03.La Confraternita Del Pugnale Nero_PORPORA
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vena. Ma ancora più umiliante era stata quell'espressione, pochi minuti prima, l'orrore che si era dipinto sul suo volto quando aveva intuito che, da schiavo, non era stato sfruttato solo per il sangue. Non voleva essere compatito, non tollerava quegli sguardi ansiosi, non ci teneva a essere coccolato e accarezzato. Aprì la bocca, pronto a scostarle la testa, ma chissà come la collera si smarrì nel tragitto tra le viscere e la gola. «Sta' tranquilla» disse brusco. «Sto bene. Va tutto bene.» Il sollievo negli occhi di lei fu un altro schiaffo in pieno viso. Quando Bella ricominciò a bere, Zsadist pensò: Odio tutto questo. Be'... lo odiava in parte. Okay, odiava la merda che aveva in testa. Ma quando lei riprese a succhiare dal suo polso, si rese conto che per certi versi la cosa gli piaceva. Almeno finché non pensò a ciò che stava ingurgitando. Sangue sporco... sangue arrugginito... sangue marcio, infetto, cattivo. Diavolo, non riusciva proprio a capire perché Bella avesse respinto Phury. Il suo gemello era perfetto, dentro e fuori. E invece eccola lì, con lui, su quel pavimento di piastrelle gelido e duro, con i canini affondati nel tatuaggio da schiavo. Perché? Chiuse gli occhi. Dopo tutto quello che aveva passato, forse era convinta di non meritare di meglio che un maschio contaminato. Quel lesser doveva aver minato profondamente la sua autostima. Avrebbe strangolato a mani nude quel bastardo, Dio gli era testimone: gli avrebbe spremuto fuori il fiato che aveva nei polmoni fino all'ultimo respiro. Con un sospiro, Bella si staccò dal suo polso appoggiandosi con la schiena alla parete della doccia, le palpebre socchiuse, il corpo privo di forze. La seta fradicia della vestaglia aderiva alle sue forme delineando le cosce, i fianchi... il triangolo in mezzo alle gambe. Quando il coso dentro i calzoni si inturgidì all'improvviso, Zsadist fu assalito dall'impulso di tagliarselo via. Bella alzò gli occhi su di lui. «Stai bene?» chiese Z.
«Grazie» disse lei con voce sensuale. «Grazie per avermi lasciata...» «Sì, sì, dacci un taglio.» Rimpiangeva di non averla protetta da se stesso. L'essenza della Padrona scorreva dentro di lui, gli echi della crudeltà di quella femmina, prigionieri del circuito infinito delle arterie e delle vene, circolavano senza sosta nel suo organismo. E Bella aveva appena bevuto quel veleno. Avrebbe dovuto impedirglielo con più fermezza. «Adesso ti porto a letto» disse, e la prese in braccio. «Lo specchio» mormorò Bella. «Hai coperto lo specchio. Perché?» Senza risponderle, raccolse un asciugamano e andò in camera da letto; non se la sentiva di parlarle degli orrori che aveva dovuto subire. «Mi trovi così brutta?» sussurrò lei contro la sua spalla. Arrivato al letto la mise giù. «La vestaglia è bagnata. Dovresti toglierla. Usa questo, se vuoi.» Bella prese l'asciugamano e fece per slacciare la cintura della vestaglia. Zsadist si affrettò a voltarsi dall'altra parte; sentì come un fruscio di stoffa, poi le lenzuola che venivano scostate. Quando si fu sistemata, un impulso tra i più bassi e ancestrali gli intimò di sdraiarsi accanto a lei. Non per tenerla stretta, ma per affondare dentro di lei, per muoversi dentro di lei... In un certo senso gli sembrava la cosa giusta da fare, darle non solo il sangue che gli scorreva nelle vene, ma anche il suo seme. Il che era totalmente assurdo. Si passò una mano sulla testa chiedendosi come diavolo gli fosse venuta in mente un'idea tanto stupida. Cazzo, doveva starle lontano... Be', sarebbe successo molto presto, no? Bella sarebbe andata via quella sera stessa. Sarebbe tornata a casa. Gli sembrava di impazzire... Al diavolo il suo stupido istinto. Doveva mettersi al lavoro. Doveva uscire per cercare il lesser che l'aveva tenuta prigioniera e massacrare quel gran figlio di puttana per lei. Questo doveva fare. Andò all'armadio, si infilò una maglietta e prese le armi. Mentre afferrava il fodero, pensò di chiederle una descrizione del suo
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vena. Ma ancora più umiliante era stata quell'espressione, pochi<br />
minuti prima, l'orrore che si era dipinto sul suo volto quando aveva<br />
intuito che, da schiavo, non era stato sfruttato solo per il sangue.<br />
Non voleva essere compatito, non tollerava quegli sguardi ansiosi,<br />
non ci teneva a essere coccolato e accarezzato. Aprì la bocca, pronto a<br />
scostarle la testa, ma chissà come la collera si smarrì nel tragitto tra le<br />
viscere e la gola.<br />
«Sta' tranquilla» disse brusco. «Sto bene. Va tutto bene.»<br />
Il sollievo negli occhi di lei fu un altro schiaffo in pieno viso.<br />
Quando Bella ricominciò a bere, Zsadist pensò: Odio tutto questo.<br />
Be'... lo odiava in parte. Okay, odiava la merda che aveva in testa.<br />
Ma quando lei riprese a succhiare dal suo polso, si rese conto che per<br />
certi versi la cosa gli piaceva.<br />
Almeno finché non pensò a ciò che stava ingurgitando. Sangue<br />
sporco... sangue arrugginito... sangue marcio, infetto, cattivo.<br />
Diavolo, non riusciva proprio a capire perché Bella avesse respinto<br />
Phury. Il suo gemello era perfetto, dentro e fuori. E invece eccola lì,<br />
con lui, su quel pavimento di piastrelle gelido e duro, con i canini<br />
affondati nel tatuaggio da schiavo. Perché?<br />
Chiuse gli occhi. Dopo tutto quello che aveva passato, forse era<br />
convinta di non meritare di meglio che un maschio contaminato. Quel<br />
lesser doveva aver minato profondamente la sua autostima.<br />
Avrebbe strangolato a mani nude quel bastardo, Dio gli era<br />
testimone: gli avrebbe spremuto fuori il fiato che aveva nei polmoni<br />
fino all'ultimo respiro.<br />
Con un sospiro, Bella si staccò dal suo polso appoggiandosi con la<br />
schiena alla parete della doccia, le palpebre socchiuse, il corpo privo di<br />
forze. La seta fradicia della vestaglia aderiva alle sue forme delineando<br />
le cosce, i fianchi... il triangolo in mezzo alle gambe.<br />
Quando il coso dentro i calzoni si inturgidì all'improvviso, Zsadist<br />
fu assalito dall'impulso di tagliarselo via.<br />
Bella alzò gli occhi su di lui.<br />
«Stai bene?» chiese Z.