03.La Confraternita Del Pugnale Nero_PORPORA
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povero ragazzo. «John?» tornò alla carica la dottoressa. «Allora aspetto che mi chiami per fissare il prossimo...» «Sì, sì, ci facciamo sentire noi» borbottò Butch. Sì, stai fresca. «Gli ho detto che non c'è fretta, ma penso davvero che dovrebbe tornare.» Butch la guardò seccato... ma gli occhi della dottoressa gli misero una paura del diavolo. Erano serissimi e molto tristi. Cosa cavolo era successo durante la seduta? Dall'alto del suo metro e ottanta, guardò la sommità della testa di John. «Andiamo, bello.» Vedendo che non si muoveva, gli diede ima spintarella e lo guidò fuori dalla clinica, tenendo sempre il braccio intorno alle gracili spalle del ragazzo. Giunti alla macchina, John salì, ma non si allacciò la cintura di sicurezza. Se ne stava lì, immobile, lo sguardo fisso davanti a sé. Butch si sedette al volante e bloccò le portiere. Poi si voltò a guardarlo. «Dimmi solo dove vuoi andare. Se hai voglia di tornare a casa ti porto da Tohr e Wellsie, se preferisci stare nella Tana insieme a me andiamo al quartier generale, se invece ti va di andare un po' in giro in macchina ti porto fino in Canada e ritorno. Sono pronto a tutto, basta che parli. E se non te la senti di decidere subito facciamo un giretto in città finché non ti sarai schiarito le idee.» John sospirò, il suo fragile petto si dilatò e poi si contrasse. Aprì il bloc-notes e tirò fuori la penna. Dopo una pausa, scrisse qualcosa e voltò il foglio verso Butch. 1189, Settima Strada. L'ex sbirro si accigliò. Era una zona decisamente malfamata. Stava per chiedere spiegazioni, ma decise di tenere il becco chiuso. Per quella sera il ragazzo era già stato bersagliato da troppe domande. E poi lui era armato e John aveva chiesto di andare lì. Ogni promessa è debito. «Okay, amico. Settima Strada in arrivo.»
Però prima facciamo un giro, scrisse il ragazzo. «Nessun problema. Così ci rilassiamo un po'.» Butch avviò il motore. Aveva appena ingranato la retromarcia quando intravide qualcosa di sfuggita alle loro spalle. Un'automobile si stava avvicinando, una Bendey molto grossa e molto costosa. Frenò di colpo per lasciarla passare e... Rimase senza fiato. Marissa stava uscendo di casa da una porta laterale. Il vento le scompigliava i capelli biondi, lunghi fino in fondo alla schiena, e lei si strinse nel mantello nero. Attraversò rapida il parcheggio sul retro, saltellando da un punto all'altro dell'asfalto asciutto, attenta a schivare i cumuli di neve. Le luci di sicurezza illuminavano i tratti aristocratici del suo volto, la magnifica chioma dorata e la carnagione eburnea. Butch ricordò com'era stato baciarla, l'unica volta che l'aveva fatto, e sentì una fitta al petto come se qualcuno gli stesse strizzando i polmoni. Sopraffatto dall'emozione, fu assalito dall'impulso di scendere dall'auto, gettarsi in ginocchio nella poltiglia di neve e fango e supplicarla come il cane che era. Ma lei si stava già dirigendo verso la Bendey. Rimase a guardare la portiera che si apriva per lasciarla salire, il guidatore doveva essersi allungato sopra il sedile del passeggero per far scattare la maniglia. Si accesero le luci dell'abitacolo, ma non riuscì a vedere granché, solo quel tanto che bastava per dire che al volante c'era un uomo, o forse un vampiro. Due spalle così poderose non potevano appartenere a un corpo femminile. Marissa raccolse il lungo mantello e scivolò all'interno dell'auto, chiudendo la portiera. Le luci si spensero. Soprappensiero, Butch sentì qualcosa muoversi accanto a sé e si voltò. Premuto contro il finestrino, John lo fissava atterrito. Soltanto allora Butch si rese conto di avere impugnato la pistola. Stava addirittura ringhiando. Imbarazzatissimo per quella reazione demenziale, tolse il piede dal
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povero ragazzo.<br />
«John?» tornò alla carica la dottoressa. «Allora aspetto che mi<br />
chiami per fissare il prossimo...»<br />
«Sì, sì, ci facciamo sentire noi» borbottò Butch. Sì, stai fresca.<br />
«Gli ho detto che non c'è fretta, ma penso davvero che dovrebbe<br />
tornare.»<br />
Butch la guardò seccato... ma gli occhi della dottoressa gli misero<br />
una paura del diavolo. Erano serissimi e molto tristi. Cosa cavolo era<br />
successo durante la seduta?<br />
Dall'alto del suo metro e ottanta, guardò la sommità della testa di<br />
John. «Andiamo, bello.»<br />
Vedendo che non si muoveva, gli diede ima spintarella e lo guidò<br />
fuori dalla clinica, tenendo sempre il braccio intorno alle gracili spalle<br />
del ragazzo. Giunti alla macchina, John salì, ma non si allacciò la<br />
cintura di sicurezza. Se ne stava lì, immobile, lo sguardo fisso davanti a<br />
sé.<br />
Butch si sedette al volante e bloccò le portiere. Poi si voltò a<br />
guardarlo.<br />
«Dimmi solo dove vuoi andare. Se hai voglia di tornare a casa ti<br />
porto da Tohr e Wellsie, se preferisci stare nella Tana insieme a me<br />
andiamo al quartier generale, se invece ti va di andare un po' in giro in<br />
macchina ti porto fino in Canada e ritorno. Sono pronto a tutto, basta<br />
che parli. E se non te la senti di decidere subito facciamo un giretto in<br />
città finché non ti sarai schiarito le idee.»<br />
John sospirò, il suo fragile petto si dilatò e poi si contrasse. Aprì il<br />
bloc-notes e tirò fuori la penna. Dopo una pausa, scrisse qualcosa e<br />
voltò il foglio verso Butch.<br />
1189, Settima Strada.<br />
L'ex sbirro si accigliò. Era una zona decisamente malfamata. Stava<br />
per chiedere spiegazioni, ma decise di tenere il becco chiuso. Per quella<br />
sera il ragazzo era già stato bersagliato da troppe domande. E poi lui<br />
era armato e John aveva chiesto di andare lì. Ogni promessa è debito.<br />
«Okay, amico. Settima Strada in arrivo.»