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Giorgio Lambri L’osteria del pesce fritto<br />

Il silenzio era greve come un macigno. Nessuno pensava anche solo<br />

lontanamente di <strong>in</strong>tervenire. Spasse<strong>in</strong> aveva fatto qualche passo avanti<br />

ed il suo compagno di gioco lo aveva subito imitato. Ormai erano a non<br />

più di due metri di distanza e si fissavano con odio. Tutto <strong>la</strong>sciava presagire<br />

che sarebbe f<strong>in</strong>ita <strong>in</strong> lite. Un bel match, anche quello, perché se <strong>la</strong><br />

preponderanza fisica di Felic<strong>in</strong>o era apparentemente netta, bisognava<br />

però tener presente che Spasse<strong>in</strong> era un uomo forte e che <strong>in</strong> gioventù era<br />

stato campione regionale dei pesi medi.<br />

Adelmo, dietro al bancone, già pensava preoccupato alle suppellettili da<br />

mettere <strong>in</strong> salvo. Nessuno avrebbe chiamato al 113 e nessuno - almeno<br />

all’<strong>in</strong>izio - li avrebbe divisi.<br />

Ancora due passi avanti. Ormai gli ex-soci erano a un metro di distanza.<br />

Felic<strong>in</strong>o aveva serrato i pugni, Spasse<strong>in</strong> già adocchiava <strong>la</strong> più vic<strong>in</strong>a sedia,<br />

sua potenziale, preziosa alleata.<br />

Mancava davvero un nul<strong>la</strong> allo scontro fisico, quando una voce bassa ma<br />

perfettamente comprensibile, proveniente da un angolo <strong>in</strong>def<strong>in</strong>ito del<strong>la</strong><br />

stanza aveva bloccato tutti: «Adesso basta».<br />

E tutti si erano girati verso l’angolo del Professore. Cioè <strong>in</strong> direzione del<br />

tavol<strong>in</strong>o <strong>in</strong> cui ogni matt<strong>in</strong>a prendeva posto il professor Franco Bianchi,<br />

con l’Unità e un grosso bloc-notes sotto braccio. Per quarant’anni lui era<br />

stato <strong>in</strong>segnante di italiano al Faust<strong>in</strong>i. A ur<strong>la</strong>cci e p<strong>la</strong>ttoni sul<strong>la</strong> nuca<br />

aveva <strong>in</strong>culcato nelle teste più dure e <strong>in</strong>ossidabili l’amore per Manzoni e<br />

Dante, per le poesie di Carducci e i racconti di Buzzati. Nessuno aveva<br />

mai osato rispondergli. E nessuno lo avrebbe fatto nemmeno quarant’anni<br />

dopo. Men che meno Felic<strong>in</strong>o e Spasse<strong>in</strong>, da sempre compagni di banco<br />

e che dal Professore avevano preso ripetizioni estive tre anni a fi<strong>la</strong>, per<br />

evitare di essere bocciati.<br />

«Adesso basta» ripetè l’ometto. Nessuno lo sentiva aprire bocca da almeno<br />

c<strong>in</strong>que anni. Se ne stava nel suo angolo a leggere il giornale e prendere<br />

appunti, nessuno sapeva cosa scrivesse. Ord<strong>in</strong>ava un caffé e un bicchiere<br />

d’acqua m<strong>in</strong>erale. Alle dieci usciva a fumare un Marlboro e al rientro<br />

ord<strong>in</strong>ava un secondo caffé. Cont<strong>in</strong>uava a scrivere fitto fitto su quel blocnotes<br />

f<strong>in</strong>o a mezzogiorno <strong>in</strong> punto, quando si avvic<strong>in</strong>ava al bancone,<br />

ord<strong>in</strong>ava e beveva un bianco macchiato, pagava a e usciva. A volte, non<br />

tutti i giorni, tornava anche al pomeriggio. Ord<strong>in</strong>ava un altro caffé e si<br />

tuffava nel<strong>la</strong> lettura dei suoi appunti.<br />

«F<strong>in</strong>ite<strong>la</strong>, o vi prendo a schiaffi tutti e due» tuonò il Professore. E per<br />

quanto <strong>la</strong> sua voce non fosse certo da baritono, il tono era talmente<br />

imperioso da non ammettere repliche. «Cosa volete fare? Mandare a quel<br />

paese un’amicizia per una carta sbagliata? Siete proprio due as<strong>in</strong>i! Avrei<br />

dovuto bocciarvi trent’anni fa anziché aiutarvi. Somari!».<br />

Una sfuriata <strong>in</strong> piena rego<strong>la</strong>. Di quelle che erano frequenti all’ormai<br />

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