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Giorgio Lambri L’osteria dei due gemelli<br />

L’OSTERIA DEI DUE GEMELLI<br />

Piero e Oreste sono gemelli siamesi. Omozigoti. Nati a pochi m<strong>in</strong>uti di<br />

distanza l’uno dall’altro: dapprima il frettoloso Piero, irrequieto e ulu<strong>la</strong>nte;<br />

poi il tranquillo Oreste, circospetto e quasi rassegnato già dal giorno <strong>in</strong><br />

cui è venuto al mondo.<br />

Il loro ristorante, che si chiama per l’appunto Osteria dei Due Gemelli,<br />

sta miracolosamente <strong>in</strong> bilico su uno spuntone di montagna, affacciato a<br />

un orrido dell’alta Valtrebbia.<br />

Quattro mura tirate su con i sassi grigi del fiume, il tetto di beo<strong>la</strong>, il<br />

gab<strong>in</strong>etto al<strong>la</strong> turca nel cortile. Tavoloni di legno talmente consumati che,<br />

per quanto occultati da un doppio strato di tovaglie, rive<strong>la</strong>no<br />

<strong>in</strong>equivocabilmente - al tatto - lo sfacelo sottostante. Qualche panca,<br />

grosso<strong>la</strong>namente scolpita da vecchi faggi e una dozz<strong>in</strong>a di sedie spaiate e<br />

zoppicanti. Un’improbabile credenza liberty che occupa un’<strong>in</strong>tera parete<br />

e - nell’angolo opposto del<strong>la</strong> stanza - una longeva stufa di ghisa, tra le<br />

poche suppellettili sopravvissute al<strong>la</strong> frana che ha spazzato via <strong>la</strong> casa<br />

natale dei due gemelli, molti anni prima.<br />

Il tutto shakerato da muri scrostati color azzurro tenue e tappezzato da<br />

riproduzioni <strong>in</strong>giallite di capo<strong>la</strong>vori impressionisti. Vecchi poster che,<br />

nell’ormai lontano 1984, tale Giovanbattista Baracca, sedicente impresario<br />

teatrale, squattr<strong>in</strong>ato, aveva <strong>la</strong>sciato <strong>in</strong> pegno per pagarsi il pranzo<br />

(beccandosi anche, come ricevuta, un poderoso calcio nel sedere da Piero).<br />

Dopo aver seriamente valutato l’opportunità di utilizzarli per accendere<br />

<strong>la</strong> stufa (ma a quel compito assolvevano già <strong>in</strong>appuntabilmente le copie<br />

di “Libertà” dei giorni precedenti), Oreste aveva deciso di metterli <strong>in</strong><br />

quadro con grezze cornici di compensato, per dare un po’ di tono alle<br />

pareti spoglie del<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> da pranzo. Ma lo aveva fatto <strong>in</strong> modo quanto<br />

meno strano: non adattando le cornici ai quadri, ma viceversa. Cosicché<br />

delle “N<strong>in</strong>fee” di Monet rimaneva solo un <strong>in</strong>edito dettaglio del <strong>la</strong>ghetto<br />

sommariamente ritagliato a forbice e di “Autoritratto” di Van Gogh solo<br />

il cappello, <strong>la</strong> fronte e gli occhi spiritati dell’artista o<strong>la</strong>ndese.<br />

Insomma, a voler essere onesti, il locale dei due gemelli è veramente<br />

arredato da schifo. Apparentemente, lì dentro, tutto è brutto, vecchio,<br />

<strong>in</strong>sensato. A com<strong>in</strong>ciare dal bancone del bar, portato via da un’asta<br />

giudiziaria, per poche cent<strong>in</strong>aia di migliaia di lire, dal fallimento di un<br />

famoso night del<strong>la</strong> zona, che negli anni Settanta aveva testato <strong>la</strong> mascol<strong>in</strong>ità<br />

di almeno due generazioni di valligiani. Era di f<strong>in</strong>to marmo color salmone<br />

con certi orribili <strong>in</strong>serti rossi che richiamavano i capitelli bizant<strong>in</strong>i.<br />

Talmente kitsch da risultare quasi orribilmente gradevole, per chi abbia<br />

un senso non troppo formale del buongusto.<br />

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