Blog (pdf) - Maurizio Ferrarotti

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LE DUNE DI BELÉN Maurizio Ferrarotti Mexia

LE DUNE DI BELÉN<br />

<strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong><br />

Mexia


Nuove analisi dei dati radar della Missioni Cassini in una<br />

partnership tra NASA, European Space Agency (ESA) e<br />

Agenzia Spaziale Italiana riguardanti Titano, il più grande<br />

dei satelliti di Saturno, hanno rivelato un’estesa presenza di<br />

dune che mostrano variazioni con il passare del tempo e<br />

sono diverse a seconda della loro latitudine e altitudine. Le<br />

immagini radar della regione di Belet, in un’area depressa,<br />

mostrano dune larghe con coltri di sabbia più spesse tra di<br />

esse. I maggiori campi di dune di Titano sono di questo<br />

tipo.<br />

nonsoloufo.eu<br />

Nella sua pur breve carriera, ha dimostrato di essere una<br />

persona molto disponibile, infatti è più facile che lei te la<br />

dia per soldi che imparare la tabellina del cinque.<br />

Nonciclopedia su Belén Rodríguez<br />

“Sono sotto tensione” fece Joe Schilling. “Ho letto male la<br />

carta.” Era confuso e terrorizzato. “Qui si sta barando, in<br />

qualche modo” disse. “Comunque, quale sarebbe la posta?”<br />

“In questo gioco é Detroit”, dissero i vug.<br />

Philip K. Dick, I giocatori di Titano<br />

Perché vogliono tutto questo? Perché sono qui? Semplice, è<br />

è il loro sporco gioco, sono liberi imprenditori, la Terra è<br />

solamente un altro pianeta, il loro terzo mondo.<br />

John Carpenter, Essi vivono<br />

2


SUCCHIA, BABY, SUCCHIA<br />

In genere i film anglosassoni sono distribuiti in Italia con titoli raccapriccianti. Cotanto<br />

crimine é perpetrato per meri motivi commerciali: “Ma chi mi va a vedere questo film<br />

poi, se lascio il titolo in lingua originale o lo faccio tradurre alla lettera? Gli spettatori non<br />

ne capirebbero il senso.”<br />

Ovvero: il volgo é troppo superficiale - eufemismo per ignorante - per lasciarsi allettare<br />

da titoli come Runaway Bride, la cui traduzione letterale é “La sposa fuggiasca”... suona<br />

bene, vero? Ma manco per la supercazzola prematurata con scappellamento destrogiro<br />

polarizzato. Molto più opportuno dal punto di vista crudelmente merceologico, piuttosto,<br />

é propinare agli spettatori ormai bovinamente assuefatti alla grossolanità un francamente<br />

ridicolo Se scappi... ti sposo (dando così inizio a un’inarrestabile sequela di titolacci che<br />

iniziano per “Se”: Se mi lasci ti cancello, Se ti prendo ti squarto, Se mi chiami ancora<br />

una volta faccio esplodere una bomba radiologica a.k.a. sporca nel cassonetto dei rifiuti<br />

organici da cucina sotto casa tua rendendo il tuo condominio infestato di famiglie napuli<br />

disfunzionali inabitabile per decenni.) A prescindere che quel film riesce nell’assai poco<br />

invidiabile intento di rendere detestabile al parossismo finanche quell’adorabile creatura<br />

che é Julia Roberts.<br />

Pure, sempre a proposito di Julia Roberts, la trasposizione cinematografica di Eat Love<br />

Pray é perfino peggio, con tutti quegli stomachevoli stereotipi sugli italiani, spaghettipizza-mandolino-that’s<br />

amore-nerchia dura. Cose che mi fanno venir voglia di spalancare<br />

la finestra e urlare alla pioggia d’idrocarburi: “What I really want is a new order” come<br />

Billy Idol nei Generation X nel 1977. Diocristo se li amo, come tutte le band prodotte da<br />

quel genio di Martin Rushent del resto - che la Coscienza Cosmica l’abbia in gloria. The<br />

Stranglers, 999, T.Rex, Buzzcocks, Dr Feelgood, Human League. Gli arpeggi sfrangiati, i<br />

riverberi psicotici, le parti vocali vampiresche, é tutta farina del sacco di Martin e del suo<br />

Eventide Harmonizer, la magica scatola elettronica dei trucchi sonori. Eh sì, nonostante<br />

io mi avvii a compiere cinquant’anni mi sento ancora enragé come ai bei tempi andati del<br />

punk rock e delle tv davvero “libere”, ma perfino di più, non mi rassegnerò mai e poi mai<br />

al becerume. “Stateci voialtri alle regole, pezzi di imbecilli!” E questo é Joe Strummer,<br />

bimbominkia con la cresta alla Balotelli.<br />

(Un’altra cosa stratosfericamente penosa: provate a tradurre in italiano Runaway Bride<br />

col Google Translate. Vi esce Se scappi ti sposo. Questa é promozione sfacciatamente<br />

subdola per RAI, Mediaset e il languente mercato dei DVD! Robe neire, si dice in lingua<br />

piemontese; robe da mordersi il culo, avrebbe commentato la buonanima di mio padre.)<br />

La saga di Austin Powers mi fa scompisciare, specialmente il primo episodio. Ma anche<br />

il secondo é ganzo. Il suo titolo in inglese é Austin Powers: The Spy Who Shagged Me.<br />

To shag significa chiavare, scopare, trombare, ciulare, bagnare il biscotto, to fuck or bone<br />

or screw: non c’é scappatoia censoria che tenga, tutti i traduttori disponibili nella Rete ve<br />

lo traslano così. Quindi, La spia che mi scopava. Ma nell’ex Belpaese dell’IMU e del<br />

Vaticano il titolo originale é stato edulcorato in La spia che ci provava. Che non é poi<br />

così malvagio, ammettiamolo, però non é la stessa roba. Stando così le cose, se Deep<br />

Throat, “Gola profonda”, uscisse nel nostro tempo, lo distribuirebbero nelle sale come<br />

Sapori ammalianti, credo. O qualche puttanata del genere.<br />

Comunque sia, il personaggio che preferisco dell’intera serie é Robin Spitz Swallows.<br />

Swallows é un’affascinante assassina che lavora per il Dr Male; in un primo momento<br />

3


costei prova a sedurre Powers, poi tenta d’ucciderlo: ovviamente, soccombe, ma soltanto<br />

dopo essere stata accoltellata alla schiena e poi colpita da un razzo erroneamente sparato<br />

da quell’imbranato del suo complice che la fa volare fuori da una finestra e impattare di<br />

brutto contro il selciato. Triplo wow! E di che altro necessitava la tipa per schiattare, la<br />

La bomba Tsar da 50 megatoni?<br />

Nella versione italiana, Robin Spitz Swallow - interpretata da Gia Carides - é diventata...<br />

“Mary Lou L’Ingoio.” Letterale, direi. E Austin Powers: “Ehi, baby, deciditi: o l’ingoi, o<br />

lo sputi!” Bonjour finesse.<br />

Ma ogni buona - o pessima - parodia nasce pur da qualcosa. Recentemente ho scoperto un<br />

sito Internet, Slang City, specializzato in amenità come esaminare i nomi delle Bond girls<br />

per rivelarne il significato. Veramente, se esiste un harmonium universale dell’allusività<br />

sessuale, Pussy Galore suona a carnazza persino sulle pendici di un criovulcano titaniano<br />

a centottanta gradi centigradi sotto zero, senza necessità di traduzione: infatti, significa<br />

“figone”, ciò che in effetti era Honor Blackman da giovane. Xenia Onatopp, la dark lady<br />

di Goldeneye interpretata da Fammke Janssen, trae esaltazione sessuale dall’uccidere: on<br />

top, sopra, é la sua posizione sessuale preferita. Dr Holly Goodhead, da Moonraker,<br />

deriva da to give head, praticare una fellatio. Goodhead = pompinara di classe. Per buona<br />

pace delle femministe. Ma io ho sempre preferito Derek Flint a James Bond: “Tu non sei<br />

un’unità di svago, ripeto, non sei un’unità di svago.”<br />

Ancora rock’n’roll, perché non posso vivere senza. David Bowie. Cracked Actor é una<br />

canzone inclusa nel suo album del 1972 Aladdin Sane, in my humming opinion migliore<br />

del precedente e acclamatissimo The Rise and Fall Of Ziggy Stardust and The Spiders<br />

Blah Blah. Trattasi di selvaggio boogie-glam rock contrassegnato dalla chitarra vulcanica<br />

di Mick Ronson distorta mediante un pedale wah Dunlop Cry-Baby pigiato fino a metà e<br />

lasciato in quella posizione - il marchio di fabbrica del Ronno-sound durante la prima<br />

metà degli anni Settanta. Ti sto annoiando, fan di Emma Marrone? Cambia blog! Dal<br />

canto suo David impersona una vecchia star decaduta del cinema hollywoodiano durante<br />

un rendez-vous con una prostituta strafatta d’eroina usando queste parole: “Suck, baby,<br />

suck, give me your head / Before you start professing that you’re knocking me dead.”<br />

Succhia, baby, succhia, fammi un pompino, prima di professare che mi stai uccidendo.<br />

Mmm. Pare quasi di vederlo, il vecchio Duca raggrinzito e cardiopatico, seduto su una<br />

poltrona di velluto rigato bordeaux con i pantaloni di lino calati giù fino alle caviglie, la<br />

troia nuda inginocchiata a piedi incrociati che lo pompa tra le cosce avvizzite. Ripensa<br />

questa scena in una stanza arredata in stile pop orbitante intorno a una stella di neutroni,<br />

sorseggiando Ontario Lacus Etichetta Nera. La grappa di etano che crea un’atmosfera.<br />

4


Figura 1. Grazie che ho bevuto Ontario Lacus!<br />

5


AULINWEEN<br />

Per tutta la mattinata ho letto cose paurose sul day after di Halloween: zombie in down da<br />

cocaina che prendevano d’assalto i bar del centro città per caffé e brioche, bambini che<br />

sboccavano sui piedi inpantofolati dei loro genitori le palate di treat made in sottoscala di<br />

Porta Palazzo (Cina, quindi) trangugiate, cani che finalmente spazientitisi azzannavano i<br />

loro padroni maranza alla gola per l’essere stati costretti a indossare attillati costumini da<br />

Belzebù, banana Chiquita e Piero Fassino tutta la stramaledetta notte. Francamente mi<br />

inorridiva di più leggere il nome di questa festività d’antiche origini celtiche storpiato nei<br />

modi più tourettici: Hallowin, Hellouen, Allowin, Allouin, perfino Aulin, la panacea per i<br />

dopobronza.<br />

Che é tossico e letale quasi quanto il crack, va detto. Ciononostante qua in Italia, paese<br />

pressoché unico in questo quadrante della Via Lattea, non solo celebriamo feste del quale<br />

non conosciamo le origini né sappiamo pronunciare e scrivere correttamente il nome, ma<br />

abbiamo addirittura creato una subcultura dell’Aulin. Prendi l’Aulin per tutto, che ti fa<br />

bene. Prendi l’Aulin, che ti fa digerire. Con tutte quelle, tutte quelle dopamine.<br />

“Minkia Pino che botta mi sono preso ieri sera, sto proprio male!”<br />

“Oh, Carme’, ma allora sei proprio capatosta, raga! T'ho già detto e ridetto che ti devi<br />

prendere un Aulin! Vedrai come possibilmente starai bene dopo.”<br />

’Sta ceppa. L’Aulin fa male, anzi malissimo. A dare l’allarme, anni addietro, sono stati<br />

16 paesi tra cui Spagna, Finlandia e Irlanda che lo hanno finanche ritirato dal commercio.<br />

In Italia invece continuiamo spensierati a smerciarlo in farmacia come se niente fosse,<br />

noncuranti che il suo principio attivo, Nimesulide, comporterebbe effetti perniciosi per il<br />

fegato, talvolta anche letali. In Irlanda qualcuno ci é rimasto d’insufficienza epatica. In<br />

Italia ci condiamo persino le melanzane alla parmigiana: il nostro Paese, infatti, consuma<br />

il 60% della produzione mondiale di nimesulide. Con la benedizione della SIF, la Società<br />

Italiana di Farmacologia: “Se il nimesulide resta in commercio, oltre che in Italia, in 16<br />

paesi europei, é perché l’Agenzia regolatoria europea ha ritenuto che, nonostante quanto<br />

autonomamente stabilito da alcuni paesi, il suo profilo farmacologico di beneficio/rischio<br />

rimanga ancora favorevole. ”<br />

Goodbye e amen. Beh, se questo é il (dis)criterio, potete star certi al 100% che i quattro<br />

vaccini antinfluenzali della Novartis recentemente bloccati dal Ministero della Salute<br />

italiano poiché, stando a una nota del ministro Balduzzi, “possiamo stimare che possano<br />

eventualmente verificarsi eventi avversi locali e aumento della temperatura corporea”,<br />

qualora fossero stati inoculati avrebbero trasformato tre milioni di cittadini italiani in<br />

altrettanti Abominii. Come se già non avessimo abbastanza problemi con i vug sempre in<br />

mezzo ai coglioni.<br />

Dopo pranzo sono sceso giù per buttare i rifiuti plastici e farmi due passi. Il cielo era di<br />

un arancione splendente, screziato di cirri di metano. Mi sono portato dietro la Kodak AF<br />

perché volevo fotografare alcune cose al parco Rignon, principalmente quello scivolo per<br />

bambini su un lato del quale qualcuno ha scritto FUCK con una bomboletta spray. Fuck.<br />

Vaffanculo. Vaffanculo a chi? Ai bambini che giocano, al governo ladro, alla polizia, a<br />

tua sorella? A tutti quanti insieme? O é una sfanculata generica, estemporanea, priva di<br />

intrinseche connotazioni, un moto velleitario di ribellismo adolescenziale, scrivere insulti<br />

tanto per scrivere? La cosa mi intrigava dal momento in cui avevo notato quella scritta, di<br />

6


itorno da un colloquio con la mia consulente bancaria - vado sempre a piedi in banca, la<br />

filiale non é molto lontana da dove abito.<br />

Mi sono incamminato verso l’entrata del giardino con gli Stereolab sparati nelle orecchie.<br />

Mars Audiac Quintet. Modernariato binaurale, perfetto per la giornata. L’Ipod nano é il<br />

mio antidoto per il ciacolio ubiquo invadente e virtualmente incessante dei vug, qualcosa<br />

come l’intro di Voices dei Cheap Trick cantata dai Teletubbies poi campionata e mandata<br />

in loop 24 fottute ore al giorno. Pss pss bao bao brrrrrrrr cha cha cha gagaga bububu<br />

ippa loppa ooooh grogga grogga... Alienante, a lungo andare.<br />

Varco la soglia del giardino ignorando olimpicamente due alieni seduti su una panchina a<br />

fumare le loro puzzolenti sigarette di tolina - giusto per aggiungere insulto all’ingiuria di<br />

un’aria che già di suo odora di scoreggia rafferma, anche oggi che é una bella giornata.<br />

Come sono fatti i vug ve lo spiego un’altra volta. Per un istante il loro incomprensibile<br />

parlottio interferisce con la musica, sia pure in bassa frequenza: e non suona fuori luogo,<br />

sinceramente. Come un fugace cinguettio di passerotti theremin. Potrebbe essere un’idea<br />

per il prossimo disco degli Stereolab: Vug and The Situationist Apple Pie.<br />

Lo scivolo é ridotto uno sconcio. Lurido come il peccato, parzialmente recintato da una<br />

barriera arancione - colore quasi indistinguibile sotto questo cielo -, di quelle in plastica<br />

estrusa che si usano per i lavoro in corso. Poco o nulla allettante per la mia Kodak. Quel<br />

“fuck” size 200 assume ora per me un significato ben preciso: “Fanculo, questo scivolo<br />

per bambini é veramente fottuto.” Crollo il capo e mi allontano.<br />

La villa Amoretti é la vera attrazione del parco, un edificio tardo barocco del 1760 che<br />

dal 1977 ospita svariate attività ricreative, appuntamenti culturali ma principalmente una<br />

biblioteca comunale piuttosto ben fornita. Il complesso é stato di recente sottoposto a una<br />

scenografica riqualificazione funzionale. Si é scelto di realizzare un moderno padiglione<br />

aggiuntivo per la libreria ed é stata restaurata l’arancera. Tutto molto bello, come soleva<br />

dire Bruno Pizzul; peccato si siano “dimenticati” di fare un lifting anche al muro di cinta,<br />

che sta cadendo a pezzi. E non parlo di pietrine, ma di mini-asteroidi che ti sfonderebbero<br />

il cranio se il karma avesse deciso che sei tu lo sfigato di turno.<br />

Comunque la villa non m’interessa, per il momento. Appena giuntovi devio attraverso<br />

uno dei viali interni verso il muro a sinistra dell’ingresso principale a doppia scala: voglio<br />

verificare se quei graffiti laggiù sono meritevoli d’essere fotografati. Un paio di essi sono<br />

davvero degni di nota, non i soliti tag amorfi che personalmente detesto. Dedico un paio<br />

di scatti a un alieno verde (sic) che si fuma un cannone (sic again) dopodiché torno sui<br />

miei passi.<br />

E come per serendipità, m’imbatto in questa... come chiamarla, installazione? Questa me<br />

l’ero proprio persa. Era tempo che non passavo di fronte alla villa. Bella, proprio bella.<br />

So rooomantic. It reminds me of you and me, bubs. Mi ricorda di te e me, amore. It pulls<br />

my heart string. Ora ne scatto due, tre, sei foto, le pubblico su Faccialibro e ti taggo in<br />

tutte quante. Click, click, click.<br />

Mi manchi da morire, QIJane. Ma presto sarai di nuovo qui con me. Oh, non vedo l’ora. I<br />

can’t wait.<br />

E vaffanculo ai vug. FUCK THE VUG. Col cazzo che lo prendo più, il vostro Aulin di<br />

merda.<br />

7


Figura 2. QIJane and me.<br />

8


BRONCO BAMMA E MITT BOO BOO<br />

Già, mi sono dimenticato di menzionare Deliverance, il capolavoro di John Boorman,<br />

nella “top ten” dei miei film preferiti d’ogni tempo e luogo, tradotto in Italia con un titolo<br />

che ha fatto scuola: Un tranquillo weekend di paura. Deliverance significa liberazione,<br />

titolo che dati i temi trattati nella pellicola si presta a molteplici chiavi di lettura. Ma per<br />

una volta la versione italiana non mi fa torcere le budella. Ci sono cresciuto. Tutti noi nati<br />

negli anni Sessanta da gagni volevamo essere come Burt Reynolds, col suo gilet di pelle,<br />

i muscoli guizzanti sotto la pelle brunastra di meticcio italo-irlandese-cherokee, l’arco e<br />

le frecce con le quali trapassa da parte a parte quei redneck degenerati frutto d’inincroci.<br />

Fatalmente un giorno ne faranno un remake, diretto da Michael Bay, quasi sicuramente<br />

con Vin Diesel nella parte di Burt.<br />

Certi miei amici dicono che io vi somigli molto: a Vin Diesel, voglio dire. La qual cosa<br />

mi fa scompisciare; vent’anni fa, quando pesavo ventidue chili in meno e i miei capelli<br />

divenivano sempre più radi, mi chiamavano Benigni. Diocristo, quanto m’indispettiva!!!<br />

Vivere in un trip dismorfofobico d’identificazione con Iggy Pop e diversamente sentirti<br />

paragonare al Piccolo Diavolo. E ora a Vincenzo Gasolio. Come la notte e il giorno! Io<br />

comunque sono una di quelle bestie rare cui Non ci resta che piangere non fa ridere, ma<br />

non mi strappa neppure un sorrisetto! Totalmente immune al fenomeno. Mi ritrovassi su<br />

un’isola deserta con Luciana Littizzetto il giorno dopo Armageddon, non ci penserei due<br />

volte a darla in pasto a qualche belva feroce locale, dopodiché lavorerei di fantasia fino a<br />

quando i raggi gamma non mi sciogliessero il cervello - e il walter, come lo chiama lei, la<br />

Patrona delle Racchie Incarognite con gli Uomini. Cetto La Qualunque, al secolo Antonio<br />

Albanese, é la dimostrazione lampante che finanche i comici, così come i calciatori e gli<br />

attori , dovrebbero a un certo punto ritirarsi, per così dire appendere la lingua al chiodo, e<br />

lasciarci con una buona immagine di sé; per di più, i suoi strafalcioni linguistici sono<br />

copiati sfacciatamente dal primo Mago Gabriel. Plagiati, altroché. Sono più alieno io dei<br />

vug, mi sa. Lo sono sempre stato, ben prima di svegliarmi in un mondo diverso quella<br />

mattina.<br />

Lungo la Interstate 75, che dallo struggente Golfo del Messico ti porta su fino ai Grandi<br />

Laghi snodandosi attraverso ben sei stati - Florida, Georgia, Tennessee, Kentucky, Ohio e<br />

Michigan - mi parve di riconoscere il fiume Cahulawassee, dove Un tranquillo weekend<br />

di paura fu girato. In realtà il nome del fiume era fittizio sia nella novella da cui era stato<br />

tratto, sia nel film - il vero idronimo del corso d’acqua che funse da set é Chattooga e si<br />

trova sempre in Georgia ma a circa un centinaio di chilometri a est dell’autostrada, nella<br />

foresta nazionale di Chattahoochee: un paradiso del rafting, é ovvio.<br />

QIJane non ama particolarmente la Georgia. Beh, questo stato ci ha dato i mitici R.E.M.,<br />

B-52’s, Black Crowes, Kim Basinger, Martin Luther King, Oliver Hardy, Ray Charles,<br />

DeForest Kelley, Ossie Davis, Little Richard, Stacy Keach, Gladys Knight, Otis Redding,<br />

James Brown, OutKast. E le deliziose praline alla nocciola di Savannah. Nondimeno,<br />

l’ultima big sensation dell’impero sudista é Alana Thompson alias Honey Boo Boo, sette<br />

anni, star del tv show Here Comes Honey Boo Boo, spin-off dell’agghiacciante Toddlers<br />

& Tiaras, un concorso di bellezza dove bambine di età generalmente compresa tra due e<br />

dodici anni sono subornate da mamme patologicamente competitive a esibirsi in costume<br />

scimmiottando comportamenti adulti. Alana, auto-battezzatasi Honey Boo Boo Child, si é<br />

guadagnata un reality show tutto suo per le uscite spiazzanti (“il bambino di mia sorella<br />

9


Anna non uscirà fuori dal suo sedere, uscirà dal suo bel biscotto”) e l’iperattività; June<br />

Shannon, la madre, é stata acerbamente criticata per la dieta di Alana, che include quello<br />

che lei chiama con orgoglio Go Go Juice, un miscuglio di Red Bull e Morning Dew che<br />

contiene tanta caffeina quanta ne contengono due tazzine di caffé espresso. June replica<br />

alle critiche con un sorriso sul bel faccione scolpito da anni di junk food: “Ci sono cose<br />

peggiori. Potrei darle da bere alcol.” Due milioni e mezzo di spettatori in media per ogni<br />

episodio. God bless White Trash America.<br />

Figura 3. Thinking about Deliverance...<br />

Io e QIJane stavamo andando a Traverse City, nel Michigan, per il matrimonio di uno dei<br />

suoi quattro nipoti, Cameron. Traverse City, 15.000 abitanti, s’affaccia sulla Grand<br />

Traverse Bay, una baia del Lago Michigan formata da parte del Michigan Settentrionale.<br />

Una figata di posto, noto per la squisitezza delle sue ciliegie, la leggiadria delle spiagge<br />

lacustri, Michael Moore (ci vive) e i vigneti di Anthony Ciccone, il padre di Madonna.<br />

Come d’altronde m’aspettavo, i suoi vini sono mediocri, sebbene per la degustazione si<br />

paghi solo 5$ più un bicchiere omaggio - ripresentandoti con il quale hai diritto a un giro<br />

d’assaggi gratuito; il rinomato Pacentro, dal nome della città ancestrale dei Ciccone negli<br />

Abruzzi, é una mistura di Moscato e Pinot Bianco non particolarmente memorabile. La<br />

domenica in cui rendemmo visita alle vigne, l’oste in carica, un tipo basso e tarchiatello<br />

coi capelli tagliati corti a spazzola e lo sguardo gufesco, non sapeva cosa fosse il Barbera:<br />

10


“Oh, I don’t know that wine” disse crollando la testa. “Aaargh” inorridii dentro di me.<br />

Poi, per qualche motivo, cademmo sull’argomento musica, trovando un terreno comune:<br />

“Per me, il Michigan ha sempre significato tre cose: MC5, Stooges e Motown Records”<br />

chiosai col tono di un conferenziere; ogni tanto mi esce, specialmente quando bevo un<br />

po’: ogni volta che esco la sera, in pratica.<br />

“Wow, pietre miliari! Io sono cresciuto a New York ascoltando punk rock. Ramones, The<br />

Clash, Sex Pistols, Buzzcocks, Wayne County & The Electric Chairs, you know what I<br />

mean.” Mi si presentò come Kaz McCue, artista visuale e curatore di mostre, attualmente<br />

insegnante d’arte e fotografia alla Leenalau School di Glen Arbor.<br />

Il suo lavoro, o meglio la sua installazione più conosciuta é Crazy Clown: Portrait of an<br />

American Asshole, ritratto di uno stronzo americano. Portrait consiste nella faccia di Kaz<br />

distorta in un urlo rabbioso, impressa in formato digitale ripetutamente nell’arco di un<br />

metro e ottanta circa; sulla superficie é stata piantata con criterio una serie di pioli e sono<br />

disponibili degli anelli di gomma nera che i fruitori possono tirare al clown coglionazzo.<br />

A ognuno la sua interpretazione. Kaz McCue ora vive là in Michigan e la Grande Mela<br />

bohémien non sembra mancargli. “New York, I love you, but you’re bringing me down.”<br />

...Oggi, Belén ha deposto in aula a Milano al processo Ruby. Era visibilmente innervosita<br />

dai flash dei fotografi, povera stella.<br />

...Domani, finalmente, perché ci hanno veramente scassato la uallera, l’America sceglierà<br />

il suo 45mo presidente. Sono pressoché sicuro che i vug ci scommettano su; non c’é un<br />

reale interesse strategico da parte loro a far eleggere Obama piuttosto che Mitt Romney,<br />

quanto un mero giro di bollette SNAI (dove I sta per Intergalattico.) Obama o Romney,<br />

Bersani o Berlusconi, Socialismo o Neoliberismo, Manchester City o Manchester United,<br />

loro continuerebbero comunque a fare il bello e il cattivo tempo su questa terra. Alla fine,<br />

sono una lobby. La lobby definitiva.<br />

O anche no. Io, per me, credo alla Teoria della Stratificazione Universale. Se i vug sono<br />

diventati - o sono sempre stati - i custodi maleodoranti di questo pianeta, quis custodiet<br />

ipsos custodet? E così via, livello dopo livello, sempre più in alto, Grappa Bocchino<br />

Sigillo Nero come il cosmo, custodi a sua volta custoditi da custodi a sua volta custoditi<br />

da custodi a sua volta viceversa etc.? ExistenZ, TrascendenZ, vaFFanCULenZ...<br />

In America, fino a una certa serata in pizzeria da Flavio a Siesta Key Village (la miglior<br />

pizza della contea) avevo scientificamente glissato la politica. Come una sera a casa dei<br />

nostri ospiti a Traverse City. Siccome sono barcaioli e proprio per ciò spesso rincasano<br />

tardi, io e QIJane avevamo deciso di preparare loro una cena coi controcazzi: stuzzichini<br />

al formaggio e olive, lasagne al forno, cotolette di pollo impanate e fudge al cioccolato. Il<br />

tutto innaffiato di Barbera Chiarlo scovato da Folgarelli’s Market and Wine Shop, una<br />

delle migliori gastronomie del Midwest se non degli Stati Uniti, al prezzo di 13$, direi<br />

modico per gli standard americani. Stavo giusto apprestandomi a sorbirne il primo sorso<br />

quando Catherine, la padrona di casa, fisico slanciato e tonico plasmato da decenni di sci<br />

d’acqua sui laghi della zona, mi sparò a bruciapelo:<br />

“<strong>Maurizio</strong>, che opinione avete voi europei dell’America?” There she goes. Catherine é<br />

repubblicana fino al midollo e fervente luterana. Il tipo che ringrazia Dio prima di ogni<br />

pasto.<br />

11


Il Re degli Agnostici, cioè io, non si scompose. M’aspettavo questa domanda. “Beh, non<br />

molto positiva, direi.” Con la coda dell’occhio, scorsi al mio fianco QIJane trattenere a<br />

stento una risata. Bevvi. “Mm, questo Barbera é proprio buono come me lo ricordavo.”<br />

“L’abbiamo trovato da Folgarelli’s” intervenne QIJane, provvidenzialmente. “Ti ricordi<br />

quando lavoravo per loro, Catherine? Quella spilorcia della padrona non mi pagava mai<br />

gli straordinari...”<br />

“Oh, ricordo bene quella pitocca. Di recente si é fatta un lifting. E...”<br />

E quella la sfangai. Ma da Flavio’s, già brillo di birra, margarita e sambuca ancor prima<br />

che arrivasse la nostra pizza allo speck, mi volli finalmente sbilanciare con una coppia di<br />

repubblicani di Chicago trapiantati a Sarasota: “Fossi americano, voterei Obama a occhi<br />

chiusi” risposi, solamente per dar loro in testa. Vai Siviero. La donna, una copia sbiadita<br />

della pasionaria vamp Rep Ann Coulter, mi fulminò con lo sguardo; il marito, che era tale<br />

quale a Dean Jones, quel beté che guidava il Maggiolino Tutto Matto, replicò: “Ragazzo<br />

mio, io ti dico che Obama verrebbe a toglierti i dollari dal portafoglio per darli a tutti quei<br />

negri parassiti periferie metropolitane che non fanno niente dal mattino alla sera o peggio<br />

ancora, rubano spacciano e ammazzano la gente.”<br />

Solita solfa. Obama é un socialista (sapessero almeno il significato di questa parola, ’ste<br />

belve d’ignoranza), Obama é musulmano, Obama é un negro di merda e bla bla bla.<br />

Ma io non stravedo per lui, sia ben chiaro. Io sono come quella bambina che in quel cult<br />

clip di ventidue secondi frigna: “Basta Bronco Bamma-Romney.”<br />

Basta ya! Ne ho abbastanza di tutta quella sovraesposizione mediatica. Fosse candidato<br />

alla presidenza, io voterei Jello Biafra. E vaffanculo al Nuovo Feudalesimo Corporativo.<br />

... Belén era così nervosa. Proprio come alle Maldive, quando si faceva sbatacchiare da<br />

Fabrizio Corona davanti ai paparazzi di mezzo mondo. Nervosissima, allora.<br />

Figura 4. Ann Coulter.<br />

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Figura 5. Cedar Lake, Michigan.<br />

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PROMETEO IPEREMPATICO<br />

Dopo due mesi di estenuanti ricerche, sono finalmente riuscito a mettere le virtuali zampe<br />

su Prometheus di Ridley Scott. Delle critiche avverse non me ne poteva fregare di meno:<br />

come giustamente sostenevano i Futuristi nel loro Manifesto, i critici d’arte sono inutili e<br />

pericolosi. Avessi sempre dato retta ai critici rock la mia collezione di dischi consterebbe<br />

di cento pezzi o poco più invece che settecento. Cioè, a chi importa veramente se al tale<br />

Piero Scaruffi non piacciono i Foo Fighters o The Only Ones: io stravedo per ambedue le<br />

band. Punto y pelota. Come se non bastasse, con l’avvento di Youtube pare che ogni geek<br />

di questo pianeta assoggettato si sia inventato critico tout court; si piazzano davanti alla<br />

webcam coi loro occhiali alla Elvis Costello (che nondimeno io adoro, non vi confondete)<br />

e i capelli finto-incolti (no, non sono invidioso!) e pontificano per ore su questo e quello<br />

nella solitudine delle loro camerette, dopodiché “uploadano” i loro videoclip in un paio di<br />

ditate trasudanti autocompiacimento esponendosi masochisticamente al pubblico ludibrio.<br />

Quelle interminabili sbrodolate di ke, nn, cmq, hahaha, prrrr, bru bru. Entropia.<br />

Ora sicuramente ci si aspetta che pure io, molto ipocritamente, parta con una disamina del<br />

film più atteso del 2012, il cosiddetto prequel della serie Alien. Mi fa sorridere. Vivo già<br />

in un film di fantascienza 24 ore al giorno e nondimeno perdo ancora tempo a vedere film<br />

del genere. Perché il cinema é evasione, postillerebbe il Veltroni di turno: necessitiamo il<br />

suo iperrealismo come l’aria che respiriamo. È ormai chiaro e limpido come Recoaro che<br />

su Marte non v’é alcuna Sfinge né piramidi e che con tutta probabilità vi ritroveremo solo<br />

qualche microbo fossile, ma quando su RAI4 replicano Mission to Mars, parecchi di noi<br />

si spalmano ancora sul divano a guardarlo: io non faccio eccezione. Viceversa Matrix é<br />

un pelino troppo attinente alla mia situazione; malgrado ciò, non mi dispiace rivederlo di<br />

quando in quando, soprattutto la parte in cui Neo apprende il kung-fu nell’Interfaccia. Mi<br />

é d’ispirazione. Però mi capirete se quando m’imbatto in Essi vivono cambio canale alla<br />

velocità del suono: quello non é un film, é un dannatissimo monito. Devo contattare John<br />

Carpenter, prima o poi.<br />

“Allora, ce la scrivi questa recensione, o no? ”<br />

Calma un attimo, bimbo mix. Questo non é Debaser. Va’ a farti un giro su Facebook, o<br />

da Foot Locker. “Perché i commessi di Foot Locker perseguitano i clienti?” si domanda<br />

perplessa una ragazza su Yahoo! Answers. Perché sono tutti vug di bassa estrazione, cara.<br />

Se la prendono coi clienti umani per frustrazione. Figurati, farsi anni luce chiusi dentro<br />

una capsula di criostasi per finire a vendere scarpe con indosso quelle ridicole magliette a<br />

righe bianconere. Di sicuro pensavano di venire qua a fare i tronisti; o i ganimedi da sofà<br />

al Grande Fratello. Tutta la Via Lattea é paese.<br />

Come vorrei che qualcuno traesse un film da questo libro: La parabola del seminatore di<br />

Octavia Butler. Octavia, che la Coscienza Cosmica l’abbia in gloria, era la grande dame<br />

della fantascienza mondiale. La parabola del seminatore si svolge in un futuro distopico,<br />

in cui gli Stati Uniti sono diventati una nazione in rovina. Le città sono cinte da mura, e<br />

ovunque si diffondono epidemie, incendi e pazzia. Protagonista della novella é Lauren<br />

Olamina, una ragazza diciottenne affetta da una sindrome di iperempatia, che la costringe<br />

a provare il dolore che vede negli altri. Quando la comunità in cui vive viene distrutta da<br />

una masnada di ladroni strafatti di piro, una nuova droga che intensifica a dismisura il<br />

piacere d’appiccare un fuoco e vedere le fiamme levarsi e cambiare, Lauren si mette uno<br />

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zaino in spalla e inizia un difficile viaggio verso nord. Lungo la strada, si unisce ad altri<br />

profughi, ai quali professa il suo personale credo religioso, il Seme della Terra.<br />

Un principio il cui lemma, molto semplice e nello stesso tempo rivoluzionario, é: Dio é<br />

cambiamento.<br />

“La recensione e magari un link per il download, capo!”<br />

Capo tua madre con la candida albicans.<br />

Io sono iperempatico. Lo sono da quando sono venuto al mondo. Le sofferenze degli altri<br />

mi hanno sempre procurato il torcibudella, non metaforico. Gli alluvionati che piangono<br />

la perdita dei loro averi e dei loro cari. Quell’omino anziano e mesto che vive nel palazzo<br />

di fronte la cui ipofisi un giorno di tanti anni fa ha smesso improvvisamente di secernere<br />

l’ormone della crescita condannandolo per tutta la vita a guardare gran parte dell’umanità<br />

dal basso verso l’alto. I down. I senzatetto. Gli orfani di guerra. Gli obesi. Le donne e gli<br />

uomini traditi dai propri partner. Gli animali maltrattati. I pagafantas. Gli hoarders.<br />

Me stesso, come no, vittima preferita dei bulli alle scuole medie poiché gracile, pauroso e<br />

secchione - venite, venite da me a farvi riconoscere con le vostre panze flaccide, i capelli<br />

sfibrati dalle tinture e i polipi nell’intestino, o anche palestrati, chissenefotte non vi temo,<br />

adesso che ho trenta chili in più di muscoli allenati dalla pelota basca e rabbia esistenziale<br />

a 1000 megawatt, venite, facce di merda. Vi faccio un mazzo così.<br />

Mia sorella. Consumata dal cancro a 41 anni.<br />

“Ok, sei tosto, sei giusto, un fico della madonna, ma ora scrivici sta receeee...”<br />

Ma neanche per idea. Vuoi lo spoiler? Vai su Wikipedia. Vuoi il link? Sudatelo. Non ti<br />

scrivo neanche se il film mi é piaciuto o no. Guardatelo, fatti una tua opinione sganciata<br />

dal senso comune, creati una vita lontano dalle dispute a cascata da social network.<br />

Io, per me, vado a rivedermelo col volume off e gli Only Ones come soundtrack: Another<br />

Girl, Another Planet.<br />

Penso di essere in un altro mondo con te<br />

Sono su un altro pianeta con te<br />

Con te<br />

E che si fottano pure gli Ingegneri.<br />

PS Un altro bel libro degno di una trasposizione: Il telepatico di John Brunner. Narra la<br />

storia di un nanerottolo storpio che scopre d’avere facoltà extrasensoriali. Venite da me,<br />

maledetti: vi curerò.<br />

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Figura 6. The Only Ones, 1977.<br />

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V.U.G. COSTUM<br />

Aeroporto JFK di New York City, 3 luglio 2012, h 3.30 p.m. della Costa Occidentale.<br />

Procediamo serpeggiando tutti in fila come penitenti verso l’assoluzione U.S. Costum. Il<br />

nostro peccato é non essere americani; di conseguenza un sacerdote in divisa blu scuro<br />

s’incaricherà di verificare i nostri passaporti elettronici e scansionare le nostre impronte<br />

digitali nello stesso tempo interrogandoci sul fine del nostro viaggio nella terra del latte e<br />

del miele transgenici. Porgimi la mano per la scansione che ti do l’assoluzione, ovvero<br />

l’autorizzazione a entrare negli Stati Uniti. Ego te absolvo, welcome to the U.S..<br />

Mi sento come respirare nella candeggina. Un misto di jet lag incipiente e sonnolenza da<br />

levataccia. Già, perché “Torino”, come recita un garrulo slogan il cui ideatore io spedirei<br />

volentieri a farsi dieci anni di gulag, “non sta mai ferma”, Giovanni Agnelli bighellonava<br />

con Henry Kissinger, nel 2006 abbiamo avuto le Olimpiadi Invernali dove Torino veniva<br />

paragonata ad Aspen, ma nonostante tutto questo non abbiamo un dannatissimo straccio<br />

di volo diretto da Caselle a New York. Pertanto Mr <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong> ogniqualvolta ha<br />

da andare in Ammeriga deve prendere un taxicab a notte fonda o all’alba, dipende, che lo<br />

porti alla stazione dei bus per l’aeroporto Malpensa, poi il bus medesimo.<br />

A Malpensa 1 in genere mi tocca ammazzare la noia per due, perfino tre ore - comunque<br />

sia, é meglio arrivarvi in anticipo che perdere il volo per qualche ragione, tipo incidenti<br />

stradali o lavori in corso, avarie al motore dei pullman (cosa non infrequente) macchie<br />

solari o piogge di rane e orbettini sulla TO-MI. Come diceva un altro slogan pubblicitario<br />

questa volta assai indovinato, prevenire é meglio che curare - e ritrovarsi a bestemmiare<br />

come un portuale di Baltimora. Stamattina, fuso orario di Augusta Taurinorum, mi sono<br />

svegliato alle 5.10. Sono dieci ore che sto sul pezzo, con ancora una trasvolata atlantica<br />

da metabolizzare e cinque ore, tre d’attesa e due di volo interno NYC-Tampa, tra me e la<br />

mia adorata QIJane. Vorrei tanto farmi una doccia. E un tè al limone. E scopare.<br />

Miele transgenico. Avete mai voltato un vasetto di miele Ambrosoli e letto l’etichetta sul<br />

retro? C’é scritto su: MISCELA DI MIELI ORIGINARI (ITALIA, UNGHERIA) E NON<br />

ORIGINARI (ARGENTINA) DELLA COMUNITÀ EUROPEA.<br />

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha proibito nel settembre 2011 il commercio<br />

di miele contaminato da Ogm nell’UE. Si era scoperto che un apicoltore bavarese stava<br />

producendo miele contaminato da mais OGM MON810 della famigerata multinazionale<br />

Monsanto. I semi modificati avevano prodotto un campo impiegato per fini sperimentali;<br />

in particolare, renderlo inattaccabile dagli insetti parassiti. Nondimeno, you can’t stop the<br />

spring... cazzo adoro i Flaming Lips... non puoi fermare il polline, che diamine credi che<br />

trasportino le api, Carmelo! Il mais geneticamente modificato in questione è capace di<br />

produrre una tossina ottenuta da una sequenza di DNA batterico, trapiantato in quello del<br />

mais: la tossina distrugge l’intestino dei parassiti. Ma é finita nel miele.<br />

L’Argentina, ça va sans dire, è uno dei più grandi coltivatori di OGM al mondo. Con 23<br />

milioni di ettari, è terza in classifica solo dietro US e Brasile. E la Cina? Schiarita di gola.<br />

L’Onorevole Silvio Berlusconi commenterebbe che i cinesi concimano i campi di mais<br />

coi cadaveri di bambini mutanti. Bastardi comunisti!<br />

Miele é il colore dei capelli della ragazza che mi precede: piccola, tonda, non bella, occhi<br />

azzurri slavati che esprimono placida rassegnazione (o rassegnata placidità...), come “ok,<br />

qua é tutto come al solito, quindi mettiamoci l’animo in pace e aspettiamo.” Non resisto<br />

alla tentazione di attaccare bottone. Queste situazioni stimolano la mia loquacità. Non lo<br />

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nego, le frontiere mi rendono irrequieto. Questa in modo particolare: sbirri newyorchesi e<br />

vug insieme, non so se mi spiego.<br />

“Io sono di Cusano Milanino. Lavoro in un laboratorio di ottica italiano, nell’Upper East<br />

Side.”<br />

“Ah sì? Interessante. Quindi devi esserti abituata a questa manfrina.” Un gesto descrittivo<br />

accompagna il finale della mia affermazione.<br />

Lei sorride. “Beh, mai troppo. Per di più, c’é sempre l’eventualità che qualche ufficiale<br />

zelante ti venga a far le pulci. Anche se vivo e lavoro qui da quattro anni ormai.”<br />

Bello sentirsi dire certe cose. “Che vuoi dire esattamente?” Io, per me, é la quarta volta in<br />

due anni che mi reco negli Stati Uniti col programma Esta: ossia, niente visto, ma tempo<br />

massimo di permanenza 90 giorni, non un giorno di più altrimenti ti vietano l’ingresso<br />

per dieci anni, e biglietto A/R in tasca.<br />

La bionda slavata mi racconta: “Quando sono sbarcata qua a New York per la prima volta<br />

con un Work Visa temporaneo, mi hanno portata all’Ufficio Immigrazione e tenuta là per<br />

due ore a schiumare come una scema. Dopodiché, quand’é venuto il mio turno, mi hanno<br />

mitragliato di domande nemmeno fossi una delinquente. Alla fine di quella sgroppata ho<br />

candidamente suggerito loro di chiamare l’occhialeria - il collega col mio nome scritto su<br />

un foglio poteva essersi stancato di attendermi giù nell’atrio arrivi. Mi hanno guardato<br />

malissimo ma subito dopo hanno mollato la presa.”<br />

“Che storia. Comunque prima o poi anch’io avrò bisogno di un visto.”<br />

L’occhialaia mi restituisce un blando assenso. Fine della conversazione, é arrivato il suo<br />

turno. Traggo un profondo respiro, sorrido: I’m about to step into America again!<br />

L’ufficiale é un ragazzo alto e robusto dai lineamenti polinesiani, un bel fiulastrun, come<br />

usava dire mio padre in piemontese. Per contro, non mi sembra granché sveglio; lo vedrei<br />

benissimo a Uomini e donne. Dopo avermi scansionato le impronte, prende a scorrere<br />

avanti e indietro il mio passaporto con aria perplessa, come fosse un libretto scritto in una<br />

lingua sconosciuta ritrovato nella tomba di un faraone.<br />

E tutt’a un tratto: “Per favore, potrebbe venire un attimo con me, signore?” dice, al tempo<br />

sgusciando da dietro la postazione col mio passaporto e le scartoffie in mano.<br />

Come come? “Scusi, c’é qualche problema?”<br />

“No, nessun problema.” Ti si stanno accorciando le gambe, Costantino. “Mi segua.” Ok,<br />

seguiamolo.<br />

“Entri là dentro e si accomodi in fondo alla sala.”<br />

Là dentro sta per Ufficio Immigrazione. Ma porca puttana sifilitica.<br />

Nessun problema, signor Goldenberg: é solo una camera a gas. Entri dentro, chiuda gli<br />

occhi e respiri a fondo. Vado a sedermi dove Costantino m’indica col dito teso.<br />

Il salone, luce bianca calor bianco e aria condizionata a 1.90 gradi Kelvin, é gremito d’un<br />

campionario d’umanità: cinesi, ivoriani, libanesi, rumeni, albanesi, messicani, argentini,<br />

inuit. In meno di un minuto realizzo che sono l’unico italiano. Incastonata in una nicchia<br />

davanti all’ingresso v’é una scrivania oblunga decisamente elevata rispetto al pavimento:<br />

dietro a essa, una trimurti di vug in uniforme, gli scrutinatori. Oh madre mia. L’occhialaia<br />

mi ha gettato il malocchio.<br />

Come accennato, non ho un grande rapporto con le frontiere: conflittivo, direi. Prima dei<br />

trattati di Schengen, ma anche dopo spesso e volentieri, ero una delle vittime preferite<br />

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delle guardie di frontiera francesi al confine con la piel del toro settentrionale. All’epoca,<br />

parlo della prima metà degli anni Novanta, ero in pieno trip Euskadi e la maggior parte<br />

delle volte vi andavo in macchina da solo. È ovvio che ciò insospettisse la Gendarmerie.<br />

Ma io non ho mai contrabbandato droga né armi né niente, ci mancherebbe. Nondimeno,<br />

le rotture di marroni che non ho dovuto subire a Hendaye o su di lì!<br />

Primo dell’anno 1991. Con due ore di pseudo-sonno e un eccesso di libagioni ancora da<br />

smaltire, monto in macchina, metto su Back in The U.S.A. degli MC5 e parto da Donostia<br />

alla volta dell’Italia. Ho ancora in bocca il gusto delle ali di pollo croccanti che deliziose<br />

ragazze dai nomi impossibili - Nekane, Edurne, Aitziber, Izaskun - servivano in vassoi di<br />

peltro ai clienti dell’ultima discoteca che ci siamo fatti, intorno alle sette del mattino. Il<br />

resto della mia banda tornerà a Torino tra due giorni: io, personalmente, devo timbrare il<br />

cartellino domani alle 6. Ora sono le 13.00. Partirono in quattro con due macchine ma ne<br />

tornò soltanto uno. Highwaylander.<br />

The shakin’ street, it’s got that beat.<br />

I doganieri spagnoli neanche mi cagano. Varco la frontiera. I doganieri francesi con ampi<br />

gesti mi segnalano di parcheggiare. Sbuffo. Che il diavolo li porti!<br />

Smonto e, giocando d’anticipo, consegno loro i documenti d’identità e della vettura senza<br />

proferire favella. Due sbirri e un pastore tedesco capitanati da una donna allampanata con<br />

la stessa faccia di Nicole Kidman in The Hours. “Parlez-vous Français?” mi domanda<br />

costei, sguardo spento, visibilmente assonnata.<br />

“No” rispondo. "Parlo un po’ di spagnolo. Usted me entiende? ”<br />

“Oui, usted lo habla bastante bien.”<br />

Detto ciò, gli sbirri e il cane mi rivoltano l’auto come un calzino. Aprono i miei bagagli e<br />

li fanno annusare alla bestia, esaminano i miei nastri uno a uno controluce, ficcano i loro<br />

nasi adunchi sotto i sedili, smontano le casse e le bocchette dell’aria, svitano i tappi delle<br />

vaschette dei fluidi e il filtro dell’aria. Virginia Woolf assiste al rituale con aria truce, si<br />

dev’essere persuasa di aver bloccato un pericoloso spacciatore internazionale. Intanto il<br />

tempo scorre e il mio proponimento s’allontana spostandosi verso il rosso. Non ce la farò<br />

mai ad arrivare al rusco in orario. Fortuna che non fa tanto freddo: ieri mattina si poteva<br />

girare in T-shirt e giubbotto.<br />

La perquisizione dura tre quarti d’ora. Finalmente un gendarme mi ridà i documenti con<br />

un lieve cenno d’assenso “très bien monsieur”, mentre Virginia Kaiser s’allontana senza<br />

spiccicar parola, visibilmente contrariata. Ciapa lì, befana dei Pirenei. (Mi gioco 1000$<br />

che era un vug. Ma allora non potevo vederli...) Ha ha ha.<br />

Risata che poco più in là, quando mi fermo alla stazione di Bidart per far benzina e bere<br />

un caffè, muta in un’orrida bestemmia allorché m’accorgo che quei procioni mi hanno<br />

sciancato la bocchetta sul lato passeggero. Non s’incastra più. Ma porcaccia la...<br />

(Per la posterità, arrivai a Torino alle 5.10 del mattino, esausto e in preda a un attacco di<br />

diarrea. Se andai a lavorare? Non ve lo dirò. Speculate pure, che mi piace.)<br />

Guardo l’orologio per la centesima volta: 6.10 p.m. Ho ancora cinquanta minuti prima<br />

che cominci l’imbarco del volo per Tampa. Due ore segregato in questa ghiacciaia, senza<br />

poter usare il cellulare - gli sbirri s’infuriano se lo fai - né alzarsi. I vug hanno interrogato<br />

e scarcerato tutti coloro i quali erano prima di me; ciò nondimeno, come ne mollano uno<br />

ne portano dentro un altro corrispondente al loro concetto di racial profiling: vale a dire,<br />

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pieghe epicantiche, baffi da Ali Babà, occhi alla Hugo Chavez, nasi balcanici. Poi ci sono<br />

io, l’anomalia siculo-piemontese. Che accidenti vogliono da me? Sto per perdere l’aereo,<br />

per la miseria...<br />

“Maurriziou Ferriarouttia.”<br />

Ok. Tocca a te, finalmente. Walk, Don’t Run. Respira, mantieni la calma e sorridi a tutti,<br />

come ti ricorda sempre QIJane.<br />

Fosse facile, avendo una femmina vug vestita da sbirro terrestre che ti guarda dall’alto in<br />

basso con quegli occhi blu cobalto dalla spaventevole inclinazione verticalizzata, il volto<br />

sottile e schiacciato a mo’ di sogliola, la pelle e i capelli arancione. Dio, m’angoscerebbe<br />

di meno se Essi apparissero come i mitizzati Grigi di Zeta Reticuli; ci riderei perfino su.<br />

Così, invece, é come essere circondato di caricature alla psilocibina di Roger Waters. E io<br />

odio i Pink Floyd.<br />

“Dunque, signor... <strong>Ferrarotti</strong>. Vorremmo sapere i veri motivi del suo viaggio in America.”<br />

Voce fonda, con una leggera inflessione ispanica. Me la immagino con un volto fittizio<br />

alla Rachel Ticotin, partner di Arnold Schwartzenegger nel primo Atto di forza.<br />

“Come ho già spiegato al suo collega, sono qui per approfondire la conoscenza del vostro<br />

paese.” Merda. Speriamo che non capti l’ironia. Breathe Mau.<br />

Lei, o meglio, essa prende il mio passaporto con fare teatrale, lo sfoglia. “Dunque, questa<br />

va a essere la quarta volta in due anni che lei, signor <strong>Ferrarotti</strong>, si presenta alla frontiera<br />

degli Stati Uniti col programma Visa Waiver. Lei ha precedentemente dichiarato di avere<br />

un’amica in Florida, vero?”<br />

“Sì, confermo.” Breathe.<br />

“Che genere di amica?”<br />

“È la mia ragazza.”<br />

“La sua ragazza.” L’aliena inarca un sopracciglio. “Signor <strong>Ferrarotti</strong>, il programma Esta<br />

non é un vero visto. È l’autorizzazione a salire a bordo di un mezzo di trasporto in rotta<br />

per gli Stati Uniti nonché a permanere sul suolo americano per un certo periodo di tempo,<br />

sempre che ne sussistano le condizioni. Non bisogna abusarne. Lei é già stato in America<br />

per due mesi all’inizio di quest’anno, febbraio e marzo. Passano due mesi e mezzo ed é di<br />

nuovo qui. Codesti suoi viaggi sono, diciamo così, un po’ ravvicinati.”<br />

Ma la materia oscura di mammeta. “Signora, lungi da me volerne abusare. In realtà nel<br />

regolamento Esta io non ho riscontrato alcun cenno riguardo a possibili limitazioni nella<br />

frequenza dei viaggi.” Non ve ne sono, veramente. Però più di un forum di viaggiatori su<br />

Internet t’avvisa di non tirare troppo la corda, poiché a lungo andare andirivieni troppo<br />

frequenti potrebbero indispettire quelli dell’Immigrazione. Difatti.<br />

La femmina vug mi guarda fisso. Sostengo quello sguardo con fermezza. QIJane Gong<br />

funziona e ora mi sento perfino spavaldo. Tuttavia mi chiedo, per la millesima volta: loro<br />

sanno che io so? Che posso vedere come essi sono realmente, com’é il mondo in realtà?<br />

Oppure no? Cosa rappresento io alla fine, un bit sfuggito al controllo di una mastodontica<br />

mistificazione iper-olografica, oppure una cavia cui a fine esperimento verrà cancellata la<br />

memoria, o viceversa mi faranno sparire e diventerò un caso a Chi l’ha visto?<br />

Viceversa. A sua volta. Certe volte mi sento come una versione tragica del Mago Gabriel.<br />

“Ecco a voi giustamente questi gnomi vugga col naso appizzuto. Solo io li posso vedere.”<br />

La vug richiude il passaporto. “Ok, signor <strong>Ferrarotti</strong>.” Me lo sporge. “Per questa volta la<br />

ammettiamo. Ma non si dimentichi che lei é nel sistema.” Dà una pacca amorevole al suo<br />

terminale video, come fosse il suo cane vug, quelle puzzolenti mostruosità a quattro occhi<br />

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e sei zampe il cui pedantissimo latrato suona come prodotto da un laringofono. “Lei é qui<br />

dentro. Quindi per la prossima volta si procuri un visto. Ora vada, che perde l’aereo.”<br />

“Grazie, signora.” Ghermisco il libretto e filo via a recuperare il mio trolley e la valigia,<br />

sbuffando CO2 e acetato come un vaporetto.<br />

Un’ora e qualche minuto dopo, sto decollando per Tampa. Fiuu, é andata! Sto volando da<br />

te, miele. I’m flying to you, honey bee.<br />

PS Ha vinto Bronco Bamma. Prima conseguenza: a QIJane toglieranno l’assicurazione<br />

medica. “Just go Obamacare” le é stato detto. Fuckers.<br />

Figura 7. Me at Tampa International Airport.<br />

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ANTICON(FORM)ISTA<br />

C’era una volta il form dei commenti al mio blog. Tale modulo era generato da uno script<br />

inviamail.php senza codice captcha, roba antidiluviana dal punto di vista internettiano. Il<br />

codice captcha, acronimo per Completely Automated Public Turing test to Tell Computer<br />

and Humans Apart, é una tecnica oggidì largamente utilizzata per contrastare gli input<br />

generati automaticamente da un computer, quello che fanno, ad esempio, gli stramaledetti<br />

spambot, principali responsabili delle e-mail indesiderate. Senza questo codice, é come se<br />

lasciaste il portone del vostro palazzo aperto a ogni sorta di rompiballe, dai distributori di<br />

volantini ai damerini corvacei delle agenzie immobiliari. Cosicché per due anni avevo<br />

dovuto subire una media di quaranta falsi messaggi Gmail giornalieri reclamizzanti ogni<br />

genere di stronzata, dai potenziatori sessuali ai prestiti agevolati, nonché false attestazioni<br />

di stima scritte in italiano vucumprà. Di spostare il mio blog su una piattaforma blogspot<br />

nianca a parlene, che accidempoli pagherei a fare tutti quegli euro per il mio spazio web<br />

allora. Rivendico la mia individualità, per quel che vale. Quindi appena tornato dal mio<br />

quarto viaggio negli Stati Disuniti ho cancellato il suddetto modulo dalla home page. Fine<br />

dello spam. Chi vuole, mi scriva tramite l’indirizzo e-mail visualizzato nel menu, vecchia<br />

maniera; sarò ben lieto di rispondere, ma non pubblicherò alcun commento sul mio sito<br />

personale. Anche le battaglie dialettiche a colpi di post mi hanno definitivamente saturato<br />

i marroni, tutti quegli screanzati da tastiera che appaiono dal nulla pixelato a puntarti un<br />

metaforico dito contro. Fosse vita normale chiuderesti loro la bocca a ceffoni.<br />

Tempo fa su Facebook avevo tra i miei amici la caporedattrice di Italialand, il fortunato<br />

programma del comico <strong>Maurizio</strong> Crozza. L’avevo conosciuta al Nuovo Bar Astra, snodo<br />

cruciale della nighlife di Vicenza, durante un alcolico Capodanno sotto la neve. Lì per lì<br />

Silvia, questo il suo nome, non mi aveva propriamente allettato: caruccia, questo sì, ma se<br />

la tirava un tantino, inoltre indossava quei leggings a righe orizzontali multicolor da Pippi<br />

Calzelunghe grunge che per me sono tra i più spietati cauterizzatori della libido maschile<br />

mai creati da mani umane. A ogni buon conto, appena tornato a Torino le avevo chiesto<br />

l’amicizia. Miss Silvia l’aveva accettata senza dimore, pur allegando quanto segue: “Beh,<br />

hai fatto bene a circostanziare, perché io non mi ricordavo più.” Azz, avevo fatto colpo!<br />

(With tongue firmly in cheek, obviously.)<br />

Ora, come ho già scritto, io amo il rock. Non posso vivere senza. E non sono sciovinista.<br />

Le band capitanate da donne, o perfino composte di sole donne come le Go-Go’s e le L7,<br />

hanno il mio rispetto imperituro. Ai tempi di Exile in Guyville avrei dato una gamba per<br />

un appuntamento con Liz Phair - “I wanna be your blowjob queen”, ricordate? Shirley<br />

Manson e Liela Moss, le porterei entrambe nelle Langhe a ubriacarsi di Barbera. Emily<br />

Haynes e i suoi Metric ruotano incessantemente nel mio venerando lettore CD e iPod da<br />

almeno cinque anni. Help me, I’m alive! Uno dei miei passatempi é postare su Facebook<br />

foto e video di rockeuse. Sempre che non siano vug. Praticamente tutte le pop star corrive<br />

lo sono: Britney Spears, Rihanna, J. Lopez (spiace deludervi, ma il suo tanto magnificato<br />

fondoschiena é un ologramma), Nicki Minaj e avanti la prossima. Nel rock é molto più<br />

raro; Courtney Love e' vug, per esempio. Di sicuro sarà una delle “pecore nere aliene”<br />

della sua razza. Però, lo confesso, adoravo anche lei, o meglio, l’ho adorata per tre dischi.<br />

Ma non ci sarei mai uscito assieme; a maggior ragione non lo farei ora.<br />

Dunque una mattina posto Don’t Upset The Rhythm dei Noisettes, un gruppo indie rock -<br />

se questa parola ha ancora un senso - di Londra. Vi adduco testuali parole: “Ma quanto<br />

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sono bravi i Noisettes! E quant’é carina la cantante!” Shingai Shoniwa, sexy e grintosa,<br />

originaria dello Zimbabwe.<br />

Tempo un minuto mi arriva il seguente commento da Pippi Grunge: “Smettila per favore,<br />

Papi Due.”<br />

Mi lascia basito. Cioè, questa squinzia mi sta paragonando a Berlusconi?!!<br />

OK, la cosa va celermente contestualizzata. Aperta parentesi. Anno Domini 2009. Come<br />

un fulmine mediatico a ciel sereno, salì agli onori (pfui) della cronaca una certa Noemi<br />

Letizia da Casoria, 19 anni. Si sussurrava, si diceva, si vociferava che quest’incantevole<br />

ragazzina della Campania godesse di attenzioni “particolari” da parte dell’allora premier<br />

onorevole Silvio Berlusconi, fin da quand’era minore di età. Costei pareva ricambiare<br />

codeste attenzioni con commovente trasporto affettivo, giungendo addirittura a chiamarlo<br />

“papi Silvio”. Chiusa parentesi.<br />

Mi scuoto e, rimandando giù un rivolo di bile, tasteggio: “Papi Due? Cosa vuoi dire con<br />

questo?”<br />

“Che posti sempre e solo gnocca.”<br />

“Ma per chi accidenti mi hai preso, per un figomane filo-berlusconiano? Sei totalmente<br />

fuori. Io posto solo cose riguardanti donne creative: attrici, artiste, rockeuse. Donne che<br />

rispetto e ammiro profondamente. Mai sgallettate da tabloid. Papi 2... Che dovrei dire io<br />

di te, che ci affliggi ogni giorno coi tuoi strali antiberlusconiani, letteralmente dozzine di<br />

post al giorno, manco non c’arrivassimo a capire da soli che razza d’individuo egli (esso,<br />

é un vug) sia e quanto tu lo detesti? Come dovrei chiamarti allora, Finocchiaro 2.0?”<br />

Attendo un’altra replica, invano. Il bombardiere monomaniaco é volato via a sganciare un<br />

altro carico di malanimo neo-veterofemminista su un altro malcapitato, magari reo d’aver<br />

condiviso sulla propria bacheca una pagina dedicata alla farfalla tatuata di Belén. Fly, fly,<br />

butterfly...<br />

...fuck, fuck, butterfly... Mark Lanegan che si spupazza Belén a sangue sul pontile dello<br />

Space Needle...<br />

Qualche giorno dopo andai in un locale chiamato Spazio 211 per assistere al concerto dei<br />

These New Puritans, una band londinese per cui Pippi Silvia sembrava stravedere. Mi<br />

risultarono così indigesti - possono piacere giusto a una trendoide meneghina d’adozione<br />

come lei - che appena tornato a casa misi su Exile On Main St per purificarmi da quella<br />

merda, ingollai un bicchierino di grappa di Barbera Mazzetti, mi connessi a Facebook e<br />

cancellai la signorina Calzeastrisce dalla mia vita con un vendicativo clic.<br />

Niente like o unlike o thread a cascate del Niagara nel mio diario, né sputasentenze da<br />

tastiera. Così é, se vi va.<br />

ciao maurizio volevo solo dirti ma certo ke sti vugs sanno ki sei, scrivi un blog dove parli<br />

di loro! navigheranno anke loro su Internet no? cmq secondo me ti konviene di smettere<br />

di scrivere ste minkiate, perke prima o poi ti beccano e poi ti vengono a prendere a casa<br />

come la DIGOS! Cmq spero tantissimo ank’io di poterli vedere un giorno, che scialata ke<br />

dev’essere. Un’abbraccio!1<br />

Franci Vips<br />

Dammi il nome del tuo pusher, ti prego. Voglio sballare anch’io con la roba che prendi<br />

tu.<br />

Raver Surfer<br />

23


Egregio sig. <strong>Ferrarotti</strong>, mi perdoni la franchezza, ma da appassionato di fantascienza<br />

quale sono, mi si rivolta lo stomaco a leggere quest’orrendo zibaldone di Essi vivono e I<br />

giocatori di Titano con gocce di Matrix. Pertanto i titaniani esistono veramente, secoli fa<br />

o nel 1947 hanno abbandonato le dune ghiacciate del loro mandarino morente e si sono<br />

insediati sulla Terra titanoformandone l’ambiente e gli esseri viventi in un batter di ciglia,<br />

non é così? E da allora noi viviamo una menzogna olografica, “il mondo che ci é stato<br />

messo davanti agli occhi per nasconderci la verità”. Magari se qualcuno distruggesse<br />

quell’antenna sul tetto la sonda Cassini ci ritornerebbe pure le immagini dei loro alberghi<br />

in rovina sulle sponde del Lacus Ontario, laddove una volta Essi potevano farsi i fanghi<br />

di tolina perché Titano era considerevolmente più caldo di adesso, oh direi quasi come<br />

la Florida, no? “L’atmosfera di Titano é simile all’atmosfera davanti alla porta di servizio<br />

di una pasticceria terrestre in un mattino di primavera. Una fornace chimica naturale nel<br />

suo nucleo mantiene una temperatura atmosferica uniforme di 20°.” Kurt Vonnegut, Le<br />

sirene di Titano. Aggiungiamoci un persistente aroma di fornello da campeggio. Poi tutt’a<br />

un tratto la fornace si é spenta e il clima di Titano é andato a picie. Ed Essi invadono la<br />

Terra per sopravvivere.<br />

Mi spiace molto, ma io non sento alcun effluvio di metano quando mi sveglio la mattina<br />

presto per andare a lavorare; piuttosto, ogniqualvolta apro il suo cosiddetto blog, avverto<br />

un disdicevole tanfo di stantio. La saluto.<br />

spinrad@tiscali.it<br />

PS almeno poteva chiamare i titaniani con un altro nome, razza di plagiaro.<br />

@Franci: hai proprio ragione. In effetti, sto danzando sul filo di un rasoio nucleare. Ma la<br />

gente deve sapere, anche se sulle prime sembrano minkiate. Un abbraccio anke a te.<br />

@Raver: io mi drogo solo di rock’n’roll, quello buono. Occhio a non farti manganellare<br />

al prossimo rave, che poi diranno che sei caduto mentre scappavi.<br />

@Spinrad: fuochino. Anzi, FUOCO. Darei la vita per sapere dove si trova quell’antenna,<br />

mi creda. La saluto anch’io. (PS Le sirene di Titano é uno dei miei romanzi preferiti. Lo<br />

comprai esattamente 31 anni fa. Editrice Nord, 1981.)<br />

E adesso...<br />

...un po’ di artwork figomane.<br />

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Figura 8. Rachel Goswell (Slowdive).<br />

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Figura 9. Scarlett Arranobeltzon (Syncretism).<br />

26


Figura 10. Txantxangorria Naiz (Io sono Il Pettirosso).<br />

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IMUTANTI URBANI<br />

Vaya semanita, quella appena trascorsa! Giovedì mi é toccato sprecare una mattinata per<br />

far correggere il saldo dell’IMU, il nuovo hyper-oneroso tributo vug sulla casa, l’inculata<br />

con un altro nome: qualche parinot del sindacato mi aveva inciuccato il calcolo. Io avrei<br />

fatto tutto DIY (Do it Yourself) come per la prima rata, ma poi uno scrupolo del menga<br />

mi aveva spinto a demandarne la compilazione alla sede CAAF del nostro quartiere. Una<br />

volta consegnatomi il modello F24 ero subito schizzato in banca a pagare, ma poi a casa<br />

mi é venuto il ticchio di controllare la cifra con quattro diversi calcolatori disponibili online:<br />

risultato unanime, il saldo era troppo magro, 100 e fischia euro in meno di quanto<br />

avrebbe dovuto essere.<br />

“Ma chettenefrega!” commenterebbe Carmelo. Eh no amico mio, io l’anno prossimo me<br />

ne torno in America, pertanto chi pagherà la cartella esattoriale che sicuramente riceverò<br />

dall’Agenzia delle Entrate, la povradona di mia madre? Ma manco per idea. E allora<br />

torna sbuffando al CAAF gremito di vecchie vacche pensionate da mungere, aspetta il tuo<br />

turno, esponi il problema alle carampane perossidate che fungono da receptionist, sali su<br />

al primo piano, sciroppati un’ora di coda fissando con vivo disprezzo la tazza portapenne<br />

della Giuve sulla scrivania di quel pezzo di tamarro sessagenario che se ne sta lì seduto a<br />

magnificare le virtù dei suoi pomodori in conserva mentre i colleghi ronzano avantindré<br />

come api in speed, fatti infine ricalcolare il saldo IMU scoprendo che in effetti qualcuno<br />

ha sgarrato le quote alla grande, con tutto che ’sti turlupupu avevano la visura catastale e<br />

il modulo della prima rata di giugno.<br />

Poi fiondati in banca per far annullare e rimpiazzare il modulo F24 precedente, ghermisci<br />

il biglietto n. 78 cazzarola ne hai solamente 100 davanti!, e quando finalmente tocca a te<br />

finisci alla cassa 2 da quel tizio che sembra sputato Emmet Brown, il “Doc” di Ritorno al<br />

futuro, porcaccia troia ma quando lo mandano in pensione questo rottame, puntualmente<br />

Doc va in ambasce ma per grazia cosmica sopraggiunge in mio aiuto il giovane direttore<br />

di filiale e convoca una tizia che tra un sospiro e l’altro si prende in carico il problema, oh<br />

niente di trascendentale trattasi di andare in apnea giù nel seminterrato rintracciare il mio<br />

modulo scansionato/codificato e cancellare un record nel mainframe della banca. Tempo<br />

mezz’ora la tizia riemerge rassicurandomi che é tutto a posto, quindi pago l’IMU corretta<br />

e faccio ritorno alla maison, già privo di forze a metà giornata. Quattro ore buttate via per<br />

dabbenaggine altrui. Per salvare l’Itaglia dal default. Ma vaffanculo.<br />

Venerdì pomeriggio il Pdl ha staccato la spina al governo Monti. I Gabibbi non hanno<br />

suffragato la fiducia al decreto legge sui costi nella politica negli enti locali: “Esperienza<br />

conclusa” ha sentenziato il vug Alfano. E Berlusconi é ormai pronto a ricandidarsi.<br />

Che commentare al riguardo? Beh, già detto, é un vug. Tragicomicamente, le sue fattezze<br />

paiono ridicole perfino senza camuffamento olo; comunque lo vedi é basso, egocentrico,<br />

liftato, tricotrapiantato. È una caricatura d’extraterrestre nel medesimo modo che é una<br />

caricatura d’essere umano. Ormai parla in vug con accento meneghino, addirittura - l’ho<br />

quagliato in un fuorionda con Alfano. Qualcosa mi dice che perfino i suoi capi, dovunque<br />

si trovino da qui all’orlo dell’Universo, si siano rotti i coglioni di lui; tuttavia, si guardano<br />

bene dal rimuoverlo, o finanche terminarlo. Non ci piove sul perché: da’ lavoro alle loro<br />

mogli, fidanzate, amanti, amichetti, figli e figliastri, passacarte, imbrattacarte, portaborse.<br />

Tutti insieme puttanescamente su questo pianeta, in questo ersatz sbrindellato di paese<br />

civile.<br />

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E comunque si ricandida. Diocristo incoronato di spine. Fatemi solo fare quel dannato<br />

biglietto per Tampa.<br />

Sabato mattina presto, rockando e scrollando up and down Faccialibro, m’imbatto in una<br />

foto di Urbano Cairo sorridente tra le sorelle Rodriguez, Belén e Cecilia; l’occasione é il<br />

party di presentazione del calendario di quest’ultima. Segue una cascata del Niagara di<br />

commenti sferzanti scritti da tifosi del Toro per i quali si prospetta un altro campionato di<br />

dolori addominali e cristi. Per mia somma afflizione io sono granata fino al midollo. «Lei<br />

si accontenta di farsi sfogliare mese per mese, o giorno per giorno, da chi deciderà di<br />

acquistare For Men, il magazine di proprietà della Cairo editore, a cui uscirà abbinato il<br />

calendario.» Belén appare in gran forma, nonostante sia al quinto mese di gravidanza;<br />

Cecilia é meno carina di viso ma ha un corpo da schianto e, a quanto sembra, la stessa<br />

feroce determinazione a farsi strada in questo mondo a colpi di tette e culo. I segaioli di<br />

tutt’Italia ringraziano, amen. Take good care of the baby, Belén.<br />

“Ma Cairo é un vuggo?”<br />

No, Carmelo. È un mandrogno trapiantato nella Milano da bere. Già. Quanti, tra coloro<br />

che quotidianamente inveiscono contro il presidente del Torino Football Club, conoscono<br />

davvero il suo background? Non molti, dubito. Ciò che segue é un articolo apparso sulla<br />

rivista L’Espresso il 13 settembre 2005, poche settimane dopo l’investitura di “Papa<br />

Urbano I”:<br />

SONO IL VIGILE URBANO<br />

Berlusconi, le feste, la Milano da bere, Mani pulite. Il rilancio nell’editoria gossip. Vita e<br />

amici di Urbano Cairo, neo boss astuto e spregiudicato del Torino<br />

Un venerdì del lontano 1982 Urbano Cairo, assistente personale di Silvio Berlusconi, va a trovare<br />

il vecchio Edilio Rusconi nei suoi uffici di via Vitruvio, a Milano. Non è una visita di cortesia. La<br />

Fininvest, con Canale 5, sta vendendo gli spot a prezzi stracciati e Rusconi, proprietario di Italia<br />

1, non riesce più a sostenere la corsa al ribasso. Urbano ed Edilio discutono fino a sera e trovano<br />

un accordo. Una firma sancisce l’impegno a non scendere sotto una cifra pattuita fin dal lunedì<br />

successivo. Rusconi, tranquillizzato, va a godersi il meritato weekend. Cairo invece esce di fretta<br />

e si fa portare a Cologno, dove convoca subito tutti i venditori di Publitalia, la concessionaria<br />

Fininvest, per sguinzargliarli in una 48 ore filata di svendite di spot ai prezzi vecchi. È un fine<br />

settimana di fuoco, ma alla fine l’intera stagione di Canale 5 viene piazzata. Quando Edilio torna<br />

in ufficio, il lunedì, capisce di essere stato gabbato. A quel punto, per far sopravvivere l’azienda<br />

deve vendere Italia 1. E l’unico acquirente possibile è proprio Fininvest.<br />

L’aneddoto, raccontato da un ex manager rusconiano, rende l’idea della scaltrezza di Cairo,<br />

acclamato a furor di popolo e di sindaco nuovo proprietario del Torino calcio, cavaliere bianco di<br />

fede granata chiamato a salvare l’antica e nobile società di football. L’ascesa al pianeta pallonaro<br />

di Cairo del resto è il coronamento di una carriera avvolta nel mito, fin da quando nel 1981, da<br />

poco laureato alla Bocconi, legge un’intervista rilasciata a Capital da Silvio Berlusconi. “Se<br />

qualche giovane ha una buona idea, mi chiami”, diceva tra l’altro al mensile il fresco fondatore di<br />

Canale 5. Detto fatto, Urbano si presenta negli uffici del Biscione e si piazza davanti alla<br />

segretaria di Sua Emittenza finché non riesce a farsi ricevere. Scoppia il colpo di fulmine e<br />

Urbano, a 24 anni, diventa l’assistente personale del futuro premier. Per il ragazzo di Alessandria<br />

è l’inizio folgorante di un’epopea fininvestiana che durerà 14 anni, sempre al fianco di Berlusconi<br />

tanto nelle fatiche degli affari quanto nelle notti di baldoria della Milano da bere. I soldi non<br />

mancano e le ballerine neppure, sicché nulla osta i divertimenti e le complicità dei due. Sul<br />

lavoro, invece, Cairo è un’idrovora a ciclo continuo di raccolta pubblicitaria, prima a Publitalia<br />

29


poi alla Mondadori. Alla corte di Silvio, Urbano impara a imitare uno stile fatto di cordialità<br />

straripante, doppiopetti blu anche d’estate e frizzanti complimenti a semplici conoscenti o assoluti<br />

sconosciuti, perché chissà mai, un giorno tutti possono tornare utili. Anche nei mesi in cui<br />

Berlusconi inizia a cullare l’idea di entrare in politica, nel ’93, al suo fianco ha Cairo, che lo aiuta<br />

in molti degli incontri che preparano il terreno ai club da cui nascerà il partito.<br />

Quando però la buriana di Mani pulite si abbatte su Publitalia, l’enfant prodige del Biscione è tra i<br />

primi a finire nel mirino del pool. Il meccanismo contestato dai magistrati è quello delle società<br />

sponda: sigle che firmavano contratti e poi li giravano al colosso pubblicitario, creando fatture<br />

false e riserve di denaro in nero. È l’inchiesta che travolge Marcello Dell’Utri e provoca il<br />

commissariamento di Publitalia. I pubblici ministeri Francesco Greco e Gherardo Colombo<br />

delineano l’esistenza di una rete parallela creata dai manager Fininvest: una macchina raccogli<br />

quattrini che in alcuni casi offre anche un servizio di esportazione di capitali in favore degli<br />

imprenditori. E che fa il nero su tutto, anche sulle sponsorizzazioni sportive di automobilismo,<br />

calcio e ciclismo. Le rivelazioni di un ex manager del giro, Giovanni Arnaboldi, descrivono un<br />

mondo da telenovela dove gli affari vengono conclusi tra feste, top model, yacht e jet personali.<br />

Cairo opera con una società chiamata Publivis che fa mediazioni fittizie. Per i giudici, in questo<br />

modo, tra l’89 e il ’92, oltre 4 miliardi di lire sono finiti fuori dai bilanci, scomparendo anche<br />

dalle dichiarazioni delle tasse. Nell’attività Urbano ha coinvolto praticamente tutta la famiglia:<br />

padre, madre, ex moglie, due sorelle, fratello e cognato. A tutti ha fatto intestare quote della<br />

raccolta pubblicitaria parallela. Quando i pm chiedono di mandarli alla sbarra, nei corridoi della<br />

procura vengono ribattezzati i Cairo Eight, parafrasando il nome del gruppo pop dei Jackson Five.<br />

Perfino la sorellina, matricola in legge, si ritrova imputata. All’apertura del processo Cairo è<br />

l’unico a chiedere il patteggiamento, rompendo il fronte dei manager Publitalia che diversamente<br />

respingono le accuse e si dichiarano vittime politiche. Il suo avvocato, Giuseppe Pezzotta, riesce<br />

a concordare una pena di 19 mesi con la condizionale per falso in bilancio, fatture per operazioni<br />

inesistenti e appropriazione indebita. La sentenza diventa definitiva nel 1999, ma dopo 5 anni<br />

scatta l’estinzione del reato e oggi il certificato penale di Cairo risulta immacolato.<br />

Da quest’esperienza esce assai incrinato il suo rapporto con Dell’Utri, che in azienda non lo vuole<br />

più. Berlusconi è ormai a Roma, in politica, e il boss di Publitalia ha gioco facile nell’emarginare<br />

Cairo nel limbo di Pagine Utili per poi cacciarlo dal gruppo con un benservito che lascia di sasso<br />

il piemontese rampante. Sicché nel 1995, a 38 anni, Cairo si trova a spasso con un pacco di<br />

miliardi, molte ottime conoscenze e un know-how pubblicitario non da poco.<br />

Urbano allora mette in piedi una concessionaria di pubblicità in proprio, che chiama con il suo<br />

nome e trova presto una bonaria sponda ai vertici della Rizzoli: i boss di Crescenzago infatti gli<br />

affidano subito la raccolta di grasse testate come Oggi e Io donna. Come sempre, il ragazzo ci sa<br />

fare, gli investitori arrivano, il gruppo decolla e lo smacco del licenziamento dalla Fininvest è<br />

dimenticato. Tempo dopo dirà: “Mi sono sentito un po’ come il conte di Montecristo: un uomo<br />

che ha fatto il miracolo passando dall’ingiustizia della condanna al grande rilancio, dimostrando<br />

capacità di risalire la china.”<br />

Due anni più tardi Urbano Cairo fa il suo ingresso nel mondo del calcio e comincia a vendere la<br />

pubblicità statica all’interno dell’Olimpico, cioè i cartelloni a bordo campo e dietro le porte. Gli<br />

italiani iniziano così a conoscere il simbolo del suo gruppo - un occhio stilizzato - che ogni tanto<br />

passa anche in tv. Poi si prende la pubblicità di Telepiù, lancia un paio di attività su Internet e<br />

infine si sente pronto per tentare l’avventura da editore. Nel 1999 l’anziano Giorgio Mondadori,<br />

che da tempo si era distaccato dal gruppo di famiglia creando un’azienda di mensili in proprio, è<br />

stanco e vuole ritirarsi in Costa Azzurra. Cairo si fa sotto e poco dopo la Giorgio Mondadori è<br />

sua. Il tenero Urbano riceve una telefonata di complimenti dal suo ex padrone, Silvio, e lui gli<br />

sussurra: “Hai visto presidente? Ora ho la mia Mondadori anch’io.”<br />

Nel luglio del 2000 Cairo riesce a quotare il suo gruppo in piazza Affari, appena in tempo prima<br />

del grande flop borsistico. Per lanciare il collocamento, Urbano fa tappezzare Milano di manifesti<br />

con l’immagine di se medesimo che spunta in giacca e cravatta da un borsone di cuoio e la scritta:<br />

30


CAIRO ENTRA IN BORSA. I milanesi meno concentrati sulle cose dell’editoria non capiscono e<br />

commentano: “Chel lì l’è matt”. Invece Urbano riesce a piazzare un quarto delle azioni a 65 euro<br />

l’una, un affarone (per lui) visto che subito dopo il titolo inizia a crollare e ancor oggi è sotto<br />

quota 47. Comunque, grazie ai miliardi freschi dei piccoli azionisti, Cairo può dare una svolta al<br />

gruppo: le vecchie testate della Giorgio Mondadori infatti sono solo mensili di nicchia, patinati e<br />

sobri, come Airone e Bell’Italia, che non soddisfano l’indole popolaresca di Cairo. Lui, come<br />

Berlusconi, pensa di saper parlare alle masse ed è alle masse che vuole vendere giornali. Così<br />

dopo aver scoperto che in Inghilterra fanno un mensile maschile ad alta tiratura che si chiama For<br />

him magazine decide di imitarlo con un clone più trash che chiama For men magazine. Pochi anni<br />

dopo passa al settimanale con DiPiù, testata di gossip diretta a un target particolarmente basso,<br />

proposta in edicola a un euro. Un successo, così come il televisivo che vede la luce pochi mesi<br />

dopo, DiPiùTv. Culla anche il sogno di un un quotidiano popolare, un tabloid tipo il Sun inglese.<br />

La passione per la carta stampata non gli fa scordare il primo amore, quello televisivo: litiga con<br />

Sky (che quando si compra Telepiù rescinde il contratto per la raccolta pubblicitaria) ma si<br />

consola con La7 di Tronchetti Provera, che gli affida la vendita dei suoi spot. Gli affari vanno<br />

bene e negli uffici di corso Magenta si stappa frizzantino a ogni budget raggiunto. Cairo si fa<br />

fotografare per il sito aziendale in posa da James Bond, con un trapano in mano al posto della<br />

pistola: una misteriosa metafora edilizia o forse un inconscio omaggio al passato palazzinaro del<br />

suo mito/mentore Berlusconi, chissà. E quando il gruppo arriva a fatturare quasi 200 milioni di<br />

euro l’anno, Cairo pensa che sia giunto il momento buono per imitare Silvio anche nello sfizio<br />

ludico-mediatico di farsi una squadra di calcio. S’interessa al Genoa e al Bologna, ma ci sono da<br />

tirare fuori troppi soldi. Si avvicina allora all’Alessandria, squadra della sua città natale con un<br />

lontano passato in A (ci giocava anche Rivera) ma un grigio presente nelle serie minori che dopo<br />

un po’ lo convince a lasciar perdere.<br />

Finalmente, dopo un estenuante tiramolla, quest’anno riesce a prendersi il Torino e subito giura di<br />

averlo fatto non per ottenere visibilità televisiva, ma per un’autentica passione granata sorta in<br />

cuore quando sua madre gli raccontava della tragedia di Superga. La parte dell’eroe buono<br />

contrapposto al cattivo Luca Giovannone - l’importatore di infermiere ciociaro che alla fine gli ha<br />

ceduto le sue azioni - lo galvanizza. L’ovazione della folla plaudente in piazza Palazzo di Città, a<br />

Torino, lo commuove. E lui benedice tutti dal balcone del municipio, stando attento a non<br />

spiegazzare la cravatta. “Sono sempre un ragazzo pieno di sogni”, dice di sé. In fondo è più<br />

giovane di Silvio B. quando si prese il Milan. E davanti vede stagliarsi prospettive radiose, come<br />

una partecipazione a Controcampo e mille ospitate da Biscardi.<br />

31<br />

Gianluca Di Feo e Alessandro Gilioli<br />

Domenica... maledetta domenica. Il Toro viene sconfitto 2-4 dal Milan, grazie anche al<br />

solito stomachevole arbitraggio vug. Ancora una volta, il maestro venuto dalle stelle ha<br />

superato l’allievo terrestre. Berluscone se lo mangia a colazione, il Berluschino venuto da<br />

Masio.<br />

Ma io ho smesso di arrabbiarmi per il Toro. È finita. Voialtri continuate pure a farvi il<br />

sangue amaro perché vi rompono il giocattolo, invecchiando stagione dopo stagione nella<br />

vana speranza che questo biscazziere allestisca finalmente una squadra degna di tal nome.<br />

Io vivo solo più per la mia splendida donna americana e quei tre adorabili bassotti che mi<br />

stanno aspettando dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. See you soon guys!


Figura 11. Minister Angelino Alfano...<br />

32


Figura 12. ...and Scilipoti.<br />

33


CHRISTMAS SURVIVOR<br />

Olé, sopravvissuto anche stavolta.<br />

Sopravvissuto all’ennesima bufala apocalittica orchestrata dai vug, la “profezia Maya” -<br />

ossia alle sue misinterpretazioni mediatiche, alle battute e i collage dementi su Facebook,<br />

ai sorrisi-che-rulleresti-di-cartoni di Daniele Bossari. Sopravvissuto alle dichiarazioni con<br />

linguetta flap flap di Urbano Cairo, “flap siamo pvonti a coglieve eventuali occasioni sul<br />

mevcato di gennaio flap flap flap puvché flap flap rappvesentino un innegabile valove<br />

aggiunto flap flap pev il Tovo, visto che siamo flap flap già messi bene così flap flap”,<br />

ossia tifosi granata fatevene una ragione, anche questa volta andremo a ramazzare scarti e<br />

cefole bollite dalle tribune e dai privé delle disco perché quello coi soldi ci si compra la<br />

bonza. Sopravvissuto al Natale Mediasettiano col Pornonano Plasticoso a rimbalzare da<br />

un telegiornale all’altro tallonato da uno stuolo di lingue vibranti armate di laptop e i culi<br />

fasciati di jeans delle siciliane sulle spiagge di Palermo e i cumenda e le sciure sulle nevi<br />

di Cortina D’Ampezzo, “figa ma si scia veramente da galli di dio oggi”, e le comparse<br />

prezzolate sui marciapiedi a descrivere i loro regali e il cenone nelle sedicenti vie dello<br />

shopping, e i commenti in looping “per colpa della crisi gli italiani spenderanno molto di<br />

meno per viaggiare ma sicuramente di più per il classico pranzo del 25/12”. (Io nei beati<br />

anni novanta quasi ogni Natale me ne scappavo nei Paesi Baschi a contemplare l’oceano<br />

con una bottiglia di vino della Rioja in mano e una Chesterfield nell’altra; ricordo una<br />

tipa, tal Marieli dai begli occhi viola ma decisamente baffuta, che era solita bloccarmi per<br />

le strade di Santutxu: “Perché vieni qua tutto solo a Natale? Hombre, Il Natale si passa<br />

con la famiglia.” Io replicavo sempre con un’alzata di spalle pensando tuttavia: “Ma fatti<br />

gli affari tuoi e comprati un container di rasoi! Nemmeno venissi a casa tua a mendicare<br />

panettone.” Tuttavia qualche volta finivo per accollarmi a qualche pantagruelico cenone<br />

d’immigrati andalusi veraci, gente che dopo decenni vissuti in Euskadi non spiccica una<br />

parola d’euskera e parla ancora troncando le parole alla fine: Pue’ mira al italiano como<br />

le gutan la angula - avanotti di anguilla, per la cronaca. Cari come il peccato originale.<br />

Sopravvissuto al responso della bilancia digitale dopo un invero frugale pranzo di Natale<br />

a base di mazancolle: un chilo e sette etti in più - per un pranzo frugale, torno a ripetere,<br />

porco metabolismo; ma mi va ancora di lusso, qua c’é chi il 2 gennaio siederà in auto a<br />

fatica rimanendo poi incastrato/a tra il volante e lo schienale del sedile, mentre soltanto in<br />

Somalia 3,7 milioni di persone soffrono la fame. Sopravvissuto alla benedizione Urbi et<br />

orbi del Papa - ma chi se n’é mai fregato del pontefice alla fine!!!! -, all’inflazione di<br />

buonismo vintage in replica a reti unificate, ai dirimpettai di pianerottolo e il loro rave<br />

party iniziato alle 13 e finito alle 23, magari per prossimo 25 dicembre cambiate sede al<br />

pranzo di Natale, magari dico eh, ché sempre da voialtri si deve fare? Ma i vostri amici e<br />

parenti ce l’hanno una casa, o no?<br />

Sopravvissuto perfino all’ennesimo agguato tesomi da polizia e vigili urbani! Mia madre<br />

mi aveva ammonito: “Guarda che al telegiornale hanno appena detto che vi saranno posti<br />

di blocco lungo tutta la rete autostradale italiana.” Ogni 26 dicembre e 25 aprile et cetera<br />

é sempre la stessa dannata storia: l’occasione per lo Stato vug di fare cassa approfittando<br />

dei picchi di traffico coerenti a codeste festività. In tal senso il posto di blocco al casello<br />

di Villanova D’Asti é ormai tradizione consolidata. Io, per me, sono in regola con tutto e<br />

per tutto; inoltre, per usare un eufemismo, non sono innamorato delle forze dell’ordine.<br />

34


Mi sta sul cazzo che mi fermino. Correte dietro a quelli che guidano ai 250 piuttosto, se<br />

avete le palle. No, non le avete.<br />

Ieri mattina, 26/12 per l’appunto, diretto a Vignale Monferrato per il banchetto di Santo<br />

Stefano con la mia famiglia acquisita, arrivo alla barriera di Villanova e come previsto<br />

me li trovo là in agguato. Dall’area di sosta uno degli alieni mi punta i suoi raggi scanner<br />

addosso, cosicché mi tocca improvvisare: oltrepasso il distributore automatico di biglietti<br />

per il pedaggio fermandomi a pochi centimetri dalla sbarra e retrocedo piano piano fino<br />

alla fessura, tenendo sempre d’occhio il pulotto vug, che non la smette di puntarmi, ’sto<br />

bastardone stellare.<br />

Per botta di chiappe il biglietto non é uscito, quindi pigio il pulsante dell’assistenza.<br />

“Che c’é?”<br />

“Mi scusi tanto neh, ma quaggiù non mi é uscito il tagliando!”<br />

Nel tempo che lo scazzatissimo operatore, che la Coscienza Cosmica lo benedica, me lo<br />

fornisce, un’altra utilitaria finisce nelle grinfie dello sbirro vug con la paletta positronica,<br />

così io posso finalmente oltrepassare la barriera e fargli marameo dal posto di guida.<br />

Buon Natale. A ’sta virilità tumescente.<br />

È attesa da una bruttissima sorpresa Belén Rodriguez quando dall’estero, dove si trova, tornerà a<br />

Milano. La notte tra domenica e lunedì, infatti, l’abitazione della showgirl è stata visitata dai ladri<br />

che hanno messo a soqquadro il suo appartamento in corso di Porta Tenaglia, nel pieno centro di<br />

Milano. È stato il custode, ieri mattina, a vedere una finestra forzata e a fare intervenire gli agenti<br />

della volante. Il bottino non è ancora stato quantificato dal momento che si aspetta il ritorno della<br />

Rodriguez dall’estero. La modella sudamericana aveva scritto sulla sua bacheca Facebook che<br />

sarebbe partita insieme con il fidanzato per le vacanze di Natale in Argentina. La notizia non è<br />

stata accolta soltanto dai suoi ammiratori ma anche dai malfattori che hanno pensato di operare<br />

tranquillamente nell’abitazione vuota.<br />

Fonte: RAI Giornaleradio.<br />

Ma poverina! (Ma anche tonta, direi.)<br />

35


Figura 13. Mazancolle.<br />

36


PANINARINBLACK<br />

Gran Torino il primo dell’anno alle 9: un deserto di cemento e asfalto cosparso di residui<br />

pirotecnici - ma meno Beirut degli altri anni, l’effetto IMU si é fatto sentire finanche sul<br />

budget bombotroni. Non c’é una macchina in giro, dico una. Una figata per misantropi.<br />

Io ho brindato con QIJane via Skype. “Happy new year bubs!” Qualche minuto più tardi<br />

sul palco di RAI 1, il network nazional-popol Vug per antonomasia, é comparso Paul<br />

Mazzolini in arte Gazebo (nato nel 1960 a Beirut, guarda caso), un “cantante” affermatosi<br />

nei fatidici anni ottanta nel cosiddetto filone della italo disco, quel ciarpame radioattivo<br />

che io subivo passivamente ogniqualvolta il mio carissimo amico Andrea, che tuttavia mi<br />

aveva iniziato ai Ramones, mi trascinava in fetenti balere di provincia piemontese quali la<br />

Cometa di Piobesi, il Fantasy di Scarnafigi e lo Sporting di Santhià, biennio 1983-84.<br />

Cosa non si fa per un tocco di figa fresca. Ma io ero emotivamente autistico, certe truzze<br />

me la servivano letteralmente su un piatto d’argento e io niente, nada, nihil, come direbbe<br />

il Mago Gabriel, “compresso di non poter parlare o viceversa di poter dare amore”. Beh,<br />

di non volermi far succhiare il ding dong da quelle tamarre semianalfabete, diciamocela<br />

franca. Mi facevano senso, ecco. C’era voluto Iggy Pop, nonché un numero imprecisato<br />

di cannoni al libano rosso, per darmi una scossa.<br />

Comunque Gazebo (ha ha ha) era là a fingere di cantare - esattamente come trent’anni fa,<br />

come sempre - tirandosela nemmeno fosse Scott Walker davanti a una platea di provole<br />

ondeggianti tirate a lucido, hyper-quarantenni col vestito buono che vivono di repliche di<br />

Top Gun sognando ancora di scoparsi Karina Huff o Massivo Ciavarro al chiaro di luna (<br />

“Du iu laic Shopen diar?”) e organizzano rimpatriate per panozzi nostalgici su Facebook<br />

o ivi creano pagine su Tracy Spencer, Fantastico, Superclassifica Show, Il Gioco delle<br />

Coppie, il Moncler e le Timberland, Pierre Cosso, Dallas, la toppa di Snoopy, Sharon<br />

Gusberti, Gigi Sabani e Fiorella Pierobon. Andrebbero tutti gassati col sarin ma stasera<br />

sono eccezionalmente buono, mi finisco la bottiglia di moscato dolce e vado a spalmarmi<br />

sul letto. Ché domani voglio allenarmi a pelota vasca.<br />

Il mio personale revival anni ottanta da autoradio stamani é The Gospel According to The<br />

Meninblack degli Stranglers. Genesi di questo album: nel 1979, uno dei due manager<br />

degli Stranglers aveva suggerito loro di sciogliersi poiché sentiva che la band si fosse<br />

smarrita artisticamente; per tutta risposta, gli Stranglers licenziarono ambedue i figuri nel<br />

mentre che Hugh Cornwell e J.J. Burnel registravano i loro rispettivi esordi da solisti e il<br />

gruppo al completo il proprio quarto album, The Raven; una sera, Cornwell Burnel Black<br />

e Greenfield si sballarono di qualcosa talmente speciale che rimosse loro il virtuale bacon<br />

dagli occhi: la Terra era dominata da una razza aliena. (Beh, io mi ci sono svegliato da<br />

una sbronza erculea con ’sta merda. Pensateci, amici di Guildford.)<br />

Sfumato l’effetto della droga e il comprensibile susseguente sbigottimento, gli Stranglers<br />

colsero l’aspetto creativo della cosa decidendo di scriverci su un pezzo, tanto per iniziare;<br />

scartati titoli come Orange Skyes (c’era già un brano psichedelico dei Love di Arthur Lee<br />

con quel titolo) e They’re Here (troppo banale, ma una dozzina d’anni più tardi gli EMF<br />

l’avrebbero riciclato per una loro canzone dai toni apocalittico-intimisti) la band optò per<br />

Meninblack, Uomini in Nero.<br />

Hugh Cornwell: “L’alieno potrebbe parlare con la voce accelerata, come se respirasse<br />

elio.”<br />

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J.J. Burnel (sbuffando fumo d’hashish): “Il mio basso deve suonare come una pulsazione<br />

elettronica.”<br />

Hugh Corwell (annuendo): “Io interverrei occasionalmente con la chitarra sfrangiata,<br />

creando un clima irreale.”<br />

Dave Greenfield: “I sintetizzatori devono suonare gelidi, inumani.”<br />

Jet Black: “...E la mia batteria, come una marcia di schiavi in catene.”<br />

Il risultato fu uno dei pezzi di musica più inquietanti del ventesimo secolo. E che liriche...<br />

We’re not here to destroy<br />

We are here to employ<br />

We have come to make you function<br />

So we can eat at our functions<br />

We are the meninblack<br />

We are the meninblack<br />

We are the meninblack<br />

Information can destroy<br />

So we’ll treat you just like toys<br />

Healthy livestock so we can eat<br />

Human flesh is porky meat hee hee heeeeeeeeeeeeeee ...<br />

We are the meninblack<br />

We are the meninblack<br />

We are the meninblack<br />

We don’t approve of artificial food<br />

We grow you for our own good<br />

First we gave you the wheel<br />

Then we made you live to kill<br />

So the best stock will survive<br />

We eat you all alive<br />

Noi non siamo qui per distruggere, siamo qui per impiegare.<br />

Siamo venuti per farvi funzionare, così possiamo nutrire le nostre funzioni. Noi siamo gli<br />

Uomini in Nero...<br />

L’informazione può distruggere. Dunque vi tratteremo proprio come dei giocattoli.<br />

Animali in buona salute, così possiamo mangiare. La carne umana é carne di porco hee<br />

hee heeeeeeeeeeeeeee...<br />

Noi siamo gli Uomini in Nero. Non approviamo il cibo artificiale, vi facciamo crescere<br />

per il nostro bene.<br />

Prima vi abbiamo dato la ruota, poi vi abbiamo fatto vivere per uccidere.<br />

Così la miglior stirpe si perpetuerà... Vi mangiamo tutti vivi!<br />

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The Raven fu un vero trionfo di pubblico e di critica, raggiungendo il quarto posto nelle<br />

classifiche di vendita inglesi. Gli Strangolatori ne ricavarono sterline a palate e completa<br />

libertà d’azione che sfruttarono rielaborando i concetti espressi in quel brano terrificante<br />

nel loro album successivo, The Gospel According to The Meninblack. Il quale io ora mi<br />

sto gustando, felicemente consapevole di non essere il solo su questo pianeta a conoscere<br />

La Verità, mentre voi ancora smaltite i bagordi di Capodanno sognando il vostro passato<br />

di piuma d’oca e milkshake che non tornerà mai più.<br />

Due macchie solari mi stanno fissando<br />

Una alla mia sinistra e l’altra alla mia destra<br />

Non ho mai visto un calore così straordinario<br />

Proprio due macchie solari, sono così spaventato...<br />

Figura 14. The Stranglers, 1977.<br />

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BACK IN THE USA!<br />

Oh yeah motherfuckers! Stavolta é andata oki, pur tuttavia non esente da brividi. Percorso<br />

mezzo miglio di C.so Siracusa in taxi nel più sconfortante deserto urbano notturno - ma a<br />

lavorare di mattina presto non va più nessuno in questa città in decadenza economica? -<br />

m’accorgo in un flash che ho dimenticato a casa il cavo d’alimentazione del laptop. Ma<br />

puttana eva. Così mormoro al tassista, un bravo figliolo allampanato con gli occhiali alla<br />

Elvis Costello, di fare inversione a U e riportarmi indietro alla maison. Pensare che ero<br />

andato recitando come un mantra per tutta la sera prima “mi raccomando <strong>Maurizio</strong> non<br />

scordarti l’adattatore”... Servito un sacco, neh?<br />

Sull’aereo non avrebbe potuto andarmi meglio, posto fila centrale sul corridoio e per di<br />

più solo soletto, quindi ho potuto spalmare la mia presenza e ascoltare rockaccio a tutto<br />

volume con l’iPod sbirciando The Words on mute - fissatissimo che la co-protagonista<br />

fosse Thandie Newton mentre in realtà é Zoe Saldana. Bonissima, a ogni buon conto<br />

Di contaminare la mia dieta niente zucchero nel tè-una mela a pranzo-pelota tutti i giorni<br />

con la merda di United Airlines nianca a parlene, solo acqua e Sprite per me. “Minkia ma<br />

quanto mi sei diventato salutista” commenta Carmelo. Sarà così, ma non voglio passare<br />

da un estremo all’altro, ossia dallo scheletrino iggypoppiano che ero tra gli anni 80 e 90 a<br />

una specie di Gerard Depardieu sabaudo. Ho eletto a mio modello atletico e morale Pablo<br />

Zabaleta, l’esterno basco-argentino del Manchester City: 1.76 per 76 kg di dirompente<br />

professionalità. Posto che sarà difficile scendere ancora di peso - quando ho iniziato la<br />

dieta, un mese e mezzo fa, ero 87 kg: ora sono 81. Non male. Ora vediamo se riesco a<br />

non rovinare tutto coi pretzel al burro d’arachidi.<br />

Quand’ero decisamente più giovane e magro, solevo andare in trasferta a vedere il Toro<br />

con un gruppo ultrà-folcloristico chiamato Desperados. Il loro canto più ameno iniziava<br />

così: “Nel New Jersey, siam tutti persi, nel New Jersey.” Venticinque e fischia anni dopo,<br />

eccomi a Newark, New Jersey, totalmente lucido ma anchilosato per la volata, nonché un<br />

pelo radioattivo. Michio Kaku nel suo libro Fisica del futuro scrive che in una trasvolata<br />

atlantica si assorbe una quantità di radiazioni pari a una radiografia dentale panoramica;<br />

io sono alla quinta più diverse scansioni positroniche total body: al primo bagno a Siesta<br />

Key Beach mi si vedrà circondato di un alone azzurro cherenkov...<br />

L’ufficiale della dogana stavolta era pallido e occhialuto, probabilmente italo-americano.<br />

Gli ho passato il passaporto con il modello I-94 a mo’ di segnalibro, come a dire: “Ho il<br />

visto B2 a questo giro, quindi spicciati a prenderne atto e mettimi quel dannato timbro.”<br />

È esattamente ciò che ha fatto. Poco dopo, sulla scalinata che portava fin giù al recupero<br />

bagagli, mi sono messo a ballare cantando: I’M ADMITTED, ADMITTED, ADMITTED<br />

FOR SIX FUCKING MONTHS!<br />

Poi però al baggage claim mi sono accorto che avevo lasciato la dannata carta d’imbarco<br />

Newark-Tampa sulla scrivania del poliziotto. Un addetto al tapis roulant pakistano mi ha<br />

detto come e dove riottenerla - tornare indietro non si poteva - sicché messa la valigia sul<br />

nastro per Tampa sono andato dai tipi della United Airlines e mi sono fatto ristampare il<br />

prezioso documento, lasciando la busta trasparente con tutte le mie scartoffie sul loro<br />

banco. “Ma porcaccia la miseria lurida, che cazzo mi succede oggi? Ho mangiato troppo<br />

cotechino? Intossicazione cerebrale da etano? I vug stanno sperimentando su di me una<br />

nuova arma nanotecnologica che provoca sbadataggine provolonica? Oppure é Alzheimer<br />

precoce?”<br />

40


Va’ tu a sapere. Ma non era mica finita lì. Sulla nuova carta d’imbarco c’era scritto gate<br />

C98, ma una volta giuntovi ho scoperto che il volo delle 17.30 per Tampa sarebbe partito<br />

dal C131, proprio sul lato opposto del fottuto terminal. Ecchecazzo. Alle 16.45, in odore<br />

d’imbarco, un’addetta tracagnotta dal lamentoso accento centroamericano ha annunciato<br />

che a causa del maltempo - aveva appena iniziato a nevicare su tutto il nord-est degli Stati<br />

Uniti - la partenza sarebbe stata rinviata di almeno un’ora. Così é stato, vacca troia.<br />

Sono finalmente arrivato a Tampa alle 21.30, esausto ma strafelice. E adesso scusate se<br />

vado a fare l’amore con QIJane per la ventesima volta in tre giorni. See u soon guys.<br />

Ragazzi basta con questa storia della tinta!!!!!!!!!!!! È normale che ho usato un prodotto senza<br />

ammoniaca. Mica voglio fare male al mio bimbo. Non capisco perché alcune persone devono<br />

travisare tutti i messaggi e cercare del marcio in ogni cosa. Vi fa sentire meglio? Spero che prima<br />

o poi questa voglia di criticare tutti a prescindere finisca, brutte abitudini poco costruttive che ci<br />

dividono e basta, lo so che sarebbe meno piccante, pero sarebbe bello cercare di vedere il mondo<br />

con filtri puliti e meno inquinati, in generale, per tutto.<br />

Belén<br />

Comunque sia non le scrivi di tuo pugno, ’ste cose. Hai sicuramente un ghost blogger.<br />

Neanche un Flaubert, peraltro.<br />

Figura 15. Mauri Santana!<br />

41


IL FRATELLO CHIAVICA DI GRAHAM PARKER<br />

Da ragazzino avevo un casino di bizzarri preconcetti visuali sulle rock star. Per esempio,<br />

David Bowie e Alice Cooper m’incutevano paura, Lou Reed mi sembrava un marchettaro<br />

e Graham Parker un impiegato di banca. Inutile dire che col tempo sono divenuto un fan<br />

sfegatato di tutti questi signori sopraccitati. Con Mr Graham Parker ci ho messo un po’<br />

più che per gli altri, ma alla fine é sbocciato un grande amore. I suoi primi quattro album<br />

sono tutti eccellenti, ma Squeezing Out Sparks spacca davvero di brutto, é uno di quei<br />

dischi che devo ascoltare almeno duecento volte l’anno.<br />

Sabato scorso all’ora dell’aperitivo, io QIJane e Raisin Rita siamo andati a Downtown<br />

Sarasota per fare una passeggiata e bere qualcosa. Neanche il fottuto metano può sottrarre<br />

bellezza a un tramonto sul Golfo del Messico: anzi, l’unico aspetto per così dire positivo<br />

della titanoformazione della Terra é che i suoi crepuscoli sono semplicemente struggenti<br />

ovunque, sulla Florida meridionale in particolar modo. I love dusk anywhere.<br />

Scattate alcune foto lungo Bayfront Drive, siamo finiti in un bar-ristorante sulla Main<br />

Street il cui nome é Cantina Tequila: banalotto anziché no, ma a chi diamine importa, alla<br />

fine. Avevamo sete.<br />

Ci sediamo al balcone e ordiniamo le due Miller Lite di default. Raisin dormicchia nella<br />

borsa di QIJane. Veniamo accontentati con sollecitudine, sicché facciamo per alzare il<br />

nostro primo brindisi della serata, ma il bartender, un bimbominkia tex-mex con la tesa<br />

del cappellino incurvata, ci stoppa: “Do you wanna pay now or tag?” Tag significa che il<br />

barista trattiene la tua carta di credito caricandovi progressivamente tutte le consumazioni<br />

finché non decidi che é ora di pagare e cambiare bar; la cosa ha un senso qualora il locale<br />

sia affollato, per evitare italianate del tipo sbevazzo a volontà e poi scappo, ma qui siamo<br />

quattro gatti spelacchiati.<br />

Il ragazzino reitera: “Pay now or tag?”<br />

QIJane sorride. “Questo posto é semivuoto. Facci bere un paio di giri e poi ti paghiamo.”<br />

“Non posso, signora. Tra cinque minuti smonto e devo passare le consegne.”<br />

“Non essere ridicolo. Guarda che mica scappiamo via! Vado in giro per locali e negozi di<br />

questo buco da anni, mi conoscono tutti. Taggare la mia carta quando nel locale siamo in<br />

cinque contati é assurdo. Quindi no, non te la diamo. (Io esprimo un muto assenso.) Se<br />

non ti va, portami il tuo manager che ne parliamo con lui, ok?”<br />

La mia ragazza mena! Il bimbo tex-mix accusa il colpo e, senza proferire ulteriori parole,<br />

si sgancia per servire altri clienti; poco dopo, in effetti, viene rimpiazzato da una biondina<br />

dal viso topesco al termine di un brevissimo conciliabolo, obviously su di noi e la nostra<br />

condotta non in linea con la policy del bar.<br />

Quando le nostre bottiglie sono quasi vuote, un tizio che sembra davvero la controfigura<br />

redneck di Graham Parker - Ray Ban, camicia hawaiana, la stessa pettinatura che Graham<br />

aveva nel video di Local Girls - sale sulla pedana innalzata dietro il bancone, imbraccia<br />

una Fender qualchecosa e attacca a suonare una teoria di pezzi rock su basi preregistrate:<br />

Black Magic Woman, Hotel California, le solite menate da Virgin Radio. Come cantante<br />

ancora se la cavicchia, ma come chitarrista fa proprio scoreggiare, infila certe stecche da<br />

chiavica negli assoli da ridergli in faccia, la qual cosa effettivamente trattengo a stento<br />

ogniqualvolta incrocio il suo sguardo.<br />

Che diavolo ti é successo, Ersatzy Parker? Nel 1978 eri in tour negli US con la band di<br />

tuo fratello e i Thin Lizzy (wow, tantissima roba!) come roadie ma in realtà aspirante al<br />

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uolo di axe-man e hai litigato proprio perché Graham non ne voleva sapere di farti salire<br />

sul palco per la schiappa che eri, e che sei ancora adesso? “Fuck you brother, tornatevene<br />

pure in Inghilterra, io resto qui, diventerò un porcaccio di dio della chitarra, io!” Ubriaco<br />

fradicio in un pub irlandese di Ybor City, Tampa. Senza talento. Fottutamente solo.<br />

Ora, trentacinque anni dopo, te ne stai lassù a massacrare canzoni per il ludibrio di una<br />

quadriglia di ricchi ebrei del Connecticut e una coppia di intrepidi amanti internazionali<br />

scocciati dall’attitudine poco amichevole del locale. Contento te...<br />

...Non lo nego: anni fa, durante il mio periodo afro, ero un grande fan di Carlos Santana -<br />

anche se non l’ho mai ritenuto un genio dello strumento, come Robert Fripp, Jeff Beck o<br />

il Frank Zappa xenocronico di Joe’s Garage, tanto per fare dei nomi. Mettevo sul piatto<br />

senza requie il suo primo album omonimo, e ancora Abraxas, Marathon e Caravanserai:<br />

soprattutto quest’ultimo, con le sue ondate di pura beatitudine elettrica. Eppure un giorno,<br />

di punto in bianco, ho ficcato tutti i suoi dischi in una borsa di plastica e li ho buttati in un<br />

cassonetto. Cose tipiche della mia adolescenza; ogni tre-quattro anni facevo tabula rasa<br />

musicale e ripartivo pressoché da zero. Ora vivo l’Era del Pentimento.rar; Caravanserai<br />

é, giustamente, uno dei miei ravvedimenti in formato mp3. Lo suono con gioia ogni volta<br />

che il Toro vince e/o il mio giocatore prediletto, Mario Santana per l’appunto vedi figura<br />

15!, imbrocca una partita geniale delle sue. Sos un crack, Mario!<br />

Tempo di ordinare un secondo round: stavolta voglio un bel margarita.<br />

Chiamiamo the girl with the mousy face, ma costei ci recita tale quale la pantomima del<br />

collega bimbominkia, la carta di credito e via discorrendo.<br />

A quel punto QIJane si spazientisce: “Vorrei parlare col tuo manager, di grazia.”<br />

Il manager, in realtà il padrone del locale, é un vug con una classica faccia alla Briatore;<br />

anche lui parte in quarta con la policy della Cantina Tequila, bastaaa!, abbiamo capitooo,<br />

facci solo servire i nostri drink e poi tornatene al tuo accidenti di cesso policromo a farti<br />

l’ennesima riga di super-dust romulana. E che ti bruci un milione di hyper-sinapsi. Beata<br />

Raisin che continua a riposare ignara nella sua borsa rosa coi manici marroni. I cani sono<br />

creature di un ordine superiore.<br />

La topolina irlandese ci serve un’altra cerveza e il margarita, peraltro azzimo... “Sorry, ci<br />

vorrei anche il sale su” esalo, rassegnato. Il messaggio é: “Vi servo da schifo affinché ve<br />

ne andiate fuori dalle balle al più presto.” Oh non vi preoccupate, lo faremo, brutte teste<br />

di mentula inospitali. E scordatevi pure le nostre facce.<br />

QIJane scuote la testa folta di splendidi capelli corvini, sorride come solo lei e mi bacia<br />

teneramente sulla bocca, mentre Ersatzy Parker depone l’ascia elettrica, sorride incerto e<br />

borbotta nel microfono: “Sapete, é la mia prima serata qui.”<br />

Sabato sera é morto<br />

Non importa ciò che dicano, domenica andrò al funerale.<br />

SATURDAY NIGHT IS DEAD!<br />

43


Figura 16. Complexus Mauri!<br />

44


Figura 17. Raisin in the bag at Cantina Tequila.<br />

45


Figura 18. Passion is no ordinary word... Graham Parker.<br />

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CROSSROADS TRAFFIC<br />

Fottutamente intrappolato in bicicletta sul marciapiede all’incrocio tra Tamiami Trail e<br />

Bahia Vista giacché ho osato spingermi fin da Walgreens per comprare quattro minchiate<br />

quattro.<br />

Ridicolmente arenato perché a quest’incrocio della malora il semaforo per i pedoni scatta<br />

una volta ogni morte di papa - che si sia appena dimesso non conta una minchiazza - e il<br />

pulsante per la richiesta del medesimo é stato spensieratamente rimosso, come a ribadire:<br />

“Lungo Tamiami Trail conta solo il traffico motorizzato, tutto il resto é irrilevante, that’s<br />

America bellezza, nasci cresci produci consuma e muori.” E tutto ciò in macchina.<br />

Decadentemente piantato ascoltando Sally Can’t Dance di Lou Reed, album che parecchi<br />

critici e lo stesso Lou detestano ma che io amo alla pazzia: Kill Your Sons in particolare é<br />

una delle migliori canzoni che quel bastardo scostante abbia mai scritto, non per niente la<br />

rivaluterà dal vivo negli anni ottanta col compianto Robert Quine alla chitarra, ennesimo<br />

genio atonale della musica rock bruciato dall’eroina.<br />

Indubbiamente innervosito perché l’incrocio più vicino, una cinquantina di metri alla mia<br />

sinistra, é presidiato da una squadra di provoloni in gilet giallo fosforescente, forse stanno<br />

compiendo dei semplici rilevamenti, però non ho alcuna voglia di pedalare fin laggiù per<br />

poi magari farmi rimbalzare. Dirigermi a destra, no, non ci penso neanche, se quello che<br />

intravedo é un semaforo mi ci vorrebbe un cristallo di dilitio per raggiungerlo prima che<br />

faccia buio - benché siano sono le dieci del mattino. Sarasota, in effetti, sembra la mappa<br />

di Sarasota: tutto qui é piatto, rettilineo, distante.<br />

Non c’é scappatoia, nessuna pietà per Ulzana: sono piantato al di qua del guado come un<br />

povero coglione d’oltremare.<br />

Assolutamente scoglionato poiché nemmeno da Walgreens ho trovato quel che cerco da<br />

giorni, ossia uno skin tag remover - per Carmelo e i ragazzi del bar sport, prodotto per<br />

rimuovere i fibromi cutanei, “E che cazzo sono i fibromi?”, traggo un profondo respiro, é<br />

quella roba marrone che hai sul petto e che cinque volte su sette ti rimane impigliata nella<br />

cerniera della giacca della tuta della Giuve quando la tiri su, visto che da bravo tamarro ti<br />

ostini a indossare il suddetto indumento senza niente sotto. Io ho un paio di fibromi sul<br />

collo che bramo di togliermi da una vita, all’ospedale dermatologico te li bruciano in un<br />

attimo ma col cazzo di tua sorella bottana che ci andrò, hai visto mai che un dermatologo<br />

vug s’accorga in qualche modo - quasi certamente tramite il suo congelatore di verruche<br />

laser multitasking - che io li posso vedere.<br />

Sconfortantemente deliziato da NY Stars, se il 1974 fosse ora magari Lou la dedicherebbe<br />

ai protagonisti dei reality show americani - tipo quella sciroccata di Kim Richards, star di<br />

The Real Housewife of Beverly Hills, che indice un party sfarzoso nella propria villa per il<br />

“debutto in società” del suo nuovo naso corretto al bisturi per la diciottesima volta, credo.<br />

Colate di puro sarcasmo all’anfe per Kim e la faccia di JWoww Farley la mattina presto<br />

appena alzata, controbilanciate da carezze di genuina compassione per Carmella, la coatta<br />

di My strange addiction che si é fatta riempire il culo di silicone rischiando un’embolia<br />

letale a ogni iniezione praticatale clandestinamente soltanto perché avere il booty sodo e<br />

sporgente tra gli afroamericani é considerato up e lei é nata con un sedere assolutamente<br />

normale.<br />

Atlanta Booty Stars!<br />

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Finalmente, dopo quasi venti minuti d’avverbi alla bile, il semaforo mi dà via libera. Ma<br />

giunto a metà dell’attraversamento mi trovo la strada sbarrata da una Dodge nera coi vetri<br />

affumicati. Robe che succedono solo in Italia, uno direbbe. E invece nope. Tutto il mondo<br />

assoggettato del cacchio é paese. Di fare retromarcia, what is the retro, se magna?<br />

“Thanks a lot, motherfucker” sibilo rivolto a chiunque sia al volante della fottuta vettura,<br />

aggirandola. Lui/lei manco mi caga. Fottuto/a Eloi.<br />

Più avanti, pedalando giù per Shade Avenue, colgo con la coda dell’occhio un gruppo di<br />

ragazzine giocare a calcio sul campo del liceo Maple Shade. Mentre Louis strafattissimo<br />

coi capelli corti tinti di biondo ringhia nelle mie orecchie:<br />

“Non lo sai? Uccideranno i tuoi figli fino a quando non scapperanno.”<br />

Allora...<br />

KILL YOUR FUCKING TELEVISION!<br />

Ancor più avanti, a Turtle Beach, io e la mia donna ci becchiamo una kermesse di scie<br />

chimiche vug.<br />

Ci uccideranno lentamente finché non ci ribelleremo. Globalmente.<br />

Figura 19. Scie chimiche vug a Turtle Beach.<br />

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DEVOTO A HOWARD DEVOTO<br />

È davvero tutto un programma ascoltare il post-punk rock psicosessuale dei Magazine di<br />

Howard Devoto all’ombra di una veranda stile Old Florida infestata di gechi che dà su un<br />

giardino infestato di scoiattoli nevrastenici, con un merle chihuahua che ogni tanto viene<br />

a camminarti sulla tastiera del laptop. E poi passare a Siouxsie and The Banshees, ai Wire<br />

e agli Horrors, tutta roba che c’entra una sega con la Florida, o almeno con lo stereotipo<br />

che si ha di essa. Come per esempio che qui faccia sempre un caldo venusiano; in questo<br />

momento preciso il mio widget meteorologico segna 49 F, ossia 9 (NOVE!) frigidi gradi<br />

Celsius. E Faris Badwan, l’allampanato vocalist anglo-palestinese degli Horrors, inveisce<br />

contro la nuova era glaciale in un tono dannatamente... devoto a Howard, spudoratamente<br />

scopiazzato dal glorioso poeta underground mancuniano oserei dire.<br />

Ti drogherò e scoperò sul permafrost ringiovanito di quarant’anni.<br />

Domanda: “Scusasti, ma che stracazzo é stu permacrost?”<br />

Riposta: “Il permafrost, in italiano permagelo, é un terreno dove il suolo é perennemente<br />

ghiacciato. Convenzionalmente e possibilmente con questo termine si indica a un terreno<br />

ghiacciato da almeno due anni o viceversa settecento e trenta giornate. Lo potessi trovare<br />

in Sibberia, Canada ma giustamente anche sulle Alpi. E su Marte.”<br />

“Ah capito. Ma chi é lo scecco che droga una figa e poi se la chiava sul ghiaccio?”<br />

“Lascia perdere, Mimmo. Ma non dovevi inchiodare al muro il calendario della sorella di<br />

Belén?”<br />

“Già, già. E anche quello di Nicole Minetti. Troppo gnocca quella zoccola, eh?”<br />

“...” Soprassediamo.<br />

Ebbene sì, fa un freddo criminale qua a Sarasota: in compenso, il cielo é arancione come<br />

un tulipano. Non cambierei questo posto con Chicago o Minneapolis - sta nevicando di<br />

brutto sul Midwest ultimamente - neanche Paul Westerberg annunciasse la riformazione<br />

dei Replacements con relativo gig d’apertura del tour domenica prossima a Twin Cities.<br />

E comunque non sarebbe proprio la stessa cosa senza Bob Stinson, che riposi in pace.<br />

Men che mai cambierei questo posto con quel bordello inverecondo in cui si é convertita<br />

l’Italietta all’indomani delle elezioni; commentarne i risultati é sconsolatamente inutile,<br />

come voler dare rilevanza socio-economica a una partita di Trivial Pursuit. Poiché, ripeto,<br />

di ciò si tratta per i vug: un gioco, per l’appunto, con tanto di scommesse. Chiunque abbia<br />

scommesso sul trionfo del vug Beppe Grillo - egli stesso! figuriamoci! - dev’essersi fatto<br />

quintali di crediti galattici. Mentre quei rosiconi del Pd (odio questa parola, é da gobbi di<br />

merda pedissequi ottenebrati, ma rende l’idea) si inviperiscono contro i grillini sui social<br />

network. Poveri, stupidi bovini bipedi.<br />

(“George W. Bush e Bill Clinton? Sono tutt’e due dei segapippe. Quanto a Tony Blair, un<br />

radical chic del menga, lui e chi l’ha votato.” Così parlò Johnny Rotten. Un altro genio<br />

che ha capito da una vita cosa c’é dietro la facciata. The Great Alien Politics Swindle.)<br />

“Your booty is my sextant.” Ho detto questo a QIJane due giorni fa, su questo divano, lei<br />

seduta sulle mie ginocchia con le gambe toniche distese respirandomi sul collo, vestita di<br />

un pratico tailleur pantalone nero, scalza, stracotta di lavoro.<br />

“Il tuo culo é il mio sestante” le ho sussurrato nell’orecchio, palpeggiandole il medesimo.<br />

Music is my radar, your booty is my sextant. Lei ha sorriso e mi ha baciato dolcemente<br />

sulla guancia.<br />

Dall’enciclopedia Treccani:<br />

49


Sestante strumento ottico per la misurazione dell’altezza degli astri sull’orizzonte. Era usato<br />

soprattutto su navi e imbarcazioni nella navigazione astronomica, ovvero per rilievi topografici e<br />

idrografici, come un goniometro in grado di misurare gli angoli tra le visuali di oggetti lontani<br />

visti da uno stesso punto di osservazione. Fu alla fine del sec. 17° che, per opera di marinai e<br />

scienziati inglesi, cominciarono ad apparire strumenti per misurare angoli in mare basandosi sulla<br />

riflessione. Il primo strumento del genere pare essere apparso già nel 1666, ma i primi strumenti a<br />

doppia riflessione, propriamente sestanti, apparvero negli anni Trenta del Settecento. Alla base<br />

delle innovazioni erano studi di Isaac Newton.<br />

Il tuo culo é il mio sestante, QIJane. Le tue natiche color del miele sono lenti di morbida<br />

carne. Carezzandole, afferrandomi a esse, posso misurare l’altezza del nostro amore. Tu<br />

sei cervello, booty e mani forti e nocchiute che massaggiano pelli ebree, hackerandone i<br />

ricchi conti in banca. Un agente segreto russo-americano con un corpo da schianto e un<br />

colbacco pieno di pretzel al burro d’arachidi. Drink QIJane, drink it, bevi la mia crema di<br />

marshmallow. Grazie per il nutrimento, sussurrerai poi, maliziosa, ricevendo un sospiro<br />

post-orgasmico in risposta. I pellicani si tuffano nell’acqua come kamikaze e la tua bocca<br />

sa di uva rossa. Emozioni in movimento lungo il bagnasciuga. Confidenti sovrappeso dei<br />

guardiaspiaggia. Cheddar Cheese e un sorso di fresca Dr. Pepper. Fucking snitches. Ehi,<br />

lassù, facciazze di seppia, bombardateci pure con la vostra merda chimica, tanto ne siamo<br />

immuni perché fornichiamo tutti i santi giorni e mangiamo bagna caoda. Ci amiamo, noi.<br />

Ci rispettiamo. Ci beviamo cinque birre a testa al Oyster Bar e torniamo a casa sbronzi,<br />

dal nostro trittico di costellazioni abbaianti. Raisin, il merle chihuahua a Curvatura Sei.<br />

Jack Anthony. il bassotto con la trisomia. Maybelline, l’altra bassotta junkie di cibo. Cosa<br />

stai cercando di far schiudere dietro al divano, Raisin Devota? Un uovo di geco mutante?<br />

Il vento soffia tra gli alberi e gli scoiattoli guardano il Jerry Springer Show strafacendosi<br />

di ghiande all’oxycodone. Ci stendiamo sul futon, pronti per vedere un film il cui finale<br />

la mia donna puntualmente si perderà.<br />

I love you, QIJane. Il tuo culo é il mio sestante. Il mio cazzo é il tuo timone.<br />

...nondimeno anni fa su a Dayton, Ohio, un tizio di nome Robert Pollard trovò la maniera<br />

d’imbastardire Magazine, Wire and Fall (e gli Who rock-operistici di Sell Out e Tommy, e<br />

i Beatles collagistici di Abbey Road e i Thin Lizzy e e e..) con il wit intellettualoide<br />

birraiolo del Midwest americano.<br />

Sicché gli alberi e i ciuffi d’erba sembrano più vicini adesso. 28 sfumature arancioni di<br />

Guided By Voices.<br />

Interrotte, all’improvviso, da un’interferenza statica proveniente dal 1993...<br />

..................................<br />

...Sangue, Sudore, Lacrime, non importano davvero...<br />

...<br />

...Ehi!<br />

...Porca miseria...<br />

...<br />

...Non ci posso credere...<br />

...It’s fuckin' unbelievable...<br />

...È DI NUOVO TUTTO VERDE! E MARRONE! E GIALLO! ...E AZZURRO!!!<br />

...Sangue, Sudore, Lacrime, non importano davvero...<br />

50


Figura 20. ...solo le cose che fai in questo giardino.<br />

51


OLTRE IL GIARDINO...<br />

...chiuso in una scatola di latta in orbita intorno alla Terra. La quale é azzurra e bianca e<br />

marrone com’é quasi sempre stato. Quand’ero un pischello volevo fare il giornalista, il<br />

fisico nucleare e il calciatore. Ciononostante, eccomi quassù a fare l’astronauta; il sogno<br />

di riserva, ma sempre meglio che il politico, o il vigile urbano, o il recuperatore di crediti.<br />

Per conto di chi?<br />

Dove sei, QIJane? “QIJane?... Jane! Mi senti, Jane?”<br />

Silenzio.<br />

“Jane?”<br />

Nessuna risposta.<br />

Realizzo in un brivido elettrico che non sono un astronauta: anzi, non ho proprio un corpo<br />

umano. Sono fatto d’acciaio, silicio e bronzo. E plutonio.<br />

Sono un satellite; anzi, una sonda. Una fottuta sonda spaziale.<br />

QI Jane?<br />

Qualcosa emerge all’orizzonte curvo.<br />

Aguzzo... beh, scateno i miei sensori verso quell’oggetto. Siamo palesemente destinati a<br />

un rendez-vous. Il sole sta sorgendo dietro a esso, quindi potenzio i miei filtri ottici.<br />

E strabilio.<br />

È un bambino. Gigantesco. Rosa. Cangiante. Inconcepibile. Totalmente derivativo.<br />

In meno di un minuto ci troviamo faccia a faccia, virtualmente.<br />

“Chi sei?” gli trasmetto.<br />

La creatura sorride, circonfusa di sole. Poi dice: “Sono Santiago. Il Bambino-di-Belén.”<br />

Voce infantile, ma stesso accento gorgogliante della madre.<br />

“Che ci fai quassù?” Domanda banale per situazione paradossale. “Non dovresti essere a<br />

riposare tra le braccia della mamma?” Della bonazzas di mammeta tuas della pampasosa,<br />

precisa Carmelo dalla Nebulosa del Granchio.<br />

“Ma ssecondo te, perché Hauche non ha essordito nel Chievo todavia?”<br />

Come? That’s amazing!, aggiungiamo insulto all’ingiuria fantascientifica: io mutato in un<br />

satellite artificiale in orbita insieme al Bambino-di-Belén Rodriguez cui va di parlare di<br />

plusvalenze calcistiche. Bastardi vug, figli di quasar infettata, so che ci siete ancora voi<br />

dietro questa messinscena citazionista! Sangue, sudore, lacrime non importano davvero.<br />

Per forza. Sono artificiali. Surrogati emozionali. Come il mio cuore.<br />

In qualunque modo, gli restituisco l’equivalente elettronico di un’alzata di spalle. “Che io<br />

sappia, el demonio ha ottenuto il transfer due mesi e mezzo fa. Lo seguivo di frequente a<br />

Sportitalia quando giocava nell’Argentinos Juniors...”<br />

Il Bambino-di-Belén : “Io soy del Racing”. Con malcelato orgoglio.<br />

“Vale, anche quando giocava per La Academia. Gran bel giocatorino, tra i miei preferiti<br />

dell’ultima generazione di talenti argentini. Tuttavia, non capisco come mai Mister Corini<br />

non lo abbia ancora fatto debuttare. Come d’altronde no entiendo perché Mr Ventura non<br />

veda Marko Bakic. O piuttosto, capisco, ma non mi adeguo; sono giocatori parcheggiati<br />

per conto di altre squadre per le quali andranno a giocare in seguito, sicché gli allenatori<br />

non li vedono per pura questione di principio, ritenendo scarsa o nulla la loro potenziale<br />

dedizione alla causa. Generalmente costoro poi esplodono in una squadra di prima fascia,<br />

come Asamoah alla Giuve, e tu passerai decenni!!! della tua vita al lavoro o al bar sport a<br />

discutere sul perché mai la tua Società di spilorci puntualmente ogni maledetta stagione si<br />

52


presti a questi stucchevoli ciocchi invece di acquistare gente abile e arruolabile alla causa.<br />

Detto questo, ti pronostico che la stagione prossima il tuo idolo demoniaco farà faville in<br />

qualche squadra della Liga Spagnola. Porta solo pazienza. Hai tutta l’eternità davanti.”<br />

Il Bambino-di-Belén sorride di nuovo. “Muchas gracias per le informazioni, Mauricio.”<br />

Per un attimo si fa assorto. “In cambio, vo-glio darte qualcosa.”<br />

Tendo le mie orecchie virtuali. “Oh. Fantastico. Molto gentile. Che cosa?”<br />

“Un fine che no es la fine.”<br />

“Suona come una canzone degli Strokes. Una volta mi piacevano. Però... non capisco. Mi<br />

manderai a esplorare il sistema del Centauro? Oppure...”<br />

La creatura sorride ancora, con la bocca e quegli immensi occhi celesti.<br />

E l’universo si dissolve in bianco.<br />

Figura 21. ...e poi?<br />

53


Beh, poi... prima... fantastiliardi di tachioni fa...<br />

...8 marzo 2010. Ieri pomeriggio tardi ho comprato la webcam e scaricato Skype. Data la<br />

promessa fattami sei anni fa, ossia mai più chat poiché stufo di cyber-fighe con le quali<br />

comunque non avrei mai finalizzato un fagiolo nero di Tolosa, mi sorprende l’entusiasmo<br />

col quale mi sono buttato in questa storia. Dev’essere che questa QIStellina mi ha proprio<br />

acchiappato l’amigdala.<br />

Se sia un bene o un male, lo scopriremo solo skypeggiando.<br />

Ho conosciuto QIStellina cinque mesi fa, su Facebook. Sostanzialmente a fine 2008 mi<br />

ero creato un profilo su codesto social network per provare a iniettare nuova linfa nel mio<br />

business di Jack-of-all-trades per l’editoria, ormai in caduta libera, ma passato un anno il<br />

bilancio stava a zero clienti procacciatimi, duecentododici amici, svariate cancellazioni e<br />

centinaia di ore del mio tempo buttate nel cesso. Stavo prendendo in seria considerazione<br />

l’ipotesi di cancellarmi da FB. Dopo tutto, Mark Zuckerberg é anch’egli un fottuto vug.<br />

Anch’esso, pardon.<br />

Poi, un pomeriggio d’autunno inoltrato torinese, cielo da antidepressivi e vicini di casa a<br />

piantare cagnara come sempre prima di cena, mi sono ritrovato la richiesta d’amicizia di<br />

questa bella ragazza che scrive in inglese ma sembra sarda - pelle scura, occhi scuri, tutta<br />

scura, denti bianchissimi, thumbnail del profilo un po’ sfuocata. Abbiamo almeno trenta<br />

amici in comune, tra cui un imprenditore della notte di mia conoscenza con cui lei sembra<br />

avere una qualche sorta di legame.<br />

La cosa parte a fuoco molto lento. Volta per volta vengo a scoprire che é americana !!! -<br />

vive a Sarasota, Florida, ma é originaria del Michigan - che l’impresario é il suo ex, che<br />

QI é l’energia vitale secondo antiche concezioni biofisiche cinesi e Stellina un classico<br />

vezzeggiativo torinese, che é una fisioterapista, che adora la cucina italiana il reggae ma<br />

anche Iggy e la Motown, che ha un culetto da schianto (non fa che postare a ripetizione<br />

scatti di se stessa in bikini!) che d’italiano capisce pochino benché due anni or sono abbia<br />

passato un’intera torrida estate a Porto Cervo e la madre fosse d’origini livornesi, che ha<br />

quattro diversi account Facebook e la sua parola preferita é “giggle!”. Google Translator<br />

Giggle.<br />

Naturalmente la nostra crescente confidenza non poteva passare inosservata su Facebook,<br />

il paradiso dei saputelli impiccioni. Gamma dei commenti librante dal cinismo tamarro,<br />

“minchia ma per chiavarti una tipa dovresti volare per cinquemila e passa chilometri!!!??<br />

Comunque é un gran bel pezzo di ranza, sembra una squaw!”, al proverbiale scetticismo<br />

piemontese, “mah, per me, é una picia”, o addirittura, “stacci attento”, quest’ultima frase<br />

pronunciata, sia detto per inciso, da un figuro che é andato mettendo foreste di corna alla<br />

moglie per anni. More solito, si sa che la gente dà buoni consigli quando non può dare<br />

cattivo esempio; ora che hanno pure la piattaforma dove poter sfogare le loro frustrazioni,<br />

chi li ferma più. Ipocriti.<br />

Ma era tutto rumore di fondo per me. Quella persona promanava buone vibrazioni come<br />

nessun’altra. Erano anni che non sentivo un’attrazione così forte verso una donna, seppur<br />

lontana migliaia di miglia con un bastardissimo oceano tra noi; e, come detto, anni di chat<br />

sconfortanti mi avevano temprato contro ogni possibile tentativo di adescamento digitale.<br />

Per dirla in piemontese, mi sun nen piciu, neh! sono mica scemo! Garantito al 100%, che<br />

54


QIStellina non era un fake, un profilo fittizio: era una conoscenza da coltivare. Qualcuno<br />

da conoscere meglio. Someone who cares.<br />

Così, eccomi pronto a skypeggiare per la prima volta in vita mia. Come mi sento? Stato<br />

di crescente eccitazione. Drums & Wires. Making planes for Mauri.<br />

Call QIStellina...<br />

Tono Skype.<br />

“Hello?”<br />

“Ciao! Can you hear me?”<br />

“Hello” Hello again. “Maurisiou?”<br />

Qualcosa non funziona come dovrebbe. Io la sento - voce calda, sexy come miele caldo<br />

americano sgocciolato sul petto pronto per essere leccato da una lingua avida - ma lei non<br />

sente me: più di tutto, non la vedo. Cazzarola.<br />

C’é come il rumore di una goccia d’acqua che cade giù nel lavandino, e una finestrella<br />

con dentro un breve messaggio di testo compare in basso a destra dello schermo del mio<br />

laptop Acer. “Pigia il bottone blu, <strong>Maurizio</strong>.”<br />

Quale bottone blu? Ah, questo col simbolo della telecamera. Fatto.<br />

Nella finestra che si apre qualche attimo dopo, vedo il suo bel viso ovale sovrastato da un<br />

ventilatore da soffitto, il tutto fastidiosamente pixelato dalla mia connessione ADSL, che<br />

fa schifo al membro ispido d’un pornodivo californiano anni settanta.<br />

QIStellina, alias Jane Thomas. In diretta da Sarasota, Florida sud-occidentale. OMG.<br />

“Hai problemi con l’audio e il video?” dice QIStellina con un sorriso Sensodyne.<br />

“Credo proprio di sì” batto sulla tastiera e invio. “Forse dovrei cambiare le impostazioni<br />

alla webcam. O rimpiazzarla direttamente. Schifezze cinesi. How you doing?”<br />

“Fine, thanks! Voglio mostrarti una cosa.” Si alza voltandosi, offrendomi un primo piano<br />

del suo notevole culo. Vi dà un paio di sonore pacche. “My booty.” Senza inibizioni, la<br />

ragazza. Sexy e ruspante. Bella cosa.<br />

Dopodiché, delizioso bocconcino abbronzato, scivola fuori dall’inquadratura svelta come<br />

uno scoiattolo, per tornar con un bassotto marrone e grassottello che le lecca il viso.<br />

“Ti presento Jack Anthony!” Ti ringrazio moltissimo, QIStellina, perché da qui sembra<br />

tutto un Jackson Pollock. Giusto perché ieri l’altro ho scorso un articolo sul pessimo stato<br />

delle ADSL in Italia. O forse é il mio laptop Acer a non possedere l’architettura adeguata<br />

per supportare Skype. Devo provvedere. Lei é così carina...<br />

Jackson Pollock N. 8-03-2010 assume sfumature nero-biancastre con l’arrivo di altri due<br />

bassotti, Dorothy e Maybelline: “Come la canzone di Chuck Berry!” ride lei accennando<br />

una danza sulla sedia. Sporadicamente scorgo lampi sfrangiati di una portafinestra e un<br />

giardino al di là. Tendo le orecchie sforzandomi di comprenderla perché talvolta é come<br />

se parlasse sott’acqua e per giunta ai duemila all’ora. Rispondo infarcendo i miei testi di<br />

emoticone.<br />

All’improvviso, dopo cinque minuti scarsi di quest’andazzo, il suo viso rimane congelato<br />

sull’ennesimo sorriso sciogli-gonadi. Poi l’immagine spira in un sospiro sconsolato.<br />

“Mi é sparito il video” scrivo, aggiungendovi una faccina triste.<br />

“Comprati una nuova webcam; Logitech se puoi, sono ottime. E chiedi al tuo provider di<br />

potenziarti la connessione Internet” replica lei. “Così possiamo parlare di più, <strong>Maurizio</strong>.<br />

Soprattutto, posso vederti. È un po’ preistorico andare avanti a soli messaggi di testo.”<br />

Va bene, sarò anche un pitecantropo. “Ok, QI.”<br />

Smile.<br />

55


“Mauri...”<br />

“Dimmi, QI.”<br />

“Prima di lasciarti, che devo scappare sotto la doccia... posso farti una domanda un po’<br />

strana?”<br />

“Hehehe, of course! Al diavolo la normalità.”<br />

“Ecco...”<br />

:-)<br />

“...vedi anche tu il mondo tutto arancione?E... ”<br />

Dissolvenza in bianco.<br />

Figura 22 ...la fine?<br />

...Bianco. Come il vestito di una sposa.<br />

No. Stai scherzando. Non può essere. Tu non sei reale. Sei un fake. Sei una faccia presa a<br />

prestito e bugie a ripetizione. Solo chiacchiere e distintivo. Non esisti. Zero.<br />

Ah, davvero? E come accidenti fate voi a dirlo? Non sapete neanche com’é fatta l’Italia.<br />

Non sapete nemmeno dov’é Torino. Non siete mai usciti dal vostro villaggio nel mezzo<br />

del nulla. Vivete le vostre insignificanti esistenze per procura digitale. Io sono più reale<br />

della vita stessa, barotti della malora. Ho un nome, un cognome e un passaporto.<br />

NO! Tu non hai nessun documento. Sei un wop. Un guido. Mafioso e miscredente.<br />

56


Hey, rompiballe della Bibbia! Odiatori patentati! È QIJane che vi parla ora! Rifatevi una<br />

vita, mi sentite? Piantatela di dar retta a Glenn Beck e Sarah Palin e cominciate a girare il<br />

mondo senza pregiudizi provinciali! Oh, dimenticavo, già che ci siete, mettetevi a dieta,<br />

culoni! Basta cibo spazzatura da McDonald’s e Taco Bell, basta bibite gassate, imparate a<br />

farvi il caffè come si deve invece di bere quella robaccia cancerogena da Starbucks!<br />

Qui Mauri di nuovo. Veramente! Ma vi rendete conto di quanto siete adiposi, nel corpo e<br />

nel cervello? Maleducati, prepotenti, ingombranti, soprattutto ignoranti.<br />

Chiudi quella cazzo di bocca fetente, alieno!<br />

Ha ha ha. Stereotipati da paura. La colpa é sempre degli immigrati, no? Peccato che essi<br />

costruiscano e riparino le vostre villette e puliscano ogni giorno la vostra merda. Siete dei<br />

patetici razzisti da operetta.<br />

Guido di merda! Agnostico del cazzo! Straniero fottimadre! E tu, terrorista filo-islamica,<br />

puttana italo-gallese di Al Qaeda, se non ti va più di vivere in America, fai le valigie ora e<br />

vattene, smamma, sciò! Noi siamo fieri di essere americani, e lo gridiamo forte!<br />

Ma sì, abbaiate pure alla luna piena. Cancellateci e bloccateci pure su Facebook, palle di<br />

trigliceridi patologicamente invidiose della felicità altrui. Intanto io e il mio amore ce ne<br />

andiamo in municipio.<br />

COME? WHAT? IN MUNICIPIO? OH NO. NO. NOOOOOOOOOOOOOO!!!!!<br />

Sviluppa interesse nella vita come la vedi; gente, cose, letteratura, musica. Il mondo é così ricco -<br />

semplicemente palpitante di ricchi tesori, belle anime e gente interessante. Dimentica te stesso.<br />

Henry Miller<br />

In questa stanza arredata in stile classico orbitante intorno alla stella Giggle, io e QIJane<br />

ci guardiamo negli occhi inumiditi ripetendo pari pari le parole di Kinsey The Deputy<br />

Clerk; beh, a onor del vero, io inciucco una parola su quattro come Lorenz, l’imitatore di<br />

Elvis Presley romagnolo che furoreggiava a Mai Dire Tv col suo amaro Roc: “Chi ama il<br />

rock, ama rock. AuanaghenaKassasCitydetzolrait.”<br />

Emozionato. Radioso. In assoluto stato di grazia. Mi sto per sposare, ooh la la!!! Sto per<br />

sposare QIJane Thomas. Wow wow wow!<br />

Un raggio di pulsar c’illumina nel momento chiave.<br />

“<strong>Maurizio</strong>, do you take Jane as your lawfully wedded wife?”<br />

“Yes I do.”<br />

Lacrime gemelle scivolano giù per gli zigomi esotici di QIJane. La mia bella QI QI.<br />

“Jane, do you take <strong>Maurizio</strong> to be your lawfully wedded husband?”<br />

“I do.”<br />

Gli anelli dorati di Saturno. I criovulcani di Titano.<br />

“With this ring I thee wed <strong>Maurizio</strong>. Wear it as as symbol of our love and commitment.”<br />

“With this ring I thee wed Jane. Wear it as as symbol of our love bubsaaaa...”<br />

Kinsey esprime assenso. “You may not seal the promises you have made with each other<br />

with a kiss.”<br />

Ma proprio mentre stiamo per baciarci Carmelo urla dalla sala motori della Discovery:<br />

“Ehi, capo, ma una traduzione simultanea del tuo matrimonio no, eh?”<br />

QIJane inarca un sopracciglio, infastidita. “Ma che vuole quello stronzo da lassù?”<br />

“Oh, lascialo perdere” la rassicuro, stringendomi nelle spalle. “È della Juve.”<br />

“Ah, ok. Fanculo.”<br />

57


Finalmente le nostre labbra si toccano. E in un attimo troppo breve per essere misurato, lo<br />

spazio implode su se stesso ed esplode in un nuovo universo pieno d’amore.<br />

Un nuovo inizio.<br />

MAURI+QIJANE = TLF²<br />

...T.L.F. Acronimo per True Love Forever. VERO AMORE PER SEMPRE.<br />

“Minchia quanto siete beddiiiiiiiiiiiiiiiii...”<br />

58


Figura 23. TRUE...<br />

59


Figura 24. ...LOVE...<br />

60


Figura 25. ...FOREVER!<br />

61


Figura 26. ...CIN CIN! VIVA GLI SPOSI! E VAFFANCULO AI VUG!<br />

Fotografia della copertina: il campo di dune di Belet, Titano. Cortesia NASA/JPL.<br />

62<br />

© 2012, 2013 <strong>Maurizio</strong> <strong>Ferrarotti</strong>. Tutti i diritti riservati.

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