da talpe; infine poco mancò non mi rompessi una spalla battendola contro un guscio di lumaca, sul quale ero caduto pensando alla mia diletta Inghilterra. Nelle mie solitarie passeggiate mi accorgevo – non so se con compiacenza o con dispetto – che gli uccellini non avevano di me alcun timore e mi si accostavano a meno di un yard, cercando i bachi ed altri cibi, come se io non esistessi neppure; una cornacchia spinse la sfacciataggine fino a togliermi di mano un pezzo di biscotto che Glumdalclitch mi aveva dato. Se cercavo d'afferrare qualcuno di codesti uccelli, mi si rivoltava contro, mi minacciava col becco e poi ricominciava a cercare bachi o chicchi di grano come se nulla fosse stato. Un giorno tirai con tutta la mia forza un bastone contro un cardellino, e lo colsi così bene da farlo cadere. Ma quando, prendendolo per il collo, mi provai a trascinarlo in trionfo là dove Glumdalclitch mi aspettava, l'uccello, che era soltanto stordito, cominciò a tirarmi tali colpi d'ala, che ero già sul punto di lasciarlo andare, quando venne un servo in mio soccorso. Codesto volatile era grosso come un nostro cigno; e il giorno seguente me ne fu servita a pranzo una bella porzione. Spesso le damigelle d'onore della regina invitavano Glumdalclitch a portarmi nelle loro stanze per potermi non soltanto vedere, ma anche toccare; ciò che sembrava dilettarle assai. Esse si divertivano a spogliarmi nudo e poi m'íntroducevano nel loro seno. Questo svago mi piaceva pochissimo, a causa dell'acre odore che tramandava la loro pelle. Né dico questo per dare una cattiva 103
idea della pulizia personale di codeste rispettabilissime damigelle, che senza dubbio si tenevano così bene come qualsiasi donna inglese della loro classe; ma era la mia relativa piccolezza che rendeva sensibilissimo il mio naso. Mi ricordo, a questo proposito, che quando ero a Lilliput, un amico mi disse in confidenza, durante un giorno d'estate in cui avevo fatto molto moto, che il mio corpo mandava un profumo niente affatto gradevole; eppure io sono forse meno soggetto di qualsiasi altro uomo a codesto inconveniente. Ora, è probabile che la delicatezza d'olfatto di quel lillipuziano fosse eguale, in proporzione, a quella che possedevo io in confronto di questa razza gigantesca. Soltanto la regina e Glumdalclitch, la mia balietta, facevano eccezione; sia detto per giustizia: esse avevano una pelle così profumata come quella d'una signora inglese. Ma le mie visite mattutine alle damigelle d'onore mi dispiacevano specialmente pel fatto ch'esse, considerandomi come un essere insignificante, mi trattavano senza nessun complimento, e non si facevano scrupolo di spogliarsi in mia presenza, levandosi anche la camicia mentre mi trovavo sulla loro specchiera e costringendomi a vederle, contro mia voglia, completamente nude. Dico contro voglia, perché quella vista, in luogo di solleticarmi piacevolmente, mi cagionava soltanto orrore e nausea. La loro pelle era ruvida e chiazzata, con certi nei, qua e là, larghi come scodelle; e i capelli erano grossi come corde. Sul resto sarà meglio non insistere. E questo non basta; esse non avevano vergogna di soddisfare in mia presenza a un certo bisogno, in un pitale della capacità di due o tre tini. La più belloccia di codeste damigelle, una ragazza di sedici anni, una vera pazzerella, si divertiva qualche volta a mettermi a cavallo sopra uno dei suoi capezzoli, e mi faceva una quantità d'altri scherzi, che non è qui il caso di raccontare. Essa finì col venirmi tanto a noia, che dovetti pregare Glumdalclitch di non lasciarmi mai solo con lei. Una volta un giovinotto, nipote della cameriera di Glumdalclitch, le invitò ambedue a recarsi con lui a vedere il supplizio d'un assassino. La mia balietta non voleva accettare; ma poi finì col cedere, e anch'io volli vedere quello spettacolo, benché mi ripugnasse, come oggetto di studio e di curiosità filosofica. Il condannato era legato sopra uno sgabello, sull'alto del patibolo; e gli tagliarono la testa, d'un sol colpo, con una sciabola lunga quaranta piedi. Dalle arterie del collo uscì uno zampillo di sangue più alto del grande jet 104
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idea della pulizia personale di codeste rispettabilissime damigelle, che senza<br />
dubbio si tenevano così bene come qualsiasi donna inglese della loro classe; ma<br />
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Mi ricordo, a questo proposito, che quando ero a Lilliput, un amico mi disse<br />
in confidenza, durante un giorno d'estate in cui avevo fatto molto moto, che il<br />
mio corpo mandava un profumo niente affatto gradevole; eppure io sono forse<br />
meno soggetto di qualsiasi altro uomo a codesto inconveniente. Ora, è probabile<br />
che la delicatezza d'olfatto di quel lillipuziano fosse eguale, in proporzione, a<br />
quella che possedevo io in confronto di questa razza gigantesca. Soltanto la<br />
regina e Glumdalclitch, la mia balietta, facevano eccezione; sia detto per<br />
giustizia: esse avevano una pelle così profumata come quella d'una signora<br />
inglese.<br />
Ma le mie visite mattutine alle damigelle d'onore mi dispiacevano<br />
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nude. Dico contro voglia, perché quella vista, in luogo di solleticarmi<br />
piacevolmente, mi cagionava soltanto orrore e nausea. La loro pelle era ruvida e<br />
chiazzata, con certi nei, qua e là, larghi come scodelle; e i capelli erano grossi<br />
come corde. Sul resto sarà meglio non insistere.<br />
E questo non basta; esse non avevano vergogna di soddisfare in mia<br />
presenza a un certo bisogno, in un pitale della capacità di due o tre tini. La più<br />
belloccia di codeste damigelle, una ragazza di sedici anni, una vera pazzerella,<br />
si divertiva qualche volta a mettermi a cavallo sopra uno dei suoi capezzoli, e<br />
mi faceva una quantità d'altri scherzi, che non è qui il caso di raccontare. Essa<br />
finì col venirmi tanto a noia, che dovetti pregare Glumdalclitch di non lasciarmi<br />
mai solo con lei.<br />
Una volta un giovinotto, nipote della cameriera di Glumdalclitch, le invitò<br />
ambedue a recarsi con lui a vedere il supplizio d'un assassino. La mia balietta<br />
non voleva accettare; ma poi finì col cedere, e anch'io volli vedere quello<br />
spettacolo, benché mi ripugnasse, come oggetto di studio e di curiosità<br />
filosofica. Il condannato era legato sopra uno sgabello, sull'alto del patibolo; e<br />
gli tagliarono la testa, d'un sol colpo, con una sciabola lunga quaranta piedi.<br />
Dalle arterie del collo uscì uno zampillo di sangue più alto del grande jet<br />
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