03.La Confraternita Del Pugnale Nero_PORPORA
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«Preferisci che vi lasci soli?» chiese Marissa. Il grosso portone si aprì e si richiuse. Si udirono delle voci soffocate, una era quella del doggen, l'altra... era di Bella. Facendo forza sul bastone, Rehvenge si alzò in piedi mentre la sorella si affacciava sulla soglia. Indossava un paio di blue-jeans e un parka nero, i lunghi capelli lucidi sciolti sulle spalle. Aveva un'aria... viva, sana. Ma il suo viso mostrava già i segni dell'età, nuove rughe dovute allo stress e alla preoccupazione erano comparse ai lati della bocca. Rehvenge si aspettava che corresse ad abbracciarlo, invece lei si limito a guardarlo... isolata, irraggiungibile. O forse era così frastornata, dopo tutto quello che aveva passato, da non avere più reazioni da mostrare al mondo, pensò. Con le lacrime agli occhi, si appoggiò al bastone e corse da lei, anche se non riusciva a sentire il tappeto sotto i piedi. Colse l'espressione scioccata sul viso della sorella quando la strinse a sé. Vergine santa. Quanto avrebbe voluto sentire quell'abbraccio. Poi, all'improvviso, pensò che Bella forse non lo stava ricambiando. Non volendo forzarla, si impose di lasciarla andare. Quando abbassò le braccia, lei rimase aggrappata a lui, senza staccarsi. Rehvenge la abbracciò di nuovo. «Oh, Dio, Rehvenge...» sospirò Bella rabbrividendo. «Ti voglio bene, sorellina» disse lui con un filo di voce. Senza vergognarsi di apparire meno virile del dovuto.
Capitolo 42 O uscì subito dal portone della villa lasciandolo spalancato alle sue spalle. Mentre scendeva lungo il viale d'accesso, la neve turbinava nel vento gelido. La vista di quel ritratto era come un'eco nel suo cervello che non accennava a spegnersi. Aveva ucciso la sua donna. L'aveva massacrata di botte. Dio, avrebbe dovuto portarla da un medico. O forse, se quello sfregiato non gliel'avesse portata via, sarebbe sopravvissuta... Forse era morta a causa del trasferimento. Dunque era stato lui a ucciderla? O invece non sarebbe morta se fosse rimasta insieme a lui? E se... Oh, al diavolo. Cercare la verità a furia di «se» e di «forse» era una stronzata pazzesca. Lei era morta e lui non aveva niente da seppellire perché quel bastardo sfregiato gliel'aveva portata via. Punto e basta. All'improvviso, in fondo al viale, scorse i fari di un'automobile. Quando fu un po' più vicino, vide che un SUV nero si era fermato davanti al cancello. Maledetto Beta. Cosa cazzo stava facendo? Non gli aveva ancora telefonato per dirgli di venire, e poi quello era il posto sbagliato... Ma, un momento: era una Range Rover, non un Explorer. Attraversò il prato innevato mantenendosi nell'ombra. Era a un paio di metri dal cancello quando il finestrino della Rover si abbassò. Udì una voce femminile che diceva: «Con tutto quello che è successo a Bella non so se sua madre accetterà di riceverci, ma possiamo fare un tentativo». O si avvicinò al cancello e tirò fuori la pistola, nascondendosi dietro uno dei pilastri. Vide una fiammata di capelli rossi quando la femmina al volante si sporse dal finestrino per suonare il citofono. Accanto a lei, sul sedile del passeggero, c'era un'altra femmina, una biondina con i capelli corti. Quest'ultima disse qualcosa e la rossa fece un sorrisetto mettendo in mostra le zanne. Suonò di nuovo il citofono, e O si fece avanti. «In casa non c'è nessuno» disse ad alta voce.
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