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università degli studi di napoli federico ii dottorato di ricerca in ...

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proposito del successore <strong>di</strong> Augusto, lo storico sembra voler alludere ad<br />

un’attitu<strong>di</strong>ne falsa, malevola, o almeno subdolamente calcolatrice; se si pone tutto<br />

ciò, credo si potrà guardare con qualche <strong>in</strong>teresse ad un’ipotesi <strong>in</strong>terpretativa <strong>di</strong> IV<br />

2, 3 che <strong>di</strong>a il giusto risalto al s<strong>in</strong>tagma facilis atque pronus. Sulla base delle<br />

precedenti osservazioni <strong>di</strong> natura lessicale, penserei <strong>in</strong>fatti, a questo punto, che la<br />

scelta congiunta <strong>di</strong> facilis e <strong>di</strong> pronus <strong>in</strong> relazione a Tiberio sia stata compiuta<br />

dall’autore sfruttando tutto il potenziale semantico <strong>di</strong> cui essi, lo abbiamo visto,<br />

sono portatori nell’ambito del vocabolario <strong>degli</strong> Annales, potenziale semantico che<br />

evoca un’attitu<strong>di</strong>ne, abbiam detto, <strong>in</strong>gannatrice, subdola, malevola. Tacito, dunque,<br />

ha qui compiuto, a mio avviso, un’operazione storiografica e narrativa <strong>di</strong> grande<br />

rilevanza: nel presentare Seiano come apparentemente detentore <strong>di</strong> un controllo<br />

assoluto sulla personalità <strong>di</strong> Tiberio, lo storico mira <strong>in</strong>vece ad alludere al fatto che<br />

l’imperatore f<strong>in</strong>se, simulò, si atteggiò ad uomo arrendevole e prono nei confronti<br />

del suo prefetto del pretorio, <strong>in</strong> realtà non essendolo, come non lo eran stati, nei<br />

fatti, l’uxor Livia, Druso al cospetto <strong>di</strong> Pisone figlio, Tiberio stesso davanti a Furio<br />

Camillo. Ritengo perciò <strong>di</strong> poter affermare che Tacito allude a ciò che egli<br />

veramente sapeva – o, almeno, pensava – del comportamento del pr<strong>in</strong>ceps nei<br />

confronti del suo braccio destro: il primo sfruttò il secondo, servendosene <strong>di</strong>etro la<br />

fallace apparenza <strong>di</strong> una arrendevolezza forse perf<strong>in</strong>o eccessiva; tale allusione,<br />

giova ripeterlo, si annida <strong>di</strong>etro la apparente presentazione della grande <strong>in</strong>fluenza<br />

esercitata da Seiano sul pr<strong>in</strong>ceps.<br />

Un’ultima osservazione. In Sall. Iug. 80, 3-5 si legge: (Giugurta) impellit<br />

(Bocco) uti advorsum Romanos bellum <strong>in</strong>cipiat. Id ea gratia facilius proniusque<br />

fuit quod Bocchus <strong>in</strong>itio huiusce belli legatos Romam miserat foedus et amicitiam<br />

petitum; quam rem opportunissumam <strong>in</strong>cepto bello pauci impe<strong>di</strong>verant caeci<br />

avaritia (…) 185 . Bocco, dunque, coglie una propizia occasione per ven<strong>di</strong>carsi del<br />

rifiuto precedentemente <strong>in</strong>cassato; eppure, f<strong>in</strong>o a questo punto della narrazione<br />

185 « (Giugurta) lo <strong>in</strong>duce (ogg. è Bocco) a muover guerra ai Romani. Vi riuscì facilmente perché all’<strong>in</strong>izio della<br />

guerra Bocco aveva <strong>in</strong>viato una missione <strong>di</strong>plomatica a Roma a chiedere un trattato d’alleanza e amicizia,<br />

concederla sarebbe stato della più alta utilità per la guerra appena <strong>in</strong>iziata, ma vi si opposero persone accecate dalla<br />

cupi<strong>di</strong>gia (…)» (trad. <strong>di</strong> Li<strong>di</strong>a STORONI MAZZOLANI, Milano 1996 3 ).<br />

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