Viaggio al termine della notte - L. F. Celine - Beneinst.it

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28.05.2013 Views

Louis Ferdinand CelineViaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ eroica. Ci avrebbe mandato a prendere il fuoco alla bocca dei cannoni di fronte. Collaborava con la morte. Si poteva giurare che quella aveva un contratto col capitano Ortolan. La prima parte della sua vita (m'ero informato) se l'era passata nei concorsi ippici a rompersi le ossa, parecchie volte l'anno. Le gambe, a furia di rompersele e di non farle più servire per camminare, avevano perso i polpacci. Avanzava soltanto, Ortolan, a passi nervosi e aguzzi come su dei bastoni. A terra, sotto la palandrana smisurata, curvo sotto la pioggia, lo si sarebbe preso per il fantasma del culo d'un cavallo da corsa. Notiamo che all'inizio della mostruosa impresa, cioè nel mese d'agosto, e anche fino a settembre, certe ore, giornate intere talvolta, dei tratti di strada e degli angoli di bosco rimanevano favorevoli ai condannati... Ci si poteva lasciar cullare nell'illusione d'essere quasi tranquilli, e sgranocchiare per esempio una scatola di conserva col suo pane, fino in fondo, senza troppo tormentarsi col presentimento che sarebbe stata l'ultima. Ma a partire da ottobre fu proprio finita con le piccole tregue, la grandine divenne sempre più fitta, più densa, meglio impastata, farcita di granate e pallottole. Presto saremmo stati in piena tempesta e quel che cercavamo di non vedere sarebbe apparso in pieno davanti a noi e non avremmo visto che lei: la nostra morte. La notte, di cui avevamo avuto così paura i primi tempi, diventava al confronto quasi dolce. Finivamo per aspettarla, per desiderarla la notte. Era meno facile tirarci addosso di notte che di giorno. E non c'era più che questa differenza che contava. E difficile arrivare all'essenziale, anche in quel che riguarda la guerra, la fantasia resiste a lungo. I gatti quando il fuoco li minaccia troppo sotto finiscono comunque per andarsi a buttare nell'acqua. Ci ritagliavamo nella notte qua e là dei quarti d'ora che assomigliavano molto al tempo adorabile della pace, a quei tempi diventati incredibili, dove tutto era benevolo, dove niente in fondo arrivava mai al dunque, dove si realizzavano tante altre cose, tutte diventate adesso straordinariamente, meravigliosamente gradevoli. Un velluto vivente, quel tempo di pace... Ma presto le notti, anche quelle, a loro volta, furono braccate senza pietà. Quasi sempre la notte bisognava far lavorare ancora la stanchezza, patire un piccolo supplemento, solo per mangiare, per trovare una piccola razione di sonno nel buio. Arrivava alle linee degli avamposti, il mangiare, vergognosamente strisciante e greve, in lunghi cortei zoppicanti di carriole precarie, gonfie di carni, di prigionieri, di feriti, d'avena, di riso, di gendarmi e anche di bibendum, il vino in barilotti, che ricordano così tanto la goduria, traballanti e panciuti. A piedi, i ritardatari dietro i fornelli e il pane e i prigionieri, dei nostri, e anche dei loro, in manette, condannati a questo, a quello, mescolati, attaccati per i polsi alla staffa dei gendarmi, alcuni da fucilare domani, non più tristi degli altri. Mangiavano anche quelli la loro razione di questo tonno così difficile da digerire (non ne ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 20

Louis Ferdinand CelineViaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ avrebbero avuto il tempo), aspettando che il convoglio riparta, sul ciglio della strada - e lo stesso ultimo pane con un civile incatenato con loro, che dicevano che era una spia, e lui non ne sapeva nulla. Noi nemmeno. La tortura del reggimento continuava poi in versione notturna, a tentoni nelle stradine gibbose del villaggio senza luce e senza volto, piegati sotto sacchi più pesanti di uomini, da un fienile sconosciuto a un altro, strapazzati, minacciati, dall'uno all'altro, stravolti, senza speranza proprio di finire altrimenti che nella minaccia, il colaticcio e il disgusto d'essere stati torturati, ingannati a sangue da un orda di pazzi viziosi diventati improvvisamente incapaci d'altro, fin che c'erano, che non fosse uccidere e farsi sbudellare senza sapere perché. Pancia a terra fra due letamai, a furia di bestemmie, a furia di calci in culo, ci si ritrovava ben presto rimessi in piedi dalle gradaglie e risbattuti ancora una volta verso altri incarichi del convoglio, ancora. Il villaggio trasudava mangiare e pattuglie nella notte gonfia di grasso, di patate, d'avena, di zucchero, che bisognava portare a spalle e buttar lì, a caso in mezzo alle squadre. Portava di tutto il convoglio, tranne la fuga. Stremata, la corvé si buttava giù attorno alla carretta e allora arrivava il furiere col suo fanale sopra quelle larve. 'Sta scimmia a doppio mento che doveva scovare gli abbeveratoi nel caos quale che fosse. Da bere ai cavalli! Ma se ne ho visti, io, quattro uomini, sedere compreso, ronfarci dentro nell'acqua, morti di sonno, fino al collo. Dopo l'abbeverata bisognava ancora ritrovarla la cascina e la stradina da dove eravamo venuti, e dove credevamo proprio d'averla lasciata, la squadra. Se non si trovava nulla, eravamo liberi d'accasciarci una volta di più lungo un muro, per un'ora sola, se ce ne restava ancora una per ronfare. In 'sto mestiere d'essere ammazzati, bisogna mica fare i difficili, bisogna fare finta che la vita continua, questa è la cosa dura, 'sta menzogna. E ripartivano per le retrovie, i furgoni. Fuggendo l'alba, il convoglio riprendeva la strada, stridendo con tutte le sue ruote ritorte, se ne andava con il mio augurio di venire sorpreso, fatto a pezzi, bruciato infine quella giornata stessa, come si vede nelle stampe militari, saccheggiato il convoglio, per sempre, con tutto l'equipaggio di gorilla gendarmi, di ferri di cavallo e di raffermati con le lanterne e tutto quel che conteneva di corvé e anche di lenticchie e altre farine che non si potevano mai far cuocere, e che non o rivedessimo mai più. Perché crepare per crepare di fatica o d'altro, il modo più doloroso resta quello di arrivarci trasportando dei sacchi per riempirci la notte. Il giorno che li avessero saccagnati fino alle balestre quegli schifosi là, almeno non ci avrebbero più rotto le palle, pensavo io, e anche se non fosse stato che per una notte tutta intera, avremmo almeno dormito una volta tutti interi corpo e anima. 'Sti rifornimenti, un incubo in più, piccolo mostro tormentoso nel grosso della guerra. Bruti davanti, di fianco e dietro. Ce ne avevano messi dappertutto. Condannati a morte differiti non uscivamo più dall'enorme voglia di ronfare, e tutto diventava sofferenza oltre a quella, il tempo e la fatica di mangiare. ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 21

Louis Ferdinand <strong>Celine</strong> “<strong>Viaggio</strong> <strong>al</strong> <strong>termine</strong> <strong>della</strong> <strong>notte</strong>.”<br />

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avrebbero avuto il tempo), aspettando che il convoglio riparta, sul ciglio <strong>della</strong> strada - e lo stesso<br />

ultimo pane con un civile incatenato con loro, che dicevano che era una spia, e lui non ne sapeva<br />

nulla.<br />

Noi nemmeno.<br />

La tortura del reggimento continuava poi in versione notturna, a tentoni nelle stradine gibbose del<br />

villaggio senza luce e senza volto, piegati sotto sacchi più pesanti di uomini, da un fienile<br />

sconosciuto a un <strong>al</strong>tro, strapazzati, minacciati, d<strong>al</strong>l'uno <strong>al</strong>l'<strong>al</strong>tro, stravolti, senza speranza proprio di<br />

finire <strong>al</strong>trimenti che nella minaccia, il colaticcio e il disgusto d'essere stati torturati, ingannati a<br />

sangue da un orda di pazzi viziosi diventati improvvisamente incapaci d'<strong>al</strong>tro, fin che c'erano, che<br />

non fosse uccidere e farsi sbu<strong>della</strong>re senza sapere perché.<br />

Pancia a terra fra due letamai, a furia di bestemmie, a furia di c<strong>al</strong>ci in culo, ci si r<strong>it</strong>rovava ben<br />

presto rimessi in piedi d<strong>al</strong>le gradaglie e risbattuti ancora una volta verso <strong>al</strong>tri incarichi del<br />

convoglio, ancora.<br />

Il villaggio trasudava mangiare e pattuglie nella <strong>notte</strong> gonfia di grasso, di patate, d'avena, di<br />

zucchero, che bisognava portare a sp<strong>al</strong>le e buttar lì, a caso in mezzo <strong>al</strong>le squadre.<br />

Portava di tutto il convoglio, tranne la fuga.<br />

Stremata, la corvé si buttava giù attorno <strong>al</strong>la carretta e <strong>al</strong>lora arrivava il furiere col suo fan<strong>al</strong>e sopra<br />

quelle larve.<br />

'Sta scimmia a doppio mento che doveva scovare gli abbeveratoi nel caos qu<strong>al</strong>e che fosse.<br />

Da bere ai cav<strong>al</strong>li! Ma se ne ho visti, io, quattro uomini, sedere compreso, ronfarci dentro<br />

nell'acqua, morti di sonno, fino <strong>al</strong> collo.<br />

Dopo l'abbeverata bisognava ancora r<strong>it</strong>rovarla la cascina e la stradina da dove eravamo venuti, e<br />

dove credevamo proprio d'averla lasciata, la squadra.<br />

Se non si trovava nulla, eravamo liberi d'accasciarci una volta di più lungo un muro, per un'ora<br />

sola, se ce ne restava ancora una per ronfare.<br />

In 'sto mestiere d'essere ammazzati, bisogna mica fare i difficili, bisogna fare finta che la v<strong>it</strong>a<br />

continua, questa è la cosa dura, 'sta menzogna.<br />

E ripartivano per le retrovie, i furgoni.<br />

Fuggendo l'<strong>al</strong>ba, il convoglio riprendeva la strada, stridendo con tutte le sue ruote r<strong>it</strong>orte, se ne<br />

andava con il mio augurio di venire sorpreso, fatto a pezzi, bruciato infine quella giornata stessa,<br />

come si vede nelle stampe mil<strong>it</strong>ari, saccheggiato il convoglio, per sempre, con tutto l'equipaggio<br />

di gorilla gendarmi, di ferri di cav<strong>al</strong>lo e di raffermati con le lanterne e tutto quel che conteneva di<br />

corvé e anche di lenticchie e <strong>al</strong>tre farine che non si potevano mai far cuocere, e che non o<br />

rivedessimo mai più.<br />

Perché crepare per crepare di fatica o d'<strong>al</strong>tro, il modo più doloroso resta quello di arrivarci<br />

trasportando dei sacchi per riempirci la <strong>notte</strong>.<br />

Il giorno che li avessero saccagnati fino <strong>al</strong>le b<strong>al</strong>estre quegli schifosi là, <strong>al</strong>meno non ci avrebbero<br />

più rotto le p<strong>al</strong>le, pensavo io, e anche se non fosse stato che per una <strong>notte</strong> tutta intera, avremmo<br />

<strong>al</strong>meno dorm<strong>it</strong>o una volta tutti interi corpo e anima.<br />

'Sti rifornimenti, un incubo in più, piccolo mostro tormentoso nel grosso <strong>della</strong> guerra.<br />

Bruti davanti, di fianco e dietro.<br />

Ce ne avevano messi dappertutto.<br />

Condannati a morte differ<strong>it</strong>i non uscivamo più d<strong>al</strong>l'enorme voglia di ronfare, e tutto diventava<br />

sofferenza oltre a quella, il tempo e la fatica di mangiare.<br />

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