Viaggio al termine della notte - L. F. Celine - Beneinst.it
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Louis Ferdinand Celine “Viaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ Era venuta solo per farsi un'opinione sul mio conto. Mi squadrava di sguincio mentre parlavo, con le sue pupille svelte e cilestrine e Robinson non si perdeva un briciolo di tutta quella inquietudine latente fra noi. Era scuro nella mia sala d'aspetto, la grande casa dall'altra parte della strada scolorava ampiamente prima di cedere alla notte. Dopo di che, non ci furono che le nostre voci, tra noi, e tutto quello che hanno sempre l'aria di stare per dire, le voci, e non dicono mai. Una volta solo con lui, ho cercato di fargli capire che non avevo più nessuna voglia di vederlo Robinson, ma lui è tornato lo stesso verso la fine del mese e poi allora quasi ogni sera. E'vero che non stava proprio niente bene con i polmoni. «Il signor Robinson è venuto ancora a cercarla... mi ricordava la portinaia che s'interessava a lui. Non ne uscirà eh?... aggiungeva lei. Tossiva ancora quando è venuto...» Sapeva bene che mi angosciava parlarne. E'vero che tossiva. «C'è mica modo, prediceva lui stesso, non ne uscirò mai... - Aspetta ancora l'estate prossima! Un po' di pazienza! Vedrai... Finirà da sola...» Insomma quel che si dice in quei casi. Non potevo guarirlo io, fin tanto che lavorava negli acidi... Cercavo di tirarlo su comunque. «Da solo, guarisco io? rispondeva. La fai facile tu!... Si direbbe che è facile respirare come respiro io... Vorrei vederti te con un affare come il mio nella cassa... Ti sgonfi con un affare come ci ho io nella cassa... E poi senti quel che ti dico... - Sei depresso, passi un brutto momento, ma quando starai meglio... Anche solo un po' meglio, vedrai... -Un pO' meglio? Nella tomba starò un po' meglio! Avrei fatto meglio a restare in guerra in fatto di vero meglio! A te ti va bene d'essere tornato... Non hai niente da dire, tu!» Gli uomini ci tengono ai loro brutti ricordi, a tutte le loro disgrazie e non si può tirarli via di lì. Gli tiene occupata l'anima. Si vendicano dell'ingiustizia del loro presente accanendosi sull'avvenire nel fondo di se stessi a palle di merda. Da quei giusti e vili che sono nel loro intimo. Sono fatti così. Non gli rispondevo più niente. Allora si offendeva. «Vedi bene che anche tu sei della stessa idea!» Per star tranquillo, gli andavo a cercare una pozioncina contro la tosse. E che i suoi vicini si lamentavano perché lui non la smetteva di tossire e loro non potevano dormire. Mentre gli riempivo la bottiglia, si chiedeva ancora dove mai aveva potuto prendersela questa tosse irrefrenabile. Mi chiedeva anche al tempo stesso di fargli delle punture: con dei sali d'oro. ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 200
Louis Ferdinand Celine “Viaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ «Se ci resto con le punture, lo sai che ci perderei niente!» Ma mi rifiutavo, beninteso, di cominciare una qualunque terapia eroica. Volevo come prima cosa che se ne andasse. Avevo perso io stesso ogni entusiasmo solo a rivederlo trascinarsi da queste parti. Tutte le fatiche del mondo dovevo già sopportare per non lasciarmi trascinar via dalla corrente della mia bolletta, per non cedere alla voglia di chiudere la porta una volta per tutte e venti volte al giorno mi ripetevo: «A cosa serve?» Allora ascoltare in più anche le sue geremiadi, era davvero troppo. «Tu non hai coraggio, Robinson! finivo per dirgli io...Ti dovresti sposare, quello ti darebbe forse un po' di voglia di vivere...» Si fosse preso una donna, lui mi avrebbe sollevato un po'. Su 'sto fatto se ne andava tutto contrariato. Non gli piacevano i miei consigli, soprattutto quelli. Mi rispondeva nemmeno su questa faccenda del matrimonio. Era, è anche vero, un consiglio proprio scemo che gli davo. Una domenica che non ero di servizio uscimmo insieme. All'angolo con boulevard Magnanime, siamo andati a prenderci in terrazza un cassis e una gazzosa. Non parlavamo molto, non avevamo granché da dirci. Anzitutto, a cosa servono le parole quando hai una fissa? A gridarsi addosso e basta. Non passano molti autobus la domenica. Dalla terrazza è quasi un piacere vedere il boulevard bello pulito, bello riposato anche lui, davanti a te. Avevamo il grammofono dell'osteria alle spalle. «Lo senti? mi fa Robinson. Suona dei motivetti americani, il fono; li riconosco quei motivetti lì io, sono gli stessi che suonavano a Detroit da Molly...» Nei due anni che aveva passato laggiù, non era entrato molto nella vita degli americani; soltanto, era stato come intenerito in qualche modo dalla loro specie di musica, dove cercavano di mollare anche loro le abitudini insopportabili che avevano e la pena devastante di fare tutti i giorni la stessa cosa e con quella loro ballano con la vita che non ha senso, un po', finché suona. Degli orsi, qui come laggiù. Lui non finiva più il cassis a riflettere su tutto quello. Un po' di polvere s'alzava da ogni parte. Intorno ai platani ciondolano dei bambini sudici e panciuti, attirati anche loro dal disco. Nessuno in fondo le resiste alla musica. Non hai niente da fare col tuo cuore, lo regali volentieri. Bisogna sentire in fondo a ogni musica l'aria senza note, fatta per noi, l'aria della Morte. Qualche negozio tiene aperto anche la domenica per cocciutaggine: la pantofolaia esce da casa sua e porta a spasso, chiacchierando, da una vetrina vicina all'altra, chili di varici dietro le gambe. Al chiosco, i giornali del mattino pendono flosci e già un po' gialli, formidabile carciofo di notizie in via di marcescenza. Un cane, sopra, fa pipì, svelto, la gerente sonnecchia. Un autobus vuoto si precipita verso il deposito. Le idee anche finiscono per avere la loro domenica; si è ancora più straniti del solito. ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 201
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Louis Ferdinand <strong>Celine</strong> “<strong>Viaggio</strong> <strong>al</strong> <strong>termine</strong> <strong>della</strong> <strong>notte</strong>.”<br />
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«Se ci resto con le punture, lo sai che ci perderei niente!» Ma mi rifiutavo, beninteso, di<br />
cominciare una qu<strong>al</strong>unque terapia eroica.<br />
Volevo come prima cosa che se ne andasse.<br />
Avevo perso io stesso ogni entusiasmo solo a rivederlo trascinarsi da queste parti.<br />
Tutte le fatiche del mondo dovevo già sopportare per non lasciarmi trascinar via d<strong>al</strong>la corrente<br />
<strong>della</strong> mia bolletta, per non cedere <strong>al</strong>la voglia di chiudere la porta una volta per tutte e venti volte<br />
<strong>al</strong> giorno mi ripetevo: «A cosa serve?» Allora ascoltare in più anche le sue geremiadi, era davvero<br />
troppo.<br />
«Tu non hai coraggio, Robinson! finivo per dirgli io...Ti dovresti sposare, quello ti darebbe forse<br />
un po' di voglia di vivere...» Si fosse preso una donna, lui mi avrebbe sollevato un po'.<br />
Su 'sto fatto se ne andava tutto contrariato.<br />
Non gli piacevano i miei consigli, soprattutto quelli.<br />
Mi rispondeva nemmeno su questa faccenda del matrimonio.<br />
Era, è anche vero, un consiglio proprio scemo che gli davo.<br />
Una domenica che non ero di servizio uscimmo insieme.<br />
All'angolo con boulevard Magnanime, siamo andati a prenderci in terrazza un cassis e una<br />
gazzosa.<br />
Non parlavamo molto, non avevamo granché da dirci.<br />
Anz<strong>it</strong>utto, a cosa servono le parole quando hai una fissa? A gridarsi addosso e basta.<br />
Non passano molti autobus la domenica.<br />
D<strong>al</strong>la terrazza è quasi un piacere vedere il boulevard bello pul<strong>it</strong>o, bello riposato anche lui, davanti<br />
a te.<br />
Avevamo il grammofono dell'osteria <strong>al</strong>le sp<strong>al</strong>le.<br />
«Lo senti? mi fa Robinson.<br />
Suona dei motivetti americani, il fono; li riconosco quei motivetti lì io, sono gli stessi che<br />
suonavano a Detro<strong>it</strong> da Molly...» Nei due anni che aveva passato laggiù, non era entrato molto<br />
nella v<strong>it</strong>a degli americani; soltanto, era stato come intener<strong>it</strong>o in qu<strong>al</strong>che modo d<strong>al</strong>la loro specie di<br />
musica, dove cercavano di mollare anche loro le ab<strong>it</strong>udini insopportabili che avevano e la pena<br />
devastante di fare tutti i giorni la stessa cosa e con quella loro b<strong>al</strong>lano con la v<strong>it</strong>a che non ha<br />
senso, un po', finché suona.<br />
Degli orsi, qui come laggiù.<br />
Lui non finiva più il cassis a riflettere su tutto quello.<br />
Un po' di polvere s'<strong>al</strong>zava da ogni parte.<br />
Intorno ai platani ciondolano dei bambini sudici e panciuti, attirati anche loro d<strong>al</strong> disco.<br />
Nessuno in fondo le resiste <strong>al</strong>la musica.<br />
Non hai niente da fare col tuo cuore, lo reg<strong>al</strong>i volentieri.<br />
Bisogna sentire in fondo a ogni musica l'aria senza note, fatta per noi, l'aria <strong>della</strong> Morte.<br />
Qu<strong>al</strong>che negozio tiene aperto anche la domenica per cocciutaggine: la pantofolaia esce da casa<br />
sua e porta a spasso, chiacchierando, da una vetrina vicina <strong>al</strong>l'<strong>al</strong>tra, chili di varici dietro le gambe.<br />
Al chiosco, i giorn<strong>al</strong>i del mattino pendono flosci e già un po' gi<strong>al</strong>li, formidabile carciofo di notizie<br />
in via di marcescenza.<br />
Un cane, sopra, fa pipì, svelto, la gerente sonnecchia.<br />
Un autobus vuoto si precip<strong>it</strong>a verso il depos<strong>it</strong>o.<br />
Le idee anche finiscono per avere la loro domenica; si è ancora più stran<strong>it</strong>i del sol<strong>it</strong>o.<br />
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