Blog (pdf) - Maurizio Ferrarotti
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PANINARINBLACK<br />
Gran Torino il primo dell’anno alle 9: un deserto di cemento e asfalto cosparso di residui<br />
pirotecnici - ma meno Beirut degli altri anni, l’effetto IMU si é fatto sentire finanche sul<br />
budget bombotroni. Non c’é una macchina in giro, dico una. Una figata per misantropi.<br />
Io ho brindato con QIJane via Skype. “Happy new year bubs!” Qualche minuto più tardi<br />
sul palco di RAI 1, il network nazional-popol Vug per antonomasia, é comparso Paul<br />
Mazzolini in arte Gazebo (nato nel 1960 a Beirut, guarda caso), un “cantante” affermatosi<br />
nei fatidici anni ottanta nel cosiddetto filone della italo disco, quel ciarpame radioattivo<br />
che io subivo passivamente ogniqualvolta il mio carissimo amico Andrea, che tuttavia mi<br />
aveva iniziato ai Ramones, mi trascinava in fetenti balere di provincia piemontese quali la<br />
Cometa di Piobesi, il Fantasy di Scarnafigi e lo Sporting di Santhià, biennio 1983-84.<br />
Cosa non si fa per un tocco di figa fresca. Ma io ero emotivamente autistico, certe truzze<br />
me la servivano letteralmente su un piatto d’argento e io niente, nada, nihil, come direbbe<br />
il Mago Gabriel, “compresso di non poter parlare o viceversa di poter dare amore”. Beh,<br />
di non volermi far succhiare il ding dong da quelle tamarre semianalfabete, diciamocela<br />
franca. Mi facevano senso, ecco. C’era voluto Iggy Pop, nonché un numero imprecisato<br />
di cannoni al libano rosso, per darmi una scossa.<br />
Comunque Gazebo (ha ha ha) era là a fingere di cantare - esattamente come trent’anni fa,<br />
come sempre - tirandosela nemmeno fosse Scott Walker davanti a una platea di provole<br />
ondeggianti tirate a lucido, hyper-quarantenni col vestito buono che vivono di repliche di<br />
Top Gun sognando ancora di scoparsi Karina Huff o Massivo Ciavarro al chiaro di luna (<br />
“Du iu laic Shopen diar?”) e organizzano rimpatriate per panozzi nostalgici su Facebook<br />
o ivi creano pagine su Tracy Spencer, Fantastico, Superclassifica Show, Il Gioco delle<br />
Coppie, il Moncler e le Timberland, Pierre Cosso, Dallas, la toppa di Snoopy, Sharon<br />
Gusberti, Gigi Sabani e Fiorella Pierobon. Andrebbero tutti gassati col sarin ma stasera<br />
sono eccezionalmente buono, mi finisco la bottiglia di moscato dolce e vado a spalmarmi<br />
sul letto. Ché domani voglio allenarmi a pelota vasca.<br />
Il mio personale revival anni ottanta da autoradio stamani é The Gospel According to The<br />
Meninblack degli Stranglers. Genesi di questo album: nel 1979, uno dei due manager<br />
degli Stranglers aveva suggerito loro di sciogliersi poiché sentiva che la band si fosse<br />
smarrita artisticamente; per tutta risposta, gli Stranglers licenziarono ambedue i figuri nel<br />
mentre che Hugh Cornwell e J.J. Burnel registravano i loro rispettivi esordi da solisti e il<br />
gruppo al completo il proprio quarto album, The Raven; una sera, Cornwell Burnel Black<br />
e Greenfield si sballarono di qualcosa talmente speciale che rimosse loro il virtuale bacon<br />
dagli occhi: la Terra era dominata da una razza aliena. (Beh, io mi ci sono svegliato da<br />
una sbronza erculea con ’sta merda. Pensateci, amici di Guildford.)<br />
Sfumato l’effetto della droga e il comprensibile susseguente sbigottimento, gli Stranglers<br />
colsero l’aspetto creativo della cosa decidendo di scriverci su un pezzo, tanto per iniziare;<br />
scartati titoli come Orange Skyes (c’era già un brano psichedelico dei Love di Arthur Lee<br />
con quel titolo) e They’re Here (troppo banale, ma una dozzina d’anni più tardi gli EMF<br />
l’avrebbero riciclato per una loro canzone dai toni apocalittico-intimisti) la band optò per<br />
Meninblack, Uomini in Nero.<br />
Hugh Cornwell: “L’alieno potrebbe parlare con la voce accelerata, come se respirasse<br />
elio.”<br />
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