Ippogrifo 1-2003:Ippogrifo 1/2003 - Comune di Jesi

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22 5/03 UN LIBRO, SOLTANTO UN LIBRO Un libro, soltanto un libro mi ha segnato così tanto da leggerlo e rileggerlo almeno dieci volte, da ricordare a memoria molte delle sue frasi più significative, da provare a farne un modello di vita. Questo libro è “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint – Exupery. La prima volta lessi il libro all’età di dieci anni. Mi piaceva l’idea di un principe dai capelli d’oro, del suo pianeta con i tre vulcani e di tutti quei personaggi così bizzarri.. Non potevo ancora capire cosa c’era dietro quella rosa o quella storia della volpe ma potevo apprezzare la grande abilità e semplicità dell’autore nel narrare le peripezie del piccolo protagonista. Dopo circa sette anni, mi capitò di rileggerlo. Capii subito che in quei sette anni molte cose erano cambiate. Capii che “Il Piccolo principe” non è un libro per bambini. Il libro inizia con una dedica davvero speciale: “A Leone Werth quando era bambino”. Già in quella prima pagina una frase mi colpì molto : “ …tutti i grandi sono stati bambini ma pochi di essi se ne ricordano…” È uno dei temi cardine del libro: nel primo capitolo infatti Saint – Exupery ci narra quando ancora bambino veniva frainteso e non capito dai grandi nel tentativo di disegnare un boa che inghiottisce un elefante, nel momento in cui il piccolo principe incontra l’uomo d’affari e il controllore dei treni. Quest’ultimo dice al principe che gli uomini durante la loro vita prendono tanti treni e si spostano sempre perché non sanno quello che cercano. “Solamente i bambini schiacciano il naso contro i vetri”. Nel secondo capitolo c’è l’incontro tra il narratore e il piccolo principe, nel deserto del Sahara. Il piccolo principe avvicinandosi al narratore, gli chiede subito di disegnarli una pecora per il suo pianeta. E così il piccolo principe inizia a raccontare la sua vita. Nel suo piccolo pianeta ci sono tre vulcani e un fiore speciale trasportato lì dal vento. Il piccolo principe ama così tanto quel fiore che lo innaffia, di notte gli mette una campana di vetro per proteggerlo dal vento e dalle grinfie degli animali. Un giorno però il piccolo principe lascia il suo piccolo pianeta, il suo fiore e incomincia a fare degli incontri davvero particolari in altri pianeti. Parla con un re che governa sul niente, con un vanitoso che vuole soltanto sentirsi adulare, con un ubriacone che vive per dimenticare che ha vergogna di bere, con un uomo d’affari che conta le stelle per possederle e non si distrae un attimo. Infine il lampionaio, il personaggio che il piccolo principe invidia e apprezza di più. In quel pianeta i giorni durano minuti, così il lampionaio ogni minuto deve accendere e spegnere le luci, ma intanto in un giorno si gode millequattrocento tramonti. Il piccolo principe arriva finalmente sulla Terra, nel deserto del Sahara. Qui vedendo un campo di rose uguali a quel fiore che aveva sul suo pianeta e che riteneva unico al mondo, il piccolo principe comincia a piangere. Il nostro protagonista poi incontra la volpe. L’animale chiede subito di essere addomesticato. Secondo la volpe ciò sarà possibile solo con il tempo, solo se con il passare dei giorni lei e il piccolo principe si sederanno sempre più vicini, anche senza parlare, perché come dice la volpe in una frase tanto vera quanto semplicissima “le parole sono fonte di malintesi”. Il piccolo principe inizia a raccontarle del suo rapporto con la rosa che pensava unica al mondo e invece ce ne sono cinquemila. Ma la volpe, voce di Saint – Exupery dice che ciò che rende davvero importante una rosa, o una persona è il tempo passato a proteggerla dai venti freddi, a sentirla vantarsi e piangere, a farla crescere. La volpe ribadisce il concetto con la frase probabilmente più bella del libro: “l’essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che con il cuore”. Il piccolo principe termina il suo racconto e inizia con Saint – Exupery la ricerca metafisica dell’acqua, per colmare la sete dovuta a giorni e giorni di permanenza nel deserto. L’acqua che troveranno in un pozzo sarà molto più dissetante di qualsiasi altra acqua perché è il frutto di giorni di attesa, di ricerca. Qui rivolgendosi all’autore il piccolo principe dimostra di aver capito la lezione della volpe: “Da te gli uomini cercano e non trovano quello che vogliono in cinquemila rose, ma lo potrebbero trovare in una sola rosa, in un po’ d’acqua”. A questo punto il piccolo principe può lasciare la Terra, dopo essere stato morso da un serpente e tornare al suo pianeta, alla sua rosa unica al mondo. L’ultima richiesta che fa il piccolo principe è una museruola per quella pecora che Saint – Exupery aveva all’inizio disegnato, in modo che poi non possa mangiare il suo fiore. Il libro termina con la convinzione di Saint – Exupery che tutto cambi nell’Universo, per lui e per chi come lui, ha amato il piccolo principe se il fiore sia stato mangiato o meno da quella pecora e come i grandi, questo, non lo potranno mai capire. A distanza di pochi mesi ho riletto tante altre volte “Il piccolo principe”. È diventato una parte di me. Mi ha cambiato. Parafrasando Gibran, il piccolo principe mi ha fatto capire che è nella rugiada delle piccole cose che il cuore trova il suo mattino e si ristora. Un saluto all’italiano più italiano che ci sia ALBERTONE, SEI TUTTI NOI Si è spento, a 82 anni, il 25 febbraio a Roma. Ma solo per l'anagrafe. Alberto Sordi continuerà a vivere nei cuori della gente comune di cui si è fatto espressione per tutta una vita, nelle risate sincere e genuine che ha suscitato in ognuno di noi, in quella punta di amarezza e malinconia che talvolta trapelava attraverso le maschere tragicomiche dei suoi storici personaggi. No, Albertone non può morire. Come immortali sono quel "faccione", quel timbro caldo di voce che ha "regalato" in storici doppiaggi e quella inimitabile camminata. Per tutta una vita, Sordi ha fatto del proprio pubblico il più caro confidente, rendendolo oggi erede di un inedito ritratto d'Italia, fedele alla realtà a tal punto da permettere a chiunque sia seduto davanti allo schermo di vestire i panni del protagonista. L'attore, attraverso la sua straordinaria arte, si è armato di tavolozza e pennello e si è messo lì, a dipingere ogni personaggio nei suoi tratti caratterizzanti, servendosi dei colori dell'ironia, dell'ilarità, della spensieratezza, magistralmente mescolati a quelli della tristezza, della malinconia e della solitudine. Mattia Vico L.C., II A L'immagine che ne esce è quella di una figura plastica, a tutto tondo, incisiva tanto per fisicità e nei gesti, quanto per spessore psicologico. I suoi personaggi incarnano i vizi e le virtù, le debolezze e i punti di forza del tipico italiano. “Ho voluto far l’attore a tutti i costi perché ho desiderato, fin dall’inizio, ispirarmi alla gente comune”. Questo ha detto in un’intervista riproposta sugli schermi il giorno dopo la sua morte. Ogni italiano deve a Sordi il fatto di averlo reso protagonista. I suoi film sono capolavori e tali erano considerati ancor prima della sua morte. Lo stesso dicasi dei suoi personaggi. Gli italiani e Roma, in particolar modo, volevano, vogliono bene a Sordi come a nessun altro personaggio dello spettacolo. A testimoniarlo sono stati quella folla oceanica presente ai suoi funerali e quel continuo pellegrinaggio, durato giorni, alla camera ardente del Campidoglio. Questo vuole essere un omaggio all’ambasciatore d’Italia per eccellenza, all’emblema di ogni italiano che si senta veramente tale. Chiara Santarelli L.C., III A
PRIMO LIBBRO L’ILIADE E ... L’ILIADE TRAVESTITA Iliade, Iliade…quante generazione l’hanno odiata…eppure traduzioni e commenti di un certo rilievo la classificano come una delle opere più belle dell’antichità. Noi ne abbiamo trovata una versione un po’ particolare, nascosta nella biblioteca del nostro Liceo. Chissà che qualcuno, leggendo queste righe, non impari ad apprezzarla.. ‘Na ‘olta Achille s’astizzò de grosso e fece ‘na cagnara buzzarona nientemeno co’ Artride, e sto colosso quanno tel vidde che, non se cojona, come ‘na tigra je volea gi’ addosso, se dice che ciavesse ‘na cagona, peggio de quella, vojo esse’ sincero, ch’io adè ciavria sci rsuscitasse Omero. Quel c’ha penado i Greci, pori ca’, pe sta scenada nfra l’Artride e Achille, quessa è ‘na cosa che Dio solo el sa! Se tratta che ‘l colèra più de mille ‘gni du’ o tre giorni ne facea crepà… E tutto po’ per via de ‘n imbecille, de quel’Artride, de quel prepotente, che ciavèa ‘l gusto d’inzultà la gente. Era gito da lu Crise, un bon prede Co’ moje fiii e resto, in compagnia D’un sacco pieno zeppo de monede D’oro, dicenno: la fedaccia mia ‘rdademe, eppò nfra tutti quanti sede, quanno nualtri semo gidi via, spartide sti guadrì ch’è tanti belli, me raccomando, da boni fradelli. Je fece al prede tutte le persone ‘na sbattuta de ma’ pe ssa rtroada, ma, finido quel chiasso, Agamennone, che stava facenno ‘na pippada stravolto come ‘n porco in du’ poltrone, dopo d’aveje datto ‘na guardada da mette freddo, je tirò la pippa e je cchiappò nte mmezzo de la trippa. Eppò sgaggiò: brutta cornacchia, senti, bada a gi’ a casa, chè sci te ce pio ‘n’antra olta vicino ai bastimenti, fai la morte del pollo, el digo io; non te ciazzardà più, chè te ne penti Scibbè che ciài la proteziò de’n Dio; la fija tua me piace multobè, finchè me piace à da sta chi commè. Per pogo ‘n cascò giù da la paura el poro predarello a ste parole e a vedè quela faccia tanta scura: s’arcomannò tremanno al Dio del Sole, eppò strillando come ‘na cratura quanno che non po’ avè quelo che vòle, nte na maniera da fa piagne un sasso, sgappò via più de fuga che de passo. (Jacopone da Jesi “Iliade travestita”) LIBRO I, vv 1- 36 Cantami, o dea, l’ira d’Achille Pelide, rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde d’eroi, ne fece il bottino dei cani, di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compivada quando prima si divisero contendendo l’Atride signore di eroi e Achille glorioso Ma chi fra gli dei li fece lottare in contesa? Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re, mala peste fe’ nascer nel campo, la gente moriva, perché Crise l’Atride trattò malamente, il sacerdote; costui venne alla navi rapide degli Achei per liberare la figlia con riscatto infinito, avendo tra mano le bende d’Apollo che lungi saetta, intorno allo scettro d’oro, e pregava tutti gli Achei ma sopra tutto i due Atridi, ordinatori di eserciti: “Atridi, e voi tutti, Achei schinieri robusti, a voi diano gli dei, che hanno le case d’Olimpo, d’abbattere la città di Priamo, di ben tornare in patria, e voi liberate la mia creatura, accettate il riscatto, venerando il figlio di Zeus, Apollo che lungi saetta. Allora gli altri Achei tutti acclamarono, fosse onorato quel sacerdote, accolto quel ricco riscatto. Ma non piaceva in cuore al figlio d’Atreo, Agamennone, e lo cacciò malamente, aggiunse comando brutale: “ Mai te colga, vecchio, presso le navi concave, non adesso a indugiare,non in futuro a tornare, che non dovesse servirti più nulla lo scettro, la benda del Dio! Io non la libererò: prima la coglierà vecchiaia nella mia casa, in Argo, lontano dalla patria, mentre va e viene al telaio e accorre al mio letto ma vattene, non mi irritare, perché sano a salvo tu parta”. Disse così, tremò il vecchio, ubbidì al comando, e si avviò in silenzio verso la riva del mare urlante; ma poi, venuto in disparte, molto il vegliardo pregò il sire Apollo che partorì Latona bella chioma. (Omero “Iliade” traduzione di R. Calzecchi Onesti) Rosa Coscia L.C., II C Exechias, Achille e Aiace che giocano ai dadi, ca 550-525 a.C. Ceramica dipinta a figure nere, alteza 61 cm. (particolare). Città del Vaticano, Museo Etrusco-Gregoriano. 23 5/03
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