Viaggio al termine della notte - L. F. Celine - Beneinst.it

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28.05.2013 Views

Louis Ferdinand CelineViaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ delirio, che l'autobiografia deve restare un punto di partenza da trasfigurare liberamente. Tra le ossessioni che il romanzo ostenta, in primo piano resta quella per la terra, per la corruzione, per tutto quanto si disfa cade, marcisce. Le parole che ricorrono di più nel lessico célinano sono quelle che fanno riferimento al marciume, all'ininterrotto sbavare e putrefarsi e corrompersi degli uomini prima ancora che delle cose (il baver, la pourriture). Di qui, per contrasto l'attrazione per tutto quello che è leggero, mobile, aereo, che si distacca dalle servitù della legge di gravità: l'acqua, le nuvole, i fiumi, il mare, le navi, ma anche pochi esseri privilegiati, «musicali», certe donne, certe danzatrici di cui Céline loda la « precisione » dei movimenti, l'esattezza matematica del gesto che riesce a negare se stesso per trasformarsi nell'arco astratto del movimento, nell'incanto di un attimo che diventa segno, ideogramma. Questo spiega perché l'aggettivo più insultante per Céline, fieramente astemio e avverso a ogni crapula, è «lourd », tutto quanto designa la pesantezza, il lato greve della materia e del corpo umano, l'abominio delle « tripes », altra parola odiata. Uomo di città che soffre la tristezza e la bruttezza della città, sogna la leggerezza del viaggio e la svelta precisione con cui una barca a vela può stringere il vento, ma detesta la natura, i suoi spettacoli eccessivi, la sua magniloquenza vischiosa e annichilente, i suoi eccessi barocchi, vagamente antropofaghi. I suoi scenari prediletti sono, prima ancora che notturni, crepuscolari: i momenti in cui l'oscurità incombente della notte si impadronisce della Senna, delle chiatte, delle case, dei parchi, degli alberi, luoghi deputati del grande impressionismo céliniano, quella zona di nessuno che annuncia un incubo, una sconfitta, o uno smemoramento, ma anche l'inizio di un viaggio iniziatico nell'ombra e tra le ombre (una iniziazione condannata a ripetersi dolorosamente, che non arriva mai a certificare il raggiungimento di una maturità). Che non è soltanto il confronto con le verità insostenibili dell'abiezione e della morte, ma anche la ricerca di una base d'appoggio, di un appiglio, di uno spunto per darsi quel minimo di coraggio e di consapevolezza con cui tornare ogni mattina nel mondo. «L'uomo è nudo, spogliato di tutto, perfino della fede in se stesso. Questo è il mio libro», dichiara Céline in una delle prime interviste. Il suo disincanto, tante volte superficialmente condannato come una specie di resa incondizionata al nichilismo, è la classica reazione dell'innamorato deluso, di quanti hanno una così alta concezione dell'uomo da non sopportare lo spettacolo della sua reale miseria morale. L'interesse che spinge Céline verso lo spettacolo della degradazione non è mai naturalistico o di verismo sociale: semplicemente, egli vi ritrova quello che può offrire alla propria immaginazione le ossessioni di cui ha bisogno. Ma il Voyage è ben altro che l'affermazione di un pessimismo cosmico e senza riscatto: è un romanzo potentemente comico, in cui farsa e tragedia si mescolano continuamente, in cui la rappresentazione dell'abiezione non frena e anzi semmai esalta la vis grottesca, un divertimento più forte dell'incubo. Non suonerà dunque eccessivo il richiamo che qualche critico ha fatto quando il libro uscì alla «haulte graisse» rabelaisiana. «Il linguaggio scritto era a terra, sono io che ho restituito l'emozione al linguaggio scritto!... è mica uno sgobbo da niente, glielo assicuro! la trovata! la magia!... L'emozione viene dal midollo dell'essere, mica dai coglioni o dalle ovaie!», rivendica Céline nei Colloqui. ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 356

Louis Ferdinand CelineViaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ A Léon Daudet scrive: « Mi trovo bene solo in un grottesco ai confini della morte. A tutto il resto sono insensibile». Lo spettacolo delle bassezze umane scatena in lui un riso liberatorio, fatto di satira e di humour nero, di gags esilaranti e fulminee che hanno qualcosa di chapliniano. La noirceur della rappresentazione céliniana riuscirebbe insopportabile se non sfociasse nel puro piacere delle parole e del testo: la mano del pittore, il suo stile, è sempre più importante del soggetto che rappresenta. Ossessionato dalla morte e talvolta affascinato da essa, Céline medico e scrittore lotta contro la morte tutta la vita (di qui la disperazione di non essere riuscito a salvare, tra gli altri, il piccolo Bébert) e in Féerie pour une autre fois si lascia scappare un grido categorico: «Sono del Partito della vita io!». E difatti solo un uomo che aveva capito e amato e difeso a fondo la vita poteva scrivere il Voyage. Nel cuore della notte, Céline cerca anche e soprattutto l'allegria che si può annidare nei gesti semplici di Bébert o negli occhi ridenti della vecchia Henrouille, che non credono alla morte e animano il tugurio in cui si è segregata da anni. Per non dire dei due «messaggeri d'amore» che incarnano le superstiti ragioni della dedizione disinteressata: il sergente Alcide che si segrega nel più remoto angolo d'Africa per mantenere agli studi una nipotina che non ha mai visto, l'uomo che ha in sé «tanta tenerezza da rifare un mondo»; e la prostituta Molly, vivente negazione dell'afasia morale degli americani, colei che fa vergognare Bardamu d'aver pensato che l'umanità è più turpe di quella che realmente è. Certo non s'è mai visto un presunto anarchico, sboccato e blasfemo, fornire i tanti lapsus di delicatezza, di pudore, addirittura di ipersensibilità, di cui sono piene le pagine del Voyage. Appena uscito il romanzo, Céline ne prenderà abbastanza rapidamente le distanze, con una ambivalenza di sentimenti che il tempo finirà per accentuare. Nel giro di pochi mesi, scrivendo a Denoel, lo colloca in una sorta di « periodo romantico » da cui si sarebbe poi distaccato. E un anno dopo confessa a Evelyne Pollet che non lo ha riletto e non lo rileggerà mai. « Lo trovo noioso e piatto da far venire la nausea. E' curioso che tutta quella chiacchiera finisca per sedurre il lettore. Credo che lui abbia voglia di fare lo stesso. Tutto lì ». Negli ultimi anni, poi, ribadisce che quello stile ritenuto rivoluzionario nel 1932 era soltanto un punto di partenza, e ci sarebbe voluto tempo e fatica per spingerlo sino ai confini delle proprie autentiche potenzialità. Arriva a trovare « classico » il Voyage: « Sacrifico ancora alla letteratura, alla "buona letteratura". Uno ci trova ancora la frase ben tornita... A mio avviso, dal punto di vista tecnico, è un po' attardato ». E con Poulet parla di stile « vecchiotto e troppo timido... Non posso digerirlo. E stomachevole»; « E ancora Paul Bourget per più della metà ». La sua irritazione si scatena contro quanti tentano di ridurlo a quel solo romanzo d'esordio, che trovano illeggibili i libri successivi. Ma è anche convinto che i suoi guai personali nascano da lì, come testimonia la prefazione scritta per la riedizione del 1949: « Il solo libro veramente cattivo tra tutti i miei libri è il Voyage ». ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 357

Louis Ferdinand <strong>Celine</strong> “<strong>Viaggio</strong> <strong>al</strong> <strong>termine</strong> <strong>della</strong> <strong>notte</strong>.”<br />

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A Léon Daudet scrive: « Mi trovo bene solo in un grottesco ai confini <strong>della</strong> morte.<br />

A tutto il resto sono insensibile».<br />

Lo spettacolo delle bassezze umane scatena in lui un riso liberatorio, fatto di satira e di humour<br />

nero, di gags esilaranti e fulminee che hanno qu<strong>al</strong>cosa di chapliniano.<br />

La noirceur <strong>della</strong> rappresentazione céliniana riuscirebbe insopportabile se non sfociasse nel puro<br />

piacere delle parole e del testo: la mano del p<strong>it</strong>tore, il suo stile, è sempre più importante del<br />

soggetto che rappresenta.<br />

Ossessionato d<strong>al</strong>la morte e t<strong>al</strong>volta affascinato da essa, Céline medico e scr<strong>it</strong>tore lotta contro la<br />

morte tutta la v<strong>it</strong>a (di qui la disperazione di non essere riusc<strong>it</strong>o a s<strong>al</strong>vare, tra gli <strong>al</strong>tri, il piccolo<br />

Bébert) e in Féerie pour une autre fois si lascia scappare un grido categorico: «Sono del Part<strong>it</strong>o<br />

<strong>della</strong> v<strong>it</strong>a io!».<br />

E difatti solo un uomo che aveva cap<strong>it</strong>o e amato e difeso a fondo la v<strong>it</strong>a poteva scrivere il Voyage.<br />

Nel cuore <strong>della</strong> <strong>notte</strong>, Céline cerca anche e soprattutto l'<strong>al</strong>legria che si può annidare nei gesti<br />

semplici di Bébert o negli occhi ridenti <strong>della</strong> vecchia Henrouille, che non credono <strong>al</strong>la morte e<br />

animano il tugurio in cui si è segregata da anni.<br />

Per non dire dei due «messaggeri d'amore» che incarnano le superst<strong>it</strong>i ragioni <strong>della</strong> dedizione<br />

disinteressata: il sergente Alcide che si segrega nel più remoto angolo d'Africa per mantenere agli<br />

studi una nipotina che non ha mai visto, l'uomo che ha in sé «tanta tenerezza da rifare un<br />

mondo»; e la prost<strong>it</strong>uta Molly, vivente negazione dell'afasia mor<strong>al</strong>e degli americani, colei che fa<br />

vergognare Bardamu d'aver pensato che l'uman<strong>it</strong>à è più turpe di quella che re<strong>al</strong>mente è.<br />

Certo non s'è mai visto un presunto anarchico, sboccato e blasfemo, fornire i tanti lapsus di<br />

delicatezza, di pudore, addir<strong>it</strong>tura di ipersensibil<strong>it</strong>à, di cui sono piene le pagine del Voyage.<br />

Appena usc<strong>it</strong>o il romanzo, Céline ne prenderà abbastanza rapidamente le distanze, con una<br />

ambiv<strong>al</strong>enza di sentimenti che il tempo finirà per accentuare.<br />

Nel giro di pochi mesi, scrivendo a Denoel, lo colloca in una sorta di « periodo romantico » da<br />

cui si sarebbe poi distaccato.<br />

E un anno dopo confessa a Evelyne Pollet che non lo ha riletto e non lo rileggerà mai. « Lo<br />

trovo noioso e piatto da far venire la nausea.<br />

E' curioso che tutta quella chiacchiera finisca per sedurre il lettore.<br />

Credo che lui abbia voglia di fare lo stesso.<br />

Tutto lì ».<br />

Negli ultimi anni, poi, ribadisce che quello stile r<strong>it</strong>enuto rivoluzionario nel 1932 era soltanto un<br />

punto di partenza, e ci sarebbe voluto tempo e fatica per spingerlo sino ai confini delle proprie<br />

autentiche potenzi<strong>al</strong><strong>it</strong>à.<br />

Arriva a trovare « classico » il Voyage: « Sacrifico ancora <strong>al</strong>la letteratura, <strong>al</strong>la "buona letteratura".<br />

Uno ci trova ancora la frase ben torn<strong>it</strong>a...<br />

A mio avviso, d<strong>al</strong> punto di vista tecnico, è un po' attardato ».<br />

E con Poulet parla di stile « vecchiotto e troppo timido...<br />

Non posso digerirlo.<br />

E stomachevole»; « E ancora Paul Bourget per più <strong>della</strong> metà ».<br />

La sua irr<strong>it</strong>azione si scatena contro quanti tentano di ridurlo a quel solo romanzo d'esordio, che<br />

trovano illeggibili i libri successivi.<br />

Ma è anche convinto che i suoi guai person<strong>al</strong>i nascano da lì, come testimonia la prefazione scr<strong>it</strong>ta<br />

per la riedizione del 1949: « Il solo libro veramente cattivo tra tutti i miei libri è il Voyage ».<br />

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