Viaggio al termine della notte - L. F. Celine - Beneinst.it
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Louis Ferdinand Celine “Viaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ ugualmente brutto quel che vedi. Più in fondo ancora, è sempre la Senna a girare come una gran chiara d'uovo a zigzag da un ponte all'altro. Quando stai a Rancy, ti rendi nemmeno più conto che sei diventato triste. Non hai più voglia di fare granché, ecco tutto. A forza di fare economie su tutto, per tutto, tutte le voglie ti son passate. Per mesi mi son fatto prestare soldi a destra e a sinistra. La gente era così povera e così diffidente nel mio quartiere che bisognava che facesse notte perché si decidessero a chiamarmi, a me, il medico che pure non era caro. Ho trascorso così notti e notti a cercare dei dieci e dei quindici franchi attraverso cortiletti senza luna. La mattina, la via diventava come un gran tamburo di tappeti sbattuti. Quel mattino, ho incontrato Bébert sul marciapiede, guardava la portineria della zia che era andata fuori per commissioni. Anche lui tirava su una nuvola dal marciapiede con una ramazza, Bébert. Chi non facesse la polvere da quelle parti, verso le sette, passerebbe per un grandissimo porcello nella strada sua. Tappetini sbattuti, segno di pulizia, lavori domestici fatti bene. Basta quello. Puoi anche puzzare dalla bocca, dopo quello sei tranquillo. Bébert inghiottiva tutta quella che sollevava, di polvere, e poi anche quella che gli mandavano giù dai piani. Arrivava tuttavia fino al selciato qualche macchia di sole ma come nell'interno di una chiesa, pallida e addolcita, mistica. Bébert mi aveva visto arrivare. Ero il medico dell'angolo, dove si ferma l'autobus. Colorito verdastro, mela che non maturerà mai, Bébert. Si grattava e al vederlo, mi prendeva anche a me la voglia di grattarmi. Il fatto è che delle pulci ne avevo anch'io, è vero, beccate durante la notte sopra i malati. Quelle saltano volentieri sul tuo cappotto perché è il posto più caldo e umido che hanno a tiro. Ti insegnano tutto quello in Facoltà. Bébert mollò il suo tappetino per salutarmi. Da tutte le finestre ci guardavano parlare insieme. Fin tanto che bisogna amare qualcosa, si rischia meno con i bambini che con gli uomini, uno ha almeno la scusa di sperare che saranno meno carogne di noialtri più avanti. Non si poteva sapere. Sulla sua faccia livida ballonzolava quell'infinito sorrisetto di puro affetto d'affezione che non ho mai potuto dimenticare. Un'allegria per l'universo. Pochi esseri ce ne hanno ancora un po' passati i vent'anni di quest'affetto facile, quello delle bestie. Il mondo non è quel che si credeva! Ecco tutto! Allora, uno cambia faccia! E come! Visto che s'era sbagliato! La gran carogna che si diventa in men che si dica! Ecco quel che ci resta sulla faccia passati vent'anni! Un errore! La nostra faccia non è altro che un errore. « Ehi, ecco che mi fa Bébert, Dottore! Non ne hanno forse tirato su uno a Place des Fetes ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 164
Louis Ferdinand Celine “Viaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ stanotte? Che aveva la gola tagliata con un rasoio? E' lei che era di servizio? E' così? - No, non ero io di servizio, Bébert, ero mica io, era il dottor Frolichon... - Peccato, perché mia zia ha detto che le sarebbe piaciuto che fosse lei... Che lei le avrebbe raccontato tutto. . . - Sarà per la prossima volta, Bébert. - Càpita spesso, eh, che ne ammazzano di gente da queste parti!» ha osservato ancora Bébert. Attraversai la sua polvere, ma la spazzatrice municipale passava proprio in quel momento, rombando, e fu un gran tifone quello che s'alzò impetuoso dai rigagnoli e riempì l'intera strada d'altre nuvole ancora, più dense, pepate. Non ci si vedeva più. Bébert saltava a destra e a manca, starnutando e urlando, giulivo. La sua testa cerchiata, i suoi capelli appiccicati, le sue gambe di scimmia tisica, tutto danzava, convulso, in fondo alla scopa. La zia di Bébert tornava dalle commissioni, s'era già fatta un bicchierino, bisogna anche dire che sniffava un po' d'etere, abitudine contratta quand'era a servizio da un medico e aveva avuto tanto male ai denti del giudizio. Gliene restavano solo due di denti davanti, ma lei non di menticava mai di spazzolarseli. «Quando uno è come me, che ho lavorato da un dottore, l'igiene la conosce.» Dava consulti medici nel vicinato e anche parecchio lontano fino a Bezons. Mi sarebbe piaciuto sapere se pensava ogni tanto a qualcosa la zia di Bébert. No, lei non pensava a niente. Parlava moltissimo senza pensare mai. Quando eravamo soli, senza ficcanaso intorno, mi scroccava a sua volta un consulto. Era lusinghiero in un certo senso. « Bébert, Dottore, bisogna che glielo dica, perché lei è medico, è uno sporcaccioncello!... Lui si "tocca"! Me ne sono accorta da due mesi e mi chiedo chi ha potuto insegnargli 'ste porcherie?... Eppure l'ho educato bene io! Glielo proibisco... Ma lui ricomincia... - Gli dica che diventerà pazzo», consigliai io, classico. Bébert, che ci ascoltava, non era contento. « No che non mi tocco, è niente vero, è il bambino Gagat che m'ha proposto... - Vede, lo sospettavo io, fece la zia, nella famiglia Gagat, sa, quelli del quinto?... Sono tutti dei depravati. Il nonno, pare che correva dietro alle domatrici... Eh, domando io, delle domatrici?... Dica, Dottore, già che c'è, potrebbe mica fargli uno sciroppo per impedirgli di toccarsi?...» La seguii fin nella guardiola per prescrivere uno sciroppo antivizio per il piccolo Bébert. Ero troppo condiscendente con tutti, e lo sapevo bene. Nessuno mi pagava. Ho visitato a occhio, soprattutto per curiosità. E'sbagliato. La gente si vendica dei favori che gli fai. La zia di Bébert ha approfittato come gli altri del mio disinteresse orgoglioso. ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 165
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Louis Ferdinand <strong>Celine</strong> “<strong>Viaggio</strong> <strong>al</strong> <strong>termine</strong> <strong>della</strong> <strong>notte</strong>.”<br />
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ugu<strong>al</strong>mente brutto quel che vedi.<br />
Più in fondo ancora, è sempre la Senna a girare come una gran chiara d'uovo a zigzag da un<br />
ponte <strong>al</strong>l'<strong>al</strong>tro.<br />
Quando stai a Rancy, ti rendi nemmeno più conto che sei diventato triste.<br />
Non hai più voglia di fare granché, ecco tutto.<br />
A forza di fare economie su tutto, per tutto, tutte le voglie ti son passate.<br />
Per mesi mi son fatto prestare soldi a destra e a sinistra.<br />
La gente era così povera e così diffidente nel mio quartiere che bisognava che facesse <strong>notte</strong> perché<br />
si decidessero a chiamarmi, a me, il medico che pure non era caro.<br />
Ho trascorso così notti e notti a cercare dei dieci e dei quindici franchi attraverso cortiletti senza<br />
luna.<br />
La mattina, la via diventava come un gran tamburo di tappeti sbattuti.<br />
Quel mattino, ho incontrato Bébert sul marciapiede, guardava la portineria <strong>della</strong> zia che era andata<br />
fuori per commissioni.<br />
Anche lui tirava su una nuvola d<strong>al</strong> marciapiede con una ramazza, Bébert.<br />
Chi non facesse la polvere da quelle parti, verso le sette, passerebbe per un grandissimo porcello<br />
nella strada sua.<br />
Tappetini sbattuti, segno di pulizia, lavori domestici fatti bene.<br />
Basta quello.<br />
Puoi anche puzzare d<strong>al</strong>la bocca, dopo quello sei tranquillo.<br />
Bébert inghiottiva tutta quella che sollevava, di polvere, e poi anche quella che gli mandavano giù<br />
dai piani.<br />
Arrivava tuttavia fino <strong>al</strong> selciato qu<strong>al</strong>che macchia di sole ma come nell'interno di una chiesa,<br />
p<strong>al</strong>lida e addolc<strong>it</strong>a, mistica.<br />
Bébert mi aveva visto arrivare.<br />
Ero il medico dell'angolo, dove si ferma l'autobus.<br />
Color<strong>it</strong>o verdastro, mela che non maturerà mai, Bébert.<br />
Si grattava e <strong>al</strong> vederlo, mi prendeva anche a me la voglia di grattarmi.<br />
Il fatto è che delle pulci ne avevo anch'io, è vero, beccate durante la <strong>notte</strong> sopra i m<strong>al</strong>ati.<br />
Quelle s<strong>al</strong>tano volentieri sul tuo cappotto perché è il posto più c<strong>al</strong>do e umido che hanno a tiro.<br />
Ti insegnano tutto quello in Facoltà.<br />
Bébert mollò il suo tappetino per s<strong>al</strong>utarmi.<br />
Da tutte le finestre ci guardavano parlare insieme.<br />
Fin tanto che bisogna amare qu<strong>al</strong>cosa, si rischia meno con i bambini che con gli uomini, uno ha<br />
<strong>al</strong>meno la scusa di sperare che saranno meno carogne di noi<strong>al</strong>tri più avanti.<br />
Non si poteva sapere.<br />
Sulla sua faccia livida b<strong>al</strong>lonzolava quell'infin<strong>it</strong>o sorrisetto di puro affetto d'affezione che non ho<br />
mai potuto dimenticare.<br />
Un'<strong>al</strong>legria per l'universo.<br />
Pochi esseri ce ne hanno ancora un po' passati i vent'anni di quest'affetto facile, quello delle bestie.<br />
Il mondo non è quel che si credeva! Ecco tutto! Allora, uno cambia faccia! E come! Visto che<br />
s'era sbagliato! La gran carogna che si diventa in men che si dica! Ecco quel che ci resta sulla<br />
faccia passati vent'anni! Un errore! La nostra faccia non è <strong>al</strong>tro che un errore.<br />
« Ehi, ecco che mi fa Bébert, Dottore! Non ne hanno forse tirato su uno a Place des Fetes<br />
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