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AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

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casolare di Mamma Rigby per la convenienza di poterlo indossare quando desiderava<br />

fare una grandiosa comparsa al tavolo del governatore.<br />

Per far paio con la giubba c’era un panciotto di taglia molto ampia, ricamato un<br />

tempo con fogliame color oro brillante come le foglie di acero in ottobre, ma che ora<br />

erano del tutto scomparse dalla trama del velluto. Poi c’erano un paio di calzoni<br />

scarlatti indossati un tempo dal governatore francese di Louisbourg, le ginocchia dei<br />

quali avevano toccato il gradino inferiore del trono di Louis le Grand. <strong>Il</strong> francese li<br />

aveva regalati a uno stregone indiano, che a sua volta li aveva barattati con la strega<br />

in cambio di un quarto di pinta di acqua di fuoco durante una delle loro danze nella<br />

foresta. Per di più, Mamma Rigby aveva scovato un paio di calze di seta e le aveva<br />

infilate sulle gambe della sagoma, dove apparivano inconsistenti come un sogno in<br />

contrasto con la legnosa realtà dei due bastoni che spuntavano miseramente dalle<br />

aperture. Per ultima, aveva messo la parrucca del marito defunto sul cranio pelato<br />

della zucca e aveva coperto il tutto con un polveroso cappello a tre punte sul quale<br />

era infilata la più lunga delle penne della coda di un galletto.<br />

Poi la vecchia aveva appoggiato la sagoma in un angolo della sua casa<br />

ridacchiando nell’osservare quella giallastra parvenza di viso con il suo nasetto<br />

elegante che svettava nell’aria. Aveva un aspetto soddisfatto di sé, e pareva dire:<br />

“Venite a guardarmi!”.<br />

«E meriti proprio di essere guardato, infatti!» esclamò Mamma Rigby ammirando<br />

la propria opera. «Ho creato molti burattini da quando sono una strega; ma credo che<br />

questo sia il migliore di tutti. È quasi troppo bello per essere uno spaventapasseri. Mi<br />

preparerò un’altra pipa piena di tabacco e poi lo porterò fuori nel campo di<br />

granoturco.»<br />

Mentre si riempiva la pipa, la vecchia continuò a guardare la figura nell’angolo con<br />

affetto quasi materno. A dire il vero, sia che fosse successo per caso o per abilità, o<br />

per effettiva stregoneria, c’era qualcosa di meravigliosamente umano in quella<br />

ridicola forma agghindata nella sua sdrucita eleganza; e quanto all’espressione,<br />

sembrava contrarre la superficie gialla del volto in un sogghigno bizzarro... qualcosa<br />

a metà tra il disprezzo e la derisione... come se si rendesse conto di essere una burla<br />

di essere umano. Quanto più Mamma Rigby lo guardava, tanto più ne era<br />

compiaciuta.<br />

«Dickon», gridò con voce acuta «un altro tizzone per la mia pipa!»<br />

Aveva appena detto quelle parole quando, come l’altra volta, in cima al tabacco<br />

apparve un carbone arrossato. Mamma Rigby aspirò profondamente e lasciò andare<br />

una lunga boccata nella striscia di sole mattutino che entrava prepotentemente<br />

dall’unico e polveroso vetro della finestra della sua casa. Le era sempre piaciuto<br />

aromatizzare il gusto della sua pipa col carbone ardente di quel particolare angolo di<br />

camino da cui appunto quello proveniva. Ma dove fosse quell’angolo o chi vi avesse<br />

prelevato il tizzone – se si esclude che il misterioso ambasciatore sembrava<br />

rispondere al nome di Dickon – non posso dire nulla.<br />

“Quel pupazzo laggiù” pensò Mamma Rigby, ancora con gli occhi puntati sullo<br />

spaventapasseri, “è un’opera troppo delicata per starsene tutta l’estate in un campo di<br />

granoturco a spaventare corvi e merli. È capace di cose migliori. Diamine, ho ballato

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