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Giorgio Lambri L’osteria del pesce fritto<br />
con maestria senza eguali. Una volta queste co<strong>la</strong>zioni erano <strong>la</strong> norma,<br />
annaffiate da scodell<strong>in</strong>i di Gutturnio di Albareto e consumate con il vorace<br />
aplomb di chi <strong>la</strong> fame l’ha conosciuta veramente.<br />
Di fatto, purtroppo, quelle merende sono diventate di questi tempi<br />
soprattutto un vezzo da radical-chic. «Andiamo a mangiarci una picu<strong>la</strong><br />
dall’Annetta, al Pesce Fritto?». La domanda - magari con <strong>la</strong> erre un po’<br />
moscia - è diventata un’orribile prassi di tendenza con cui si tenta di<br />
appropriarsi di tradizioni, gusti e culture che non ci appartengono più.<br />
I nuovi frequentatori (e le nuove frequentatrici) dell’Osteria - quelli che<br />
arrivano all’ora dell’aperitivo con le Smart e gli ombelichi scoperti - si<br />
mesco<strong>la</strong>no ai clienti abituali con lo stesso spirito con cui i visitatori di uno<br />
zoo curiosano tra <strong>la</strong> gabbie, dissuasi dal gettare cibo solo dai cartelli.<br />
Questa nuova generazione di avventori, per quando redditizia, è<br />
malsopportata dai gestori (uno dei quali, qualche mese fa, non ha esitato<br />
ad <strong>in</strong>sultare e buttar fuori dal locale un giovanotto abbronzato che gli si<br />
era rivolto chiamandolo "buon uomo") e tacitamente tollerata da chi<br />
all’Osteria del Pesce Fritto ci abita da sempre. Per chiacchierare e leggere<br />
<strong>la</strong> Libertà. Ma soprattutto per giocare a carte.<br />
Perchè da sempre, lì dentro, si gioca a carte. Brisco<strong>la</strong> e Tressette, Scopone,<br />
Brisco<strong>la</strong> <strong>in</strong> c<strong>in</strong>que, Ciapanò, Terziglio. Partite che <strong>in</strong>iziano al matt<strong>in</strong>o e<br />
non si sa quando f<strong>in</strong>iranno. Carte e marcaro<strong>la</strong> (il blocchetto sponsorizzato<br />
da una vecchia azienda produttrice di amari su cui si segnano i punti)<br />
vengono fornite per <strong>la</strong> non certo onerosa spesa di c<strong>in</strong>quanta centesimi a<br />
giocatore.<br />
Con il v<strong>in</strong>o (bianco o rosso) vengono serviti come stuzzich<strong>in</strong>o anche dei<br />
ciccioli o del<strong>la</strong> mortadel<strong>la</strong> tagliata a dadetti, il sabato anche scaglie di<br />
Grana Padano e fette di sa<strong>la</strong>me.<br />
Ma torniamo al<strong>la</strong> partita del secolo. All’Osteria del Pesce Fritto, quel<br />
giorno, il tempo sembrava fermo. Come se quell’epica sfida fosse sospesa<br />
nel nul<strong>la</strong>. I pensieri più rumorosi e le più sguaiate ubriachezze (compreso<br />
il cupo "abbaiare" di Vittorio, un vecchio operaio <strong>in</strong> pensione dell’Acna,<br />
vedovo e ormai completamente alcolizzato, che - parlottando da solo - se<br />
<strong>la</strong> prendeva con Berlusconi, Prodi, Lippi, Pippo Baudo e chiunque altro<br />
gli passasse per <strong>la</strong> testa) sembravano essersi dissolti. Il vecchio juke-boxe<br />
caricato con brani degli anni ‘60, tanghi e mazurche, ma anche celebri<br />
romanze d’opera, era stato opportunamente spento.<br />
Perf<strong>in</strong>o l’allegro t<strong>in</strong>t<strong>in</strong>nare dei bicchieri ed il sordo richiudersi degli<br />
sportelli del frigo sembravano zittiti. Un silenzio che nessuno avrebbe<br />
anche solo immag<strong>in</strong>ato di profanare, mentre al Tavolo 6 si giocava quel<strong>la</strong><br />
memorabile partita.<br />
Adelmo, il più vecchio ed autorevole dei tre tito<strong>la</strong>ri dell’Osteria, fulm<strong>in</strong>ava<br />
con occhiate al vetriolo chi anche solo pensasse di fare rumore,<br />
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