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musicaround.net - Dodicilune Records

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The Mooche. Luciano Biondini e Antonio Tosques<br />

sono talmente grandi, così padroni dei loro<br />

strumenti e delle possibilità espressive da loro<br />

offerte, che è tutto facile, tutto ‘leggero’. Inoltre<br />

l’intesa è facilitata dall’assenza della batteria, che,<br />

in qualche misura, anche quando è suonata da<br />

batteristi molto sensibili alle dinamiche, spesso<br />

soffoca quelle di strumenti quali la fisarmonica o gli<br />

strumenti ad arco. Questo disco, registrato dal vivo<br />

e pubblicato dalla <strong>Dodicilune</strong>, è nato per<br />

rappresentare adeguatamente l’attività concertistica<br />

del mio ‘piccolo’ ensemble, e la ‘leggerezza’ del suo<br />

modo di fare musica. Il nuovo lavoro, già nei<br />

programmi della <strong>Dodicilune</strong> per il 2008, sarà<br />

certamente differente.<br />

M.L.: Anche la scelta degli standard da<br />

interpretare sembra avere una precisa ratio. Su<br />

quattro solo uno è di un autore che spesso –<br />

ma non troppo – si prende in considerazione in<br />

lavori di questo tipo, The Mooche di Duke<br />

Ellington. Come hai scelto la track-list?<br />

Era la track list di un concerto, fatto a Bari nella<br />

sala concerti de Il Pentagramma, nel marzo scorso.<br />

Se trovi ben calibrata la track<br />

list è perché era calibrata la<br />

scaletta del concerto.<br />

Scaletta che abbiamo del<br />

resto riportato per intero, ad<br />

eccezione del bis,<br />

scaricabile in formato mp3<br />

sul mio sito. Mi sono bastati<br />

due ascolti per capire che<br />

quella registrazione, che<br />

avrebbe dovuto servirci solo<br />

a valutare la performance,<br />

andava pubblicata. Dire che<br />

avevamo l’intenzione di realizzare un live sarebbe<br />

una evidente ipocrisia. In repertorio avevamo due<br />

brani originali e inediti, The Vision di Antonio<br />

Tosques e il mio Del Cavaliere Errante Su Campi<br />

Dorati, che è di certo la composizione più articolata,<br />

più complessa, più studiata, anche se<br />

apparentemente semplice. A questi abbiamo<br />

aggiunto altri brani che amiamo particolarmente: il<br />

mio Leggero, già pubblicato altre due volte nel 2003<br />

e nel 2005, Careful di Jim Hall e My Heart Sings di<br />

Rome, Herpin e Jamblan. Tutti e tre i pezzi sono<br />

stati suonati di getto, d’istinto, senza neanche<br />

provarli, ed eseguiti con la libertà d’approccio di<br />

uno standard in una jam session e senza<br />

arrangiamenti di sorta. Contrariamente alle abitudini<br />

del ‘grande’ ensemble. Diverso il caso di Strange<br />

Meeting, di Frisell, e di The<br />

Mooche: si tratta di capolavori<br />

che avevo riarrangiato di<br />

recente, o meglio, rivisitato, nel<br />

tentativo di darne una lettura<br />

nuova, un’interpretazione<br />

inedita. E che avevamo<br />

eseguito spesso. Penso che,<br />

almeno nel caso di The<br />

45<br />

Pierluigi<br />

Balducci<br />

Small<br />

Ensemble<br />

<strong>musicaround</strong>.<strong>net</strong><br />

Mooche, si percepisca il lavoro di riarrangiamento<br />

che c’è dietro. Il risultato è una scaletta dove a mio<br />

avviso è stato raggiunto il giusto equilibrio tra<br />

semplicità e complessità, tra brani ‘leggeri’, suonati<br />

come in una jam session, e composizioni sotto sotto<br />

più complesse, dove a monte c’è un accurato lavoro<br />

di arrangiamento individuale e collettivo.<br />

L’impressione generale è però di una costante<br />

semplicità di fondo e di una performance<br />

particolarmente ‘ispirata’. Avrà certo contribuito<br />

anche il pubblico, intimo, silenzioso, attentissimo.<br />

M.L.: La scena jazz pugliese è sempre più in<br />

primo piano su scale nazionale ed internazionale.<br />

Cosa secondo te ha scatenato questo fervore?<br />

Ed inoltre, si può parlare di un’identità jazzistica<br />

pugliese?<br />

Non credo che ci sia un’identità<br />

pugliese vera e propria a livello di<br />

‘estetica’, la Puglia offre infatti un<br />

panorama variegato di tendenze,<br />

che abbracciano stili e linguaggi<br />

realmente disparati: pensiamo<br />

all’estrema diversità sia dei<br />

‘cinquantenni’, come Pino<br />

Minafra e Roberto Ottaviano, sia<br />

della generazione successiva<br />

(Davide Santorsola, Gianni<br />

Lenoci, Guido Di Leone, Nico Stufano, Mimmo<br />

Campanale), sia dei più giovani, come Gaetano<br />

Partipilo, Mirko Signorile, Antonio Tosques, o come<br />

Gianluca Petrella, proiettato a livelli di notorietà<br />

internazionale. Si va da musicisti che esaltano la<br />

‘terroneità’ (perdonatemi il termine), la nostra<br />

tradizione bandistica, e profumi realmente<br />

meridionali, ad altri più inseriti in una ‘koinè’ jazzistica<br />

moderna e internazionale, ad altri che si arroccano<br />

su posizioni più ‘classicheggianti’ e vicine al<br />

mainstream, ad altri, infine, che pare siano partoriti or<br />

ora dalla scena jazzistica newyorchese o da una<br />

costola di Steve Coleman. E non nomino poi gli<br />

innumerevoli altri jazzisti pugliesi meno visibili solo<br />

per una minore propensione all’attività di leaderband,<br />

ma non meno importanti.<br />

__________________________________________________________________________________________<br />

45<br />

<strong>musicaround</strong>.<strong>net</strong>

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