03.La Confraternita Del Pugnale Nero_PORPORA
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eazione di certi neurotrasmettitori, garantendo che il paziente symphath non provasse alcun piacere, non provasse... niente di niente. Annullando il senso del tatto, il cervello di Rehvenge era in grado di controllare meglio il resto dei suoi impulsi. Che poi era l'unico motivo per cui Marissa poteva stare tranquillamente da sola con lui, considerato quello che si apprestavano a fare. Rehv si tolse la pelliccia e le andò vicino, affidandosi più del solito al proprio bastone da passeggio perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Lentamente, sciolse il nodo che le teneva chiuso il mantello. Lei abbassò lo sguardo sulle sue mani, tremante, mentre lui le faceva scivolare giù dalle spalle il ricco panneggio di lana nera. Sorridendo, lasciò cadere la cappa su una sedia. Il vestito di Marissa era il genere di indumento che la madre di Rehvenge avrebbe indossato ed esattamente quello che lui avrebbe voluto vedere più spesso addosso a sua sorella: un abito di raso azzurro pallido che le stava a pennello. Doveva essere un Dior. «Vieni qui, Marissa.» La attirò verso un divano di pelle, facendola accomodare accanto a sé. Alla tenue luce che penetrava dalle finestre, i capelli biondi sembravano uno scialle di seta e lui ne prese una ciocca tra le dita. L'appetito di Marissa era così divorante che Rehvenge lo percepiva con chiarezza. «È da tanto che aspetti, vero?» Lei annuì e si guardò le mani. Le teneva intrecciate in grembo, un nodo color avorio sullo sfondo azzurro chiaro del vestito. «Quanto?» «Mesi» rispose in un sussurro. «Allora te ne servirà molto, giusto?» Lei arrossì. «Giusto, Marissa?» la incalzò lui. «Sì» disse lei con un filo di voce, palesemente imbarazzata dalla propria fame. Rehv sorrise compiaciuto. Era piacevole frequentare una femmina d'alto rango. Il suo pudore e la sua signorilità erano maledettamente
attraenti. Si tolse la giacca e si sciolse il nodo della cravatta. Aveva intenzione di offrirle il polso, ma adesso che lei gli stava di fronte la voleva attaccata al collo. Erano passati secoli dall'ultima volta che aveva permesso a una femmina di nutrirsi del suo sangue, ed era sorpreso da quanto quella prospettiva lo eccitasse. Slacciò i bottoni del colletto, poi tutti gli altri. Quindi, pregustando ciò che stava per accadere, si sfilò la camicia dai pantaloni e la spalancò. Marissa sgranò gli occhi alla vista del suo petto nudo e dei tatuaggi. «Non sapevo fossi marchiato» mormorò, la voce tremante come il resto del corpo. Lui si mise comodo, spalancando le braccia sullo schienale del divano e sollevando una gamba. «Vieni qui, Marissa. Prendi quello che ti serve.» Lei gli guardò il polso, coperto dal polsino alla francese. «No» disse lui. «Dalla gola. È così che ti voglio. Ti chiedo solo questo.» Vedendola esitare, capì che le voci che correvano su di lei erano vere. Nessun maschio l'aveva mai toccata. E la sua purezza era... qualcosa da rubare. Strinse gli occhi. Dentro di sé sentiva agitarsi il suo lato oscuro, una bestia prigioniera in una gabbia di medicinali. Cristo, forse non era stata una buona idea. Ma poi, a poco a poco, Marissa cominciò ad avvicinarsi strisciando sopra di lui, il suo odore così simile a quello dell'oceano. Socchiuse le palpebre per vederla in viso e capì che non voleva perdersi quel pasto, che voleva lasciarsi sfiorare dalle sensazioni. Con uno strappo alla regola riattivò il senso del tatto e attraverso quel canale iniziò a ricevere avidamente le informazioni inebrianti che penetravano oltre la coltre di nebbia della dopamina. Il raso dell'abito di Marissa, liscio sulla sua pelle; il calore del suo corpo che si mescolava al fuoco del proprio; il peso di lei che, per quanto trascurabile, gli gravava sulla spalla e... sì, il ginocchio che gli
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eazione di certi neurotrasmettitori, garantendo che il paziente<br />
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niente. Annullando il senso del tatto, il cervello di Rehvenge era in<br />
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tranquillamente da sola con lui, considerato quello che si<br />
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al proprio bastone da passeggio perché non riusciva a staccarle gli<br />
occhi di dosso. Lentamente, sciolse il nodo che le teneva chiuso il<br />
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le faceva scivolare giù dalle spalle il ricco panneggio di lana nera.<br />
Sorridendo, lasciò cadere la cappa su una sedia. Il vestito di Marissa era<br />
il genere di indumento che la madre di Rehvenge avrebbe indossato<br />
ed esattamente quello che lui avrebbe voluto vedere più spesso<br />
addosso a sua sorella: un abito di raso azzurro pallido che le stava a<br />
pennello. Doveva essere un Dior.<br />
«Vieni qui, Marissa.»<br />
La attirò verso un divano di pelle, facendola accomodare accanto a<br />
sé. Alla tenue luce che penetrava dalle finestre, i capelli biondi<br />
sembravano uno scialle di seta e lui ne prese una ciocca tra le dita.<br />
L'appetito di Marissa era così divorante che Rehvenge lo percepiva<br />
con chiarezza.<br />
«È da tanto che aspetti, vero?»<br />
Lei annuì e si guardò le mani. Le teneva intrecciate in grembo, un<br />
nodo color avorio sullo sfondo azzurro chiaro del vestito.<br />
«Quanto?»<br />
«Mesi» rispose in un sussurro.<br />
«Allora te ne servirà molto, giusto?» Lei arrossì. «Giusto, Marissa?» la<br />
incalzò lui.<br />
«Sì» disse lei con un filo di voce, palesemente imbarazzata dalla<br />
propria fame.<br />
Rehv sorrise compiaciuto. Era piacevole frequentare una femmina<br />
d'alto rango. Il suo pudore e la sua signorilità erano maledettamente