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Giorgio Lambri L’osteria del c<strong>in</strong>ghiale nero<br />

spiegare giovanotto. E’ una lunga storia. Forse non dovrei nemmeno<br />

par<strong>la</strong>rne».<br />

Improvvisamente <strong>la</strong> narrazione non era più melodrammatica. Ed anche<br />

lo sguardo di Balsamo si era fatto stranamente serio e pensieroso. Fece<br />

una lunga pausa e nel frattempo accese <strong>la</strong> pipa.<br />

«Volevo vedere bene quel<strong>la</strong> bestia negli occhi mentre moriva» disse <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e<br />

il Balsamo.<br />

Un brusio di stupore - e di disappunto - seguì <strong>la</strong> frase del colonnello. Tutti<br />

lo ascoltavano, f<strong>in</strong>almente.<br />

«Vedete, cari amici, io non ho mai avuto paura del<strong>la</strong> morte. Non perché<br />

mi ritenga più coraggioso di chi <strong>la</strong> teme o l’aspetta come l’estrema terribile<br />

condanna. Il fatto è che non ho mai conosciuto il suo vero volto. Quando<br />

vidi mio padre nel<strong>la</strong> bara i becch<strong>in</strong>i lo avevano già rimesso a posto. Il<br />

segno del<strong>la</strong> pallotto<strong>la</strong> era sparito dal<strong>la</strong> tempia. Lo sguardo era sereno,<br />

quasi assente. Eppure mio padre si era sparato per <strong>la</strong> disperazione. Per<br />

non subire l’onta di un processo. Quel<strong>la</strong> che vedevo, pensai, non poteva<br />

essere l’espressione del<strong>la</strong> sua morte. E da quel giorno ho sempre cercato<br />

di capire quale fosse quell’espressione».<br />

La Trattoria del C<strong>in</strong>ghiale Nero era pervasa da un gelido silenzio. E le<br />

parole del colonnello lo tagliavano come affi<strong>la</strong>te <strong>la</strong>me.<br />

«Ho studiato <strong>la</strong> morte con tenacia, f<strong>in</strong> da quando <strong>la</strong> mia famiglia volle che<br />

mi <strong>la</strong>ureassi <strong>in</strong> chirurgia ed entrassi nell’esercito come ufficiale medico.<br />

Un giorno a Stoccolma conobbi un illustre endopatologo svedese, un<br />

lum<strong>in</strong>are del<strong>la</strong> medic<strong>in</strong>a. Teneva una re<strong>la</strong>zione ad un convegno medico:<br />

par<strong>la</strong>va di una suggestiva teoria sull’immag<strong>in</strong>e che resta fissa nell’iride<br />

al momento del trapasso. Volli par<strong>la</strong>rgli di persona. Lo seguii nel suo gab<strong>in</strong>etto<br />

scientifico e gli chiesi se veramente lui conoscesse il volto del<strong>la</strong> morte.<br />

“Certo” fu <strong>la</strong> sua immediata risposta.<br />

Ero al settimo cielo.<br />

Mi spiegò che aveva svolto lunghi studi prelevando i bulbi ocu<strong>la</strong>ri di<br />

cent<strong>in</strong>aia di cadaveri e che osservando l’iride con una speciale lente di<br />

sua creazione si riusciva a leggere quali fossero state le immag<strong>in</strong>i che gli<br />

occhi di chi stava esa<strong>la</strong>ndo l’ultimo respiro avevano fissato.<br />

Ma erano solo bugie. O meglio, suggestioni. Da quelle lenti non si<br />

dist<strong>in</strong>guevano che ombre <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ite.<br />

Quell’uomo era come me: stava cercando una risposta. O forse peggio: si<br />

era illuso di aver<strong>la</strong> trovata, ma non era vero. Fu un’<strong>in</strong>dicibile delusione».<br />

Il colonnello si fermò per sorseggiare il suo brandy. Improvvisamente<br />

corrugò <strong>la</strong> fronte e una smorfia di dolore gli segnò il viso. «Scusate - disse<br />

- è questo vecchio cuore che fa i capricci».<br />

Poi proseguì nel<strong>la</strong> sua <strong>in</strong>credibile storia, come tutti impazientemente<br />

aspettavamo.<br />

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