Viaggio al termine della notte - L. F. Celine - Beneinst.it

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28.05.2013 Views

Louis Ferdinand CelineViaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ lei aveva fatto bene a concepirmi. E'il grande inganno dell'incuria materna, questa Provvidenza presunta. Mi era proprio facile d'altra parte non rispondere a tutte quelle menate del padrone e di mia madre, e non rispondevo mai. Soltanto che questo atteggiamento non migliorava nemmeno la situazione. Robinson aveva all'incirca rubato tutto di quel che aveva contenuto quel fragile insediamento e chi mi crederebbe se andavo a dirlo? Scriverlo? A che serve? A chi? Al padrone? Ogni sera verso le cinque, battevo i denti dalla febbre a mia volta, e di quella vivace, al punto che il mio letto cigolante ne tremava come quello di un vero segaiolo. Dei negri del villaggio s'erano impadroniti senza complimenti del servizio e della capanna; io non li avevo chiesti, ma rimandarli era già troppo sforzo. S'accapigliavano intorno a quel che restava della fattoria, smanacciando i barili di tabacco, provando gli ultimi perizomi, valutandoli, togliendoseli, contribuendo ancora se fosse possibile allo sfacelo generale della mia installazione. Il caucciù tutto per terra, strascicato, mescolava il suo sugo ai meloni di savana, a quelle papaye dolciastre dal gusto di pere all'orina, il cui ricordo, quindici anni dopo, tante ne ho mangiate al posto dei fagiolini, ancora mi nausea. Cercavo di calcolare a quale livello d'impotenza ero caduto ma non ci riuscivo. «Rubano tutti! » mi aveva ripetuto per tre volte Robinson prima di sparire. Era anche il parere dell'Agente generale. Nella febbre, quelle parole mi tormentavano. « Bisogna che ti arrangi! »... mi aveva detto lui ancora. Cercavo di alzarmi. Non ci riuscivo proprio. Per l'acqua che bisognava bere, lui aveva ragione, fango era, peggio, un fondo di pitale. Dei negroni mi portavano un sacco di banane, di quelle grosse, di quelle piccole e sanguigne, e sempre di quelle papaye, ma mi faceva talmente male alla pancia tutto quello e quant'altro! Avrei vomitato la terra intera. Appena mi sentivo di cavarmela un po' meglio, che mi trovavo meno stravolto, la paura tremenda mi riprendeva per intero, quella di dover mandare i conti alla «Société Pordurière». Cosa gli avrei detto a quella gente malefica? In che modo mi avrebbero creduto? Mi farebbero arrestare sicuro! Chi mi avrebbe giudicato allora? Dei tipi speciali armati di leggi terribili prese chissà dove, come il Consiglio di guerra, ma di cui non ti dicono mai le vere intenzioni e si divertono a farti rampicare, a perdendo sangue, il sentiero a picco sopra l'inferno, la strada che conduce i poveri alla morte. La legge, è il grande Luna Park del dolore. Quando il poveraccio si lascia prendere da quella, lo si sente ancora gridare secoli e secoli dopo. Preferivo restare stranito là, tremante, a sbavare nei 40°, che esser costretto, da lucido, a immaginare quello che mi aspettava a Fort-Gono. Arrivavo a non prendere più chinino per lasciare che la febbre mi nascondesse la vita. Uno si sbronza con quello che ha. Mentre cuocevo a fuoco lento a quel modo, per giorni e settimane, i miei fiammiferi finirono. Ne mancavamo. Robinson non mi aveva lasciato dietro di sé che lo spezzatino alla bordolese. ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 116

Louis Ferdinand CelineViaggio al termine della notte.” ¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯ Ma allora di quello, posso dire che me ne aveva lasciato davvero. Ne ho vomitato delle scatole. E per arrivare a quel risultato, bisognava però ancora scaldarlo. Questa penuria di fiammiferi mi offrì l'occasione di una piccola distrazione, quella di guardare il mio cuciniere accendere il fuoco tra due pietre ad acciarino tra le erbe secche. E'guardandolo fare così che mi venne l'idea. Aggiungeteci molta febbre, e l'idea che mi venne prese una singolare consistenza. Malgrado fossi naturalmente maldestro, dopo una settimana d'applicazione sapevo anch'io, proprio come un negro, attizzare il mio focherello fra due pietre acuminate. Insomma, cominciavo a cavarmela nello stadio primitivo. Il fuoco, è il più importante, c'era pure la caccia, ma non avevo ambizione. Il fuoco di selce mi bastava. Mi ci esercitavo coscienziosamente. Non avevo altro da fare, giorno dopo giorno. Al gioco di ricacciare i bruchi del « secondario » ero diventato molto meno bravo. Ne schiacciavo molti di bruchi. Me ne disinteressavo. Li lasciavo entrare liberamente nella capanna, da amici. Sopraggiunsero due grandi uragani in successione, il secondo durò tre giorni interi e soprattutto tre notti. Si bevve finalmente pioggia in bidone, tiepida è vero, ma comunque... Le stoffe del piccolo stock si misero a sciogliersi sotto i rovesci, senza ritegno, le une nelle altre, una immonda mercanzia. Dei negri compiacenti cercarono anche nella foresta dei ciuffi di liane per ormeggiare la capanna al suolo, ma invano, il fogliame delle coperture, al minimo vento, si metteva a sbattere follemente sopra il tetto, come ali ferite. Ci si poté far niente. Tutto da ridere insomma. I neri piccoli e grandi si decisero a vivere nel mio sfacelo e con totale familiarità. Erano giulivi. Gran distrazione. Entravano e uscivano da casa mia (per così dire) come volevano. Libertà. Ci scambiammo dei gesti in segno di grande comprensione. Senza la febbre, mi sarei forse messo a imparare la loro lingua. Mi mancò il tempo. Quanto al fuoco con le pietre, malgrado i miei progressi, non avevo ancora imparato per accenderlo il loro sistema migliore, quello sbrigativo. Un sacco di scintille mi saltava ancora negli occhi e questo li faceva proprio sghignazzare i neri. Quando non ero ad ammuffire di febbre sul mio « smontabile », o a battere il mio accendino primitivo, non pensavo che ai conti della « Pordurière ». E strana la fatica che si fa a liberarsi dal terrore dei conti irregolari. Certo, dovevo aver preso quel terrore da mia madre che mi aveva contaminato con le sue tradizioni: « Si ruba un uovo... ________________________________________________________________________________________________________________________ Beneinst.it 117

Louis Ferdinand <strong>Celine</strong> “<strong>Viaggio</strong> <strong>al</strong> <strong>termine</strong> <strong>della</strong> <strong>notte</strong>.”<br />

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lei aveva fatto bene a concepirmi.<br />

E'il grande inganno dell'incuria materna, questa Provvidenza presunta.<br />

Mi era proprio facile d'<strong>al</strong>tra parte non rispondere a tutte quelle menate del padrone e di mia<br />

madre, e non rispondevo mai.<br />

Soltanto che questo atteggiamento non migliorava nemmeno la s<strong>it</strong>uazione.<br />

Robinson aveva <strong>al</strong>l'incirca rubato tutto di quel che aveva contenuto quel fragile insediamento e chi<br />

mi crederebbe se andavo a dirlo? Scriverlo? A che serve? A chi? Al padrone? Ogni sera verso le<br />

cinque, battevo i denti d<strong>al</strong>la febbre a mia volta, e di quella vivace, <strong>al</strong> punto che il mio letto<br />

cigolante ne tremava come quello di un vero segaiolo.<br />

Dei negri del villaggio s'erano impadron<strong>it</strong>i senza complimenti del servizio e <strong>della</strong> capanna; io non<br />

li avevo chiesti, ma rimandarli era già troppo sforzo.<br />

S'accapigliavano intorno a quel che restava <strong>della</strong> fattoria, smanacciando i barili di tabacco,<br />

provando gli ultimi perizomi, v<strong>al</strong>utandoli, togliendoseli, contribuendo ancora se fosse possibile<br />

<strong>al</strong>lo sfacelo gener<strong>al</strong>e <strong>della</strong> mia inst<strong>al</strong>lazione.<br />

Il caucciù tutto per terra, strascicato, mescolava il suo sugo ai meloni di savana, a quelle papaye<br />

dolciastre d<strong>al</strong> gusto di pere <strong>al</strong>l'orina, il cui ricordo, quindici anni dopo, tante ne ho mangiate <strong>al</strong><br />

posto dei fagiolini, ancora mi nausea.<br />

Cercavo di c<strong>al</strong>colare a qu<strong>al</strong>e livello d'impotenza ero caduto ma non ci riuscivo. «Rubano tutti! »<br />

mi aveva ripetuto per tre volte Robinson prima di sparire.<br />

Era anche il parere dell'Agente gener<strong>al</strong>e.<br />

Nella febbre, quelle parole mi tormentavano. « Bisogna che ti arrangi! »... mi aveva detto lui<br />

ancora.<br />

Cercavo di <strong>al</strong>zarmi.<br />

Non ci riuscivo proprio.<br />

Per l'acqua che bisognava bere, lui aveva ragione, fango era, peggio, un fondo di p<strong>it</strong><strong>al</strong>e.<br />

Dei negroni mi portavano un sacco di banane, di quelle grosse, di quelle piccole e sanguigne, e<br />

sempre di quelle papaye, ma mi faceva t<strong>al</strong>mente m<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la pancia tutto quello e quant'<strong>al</strong>tro! Avrei<br />

vom<strong>it</strong>ato la terra intera.<br />

Appena mi sentivo di cavarmela un po' meglio, che mi trovavo meno stravolto, la paura tremenda<br />

mi riprendeva per intero, quella di dover mandare i conti <strong>al</strong>la «Société Pordurière».<br />

Cosa gli avrei detto a quella gente m<strong>al</strong>efica? In che modo mi avrebbero creduto? Mi farebbero<br />

arrestare sicuro! Chi mi avrebbe giudicato <strong>al</strong>lora? Dei tipi speci<strong>al</strong>i armati di leggi terribili prese<br />

chissà dove, come il Consiglio di guerra, ma di cui non ti dicono mai le vere intenzioni e si<br />

divertono a farti rampicare, a perdendo sangue, il sentiero a picco sopra l'inferno, la strada che<br />

conduce i poveri <strong>al</strong>la morte.<br />

La legge, è il grande Luna Park del dolore.<br />

Quando il poveraccio si lascia prendere da quella, lo si sente ancora gridare secoli e secoli dopo.<br />

Preferivo restare stran<strong>it</strong>o là, tremante, a sbavare nei 40°, che esser costretto, da lucido, a<br />

immaginare quello che mi aspettava a Fort-Gono.<br />

Arrivavo a non prendere più chinino per lasciare che la febbre mi nascondesse la v<strong>it</strong>a.<br />

Uno si sbronza con quello che ha.<br />

Mentre cuocevo a fuoco lento a quel modo, per giorni e settimane, i miei fiammiferi finirono.<br />

Ne mancavamo.<br />

Robinson non mi aveva lasciato dietro di sé che lo spezzatino <strong>al</strong>la bordolese.<br />

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