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Giorgio Lambri L’osteria del pesce fritto<br />
chiacchierare, schiamazzare. Tutti gli occhi erano fissi su quel tavolo nel<br />
momento <strong>in</strong> cui Giuseppone aveva ca<strong>la</strong>to <strong>la</strong> mano v<strong>in</strong>cente,<br />
autoproc<strong>la</strong>mandosi v<strong>in</strong>citore. Tutti volevano vedere, sapere, capire.<br />
Perf<strong>in</strong>o i muri, perf<strong>in</strong>o i vecchi posacenere rimasti sui tavoli <strong>in</strong> barba ai<br />
divieti, come un’<strong>in</strong>spiegabile ma pervicace icona dell’assioma per cui non<br />
si può giocare a carte senza fumare (e viceversa).<br />
Come tutte le grandi sfide, anche quel<strong>la</strong> - <strong>in</strong>izialmente - aveva <strong>in</strong> parte<br />
deluso il suo attento pubblico. Giuseppone e Fa<strong>in</strong>a avevano facilmente<br />
strapazzato i loro avversari nei primi tre segni a Brisco<strong>la</strong>, ma Felic<strong>in</strong>o e<br />
Spasse<strong>in</strong> si erano subito rifatti <strong>in</strong>fi<strong>la</strong>ndo un c<strong>la</strong>moroso 31-3 nel<strong>la</strong> riv<strong>in</strong>cita<br />
a Tressette.<br />
F<strong>in</strong>o al<strong>la</strong> bel<strong>la</strong> e a un c<strong>la</strong>moroso errore di Felic<strong>in</strong>o. Una dimenticanza<br />
grosso<strong>la</strong>na e <strong>in</strong>spiegabile che aveva permesso al<strong>la</strong> coppia avversaria un<br />
facile e decisivo “strozzo”. Un autogoal al<strong>la</strong> Nicco<strong>la</strong>i che aveva <strong>la</strong>sciato<br />
impietriti tutti, ma soprattutto il socio, che era stato suo testimone di<br />
nozze, ma che da quel momento non gli aveva più rivolto <strong>la</strong> paro<strong>la</strong>. Almeno<br />
f<strong>in</strong>o a che i loro avversari non si erano alzati per gustarsi il trionfo al<br />
bancone.<br />
«Ma scusa, non ti ricordavi che c’era fuori il tre di denari?».<br />
Silenzio tombale.<br />
«Ma nian me nùda ad des ann <strong>la</strong>ss sariss dasm<strong>in</strong>ghè».<br />
Ancora silenzio.<br />
«Una partida tratta via propì da lucc».<br />
Nessuna risposta.<br />
«A tè propì imbambulì. Ansi, sett cusa at dig Felic<strong>in</strong>o? Valà a to<strong>la</strong> <strong>in</strong> dal<br />
cuul».<br />
Quest’ultimo epiteto era stato accompagnato da Spasse<strong>in</strong> con un eloquente<br />
gesto del braccio. Poi Giulio Freschi si era alzato dirigendosi verso l’uscita.<br />
Ma prima che varcasse <strong>la</strong> porta una specie di urlo lo aveva bloccato con<br />
<strong>la</strong> maniglia <strong>in</strong> mano.<br />
«A chi?».<br />
Tutti gli occhi e le orecchie si erano spostate su Felic<strong>in</strong>o.<br />
«A chi hai detto di andar<strong>la</strong> a prendere nel culo?».<br />
L’atmosfera si era fatta greve. Sorpreso dal<strong>la</strong> reazione dell’amico e<br />
compagno di gioco, Spasse<strong>in</strong> si era voltato con <strong>la</strong> chiara voglia di scusarsi<br />
e di ammettere serenamente di aver esagerato. Ma l’orgoglio è spesso il<br />
nostro peggior consigliere.<br />
«A te, l’ho ditt a te. Catt mè fatt perd una partida par una luchèda».<br />
«Vieni qua, vieni a dirmelo <strong>in</strong> faccia».<br />
La voce di Felic<strong>in</strong>o era diventata m<strong>in</strong>acciosa, si era alzato con il suo metro<br />
e novantasette di vigorosa terza età e fissava il suo socio-antagonista con<br />
un atteggiamento che non <strong>la</strong>sciava presagire nul<strong>la</strong> di buono.<br />
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