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AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

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cauti e sommessi, che provenivano dalla cabina in cui alloggiava il mio amico. Dopo<br />

essere rimasto in ascolto per qualche tempo e con la più grande attenzione, alla fine<br />

riuscii a comprenderne la causa: era il mio amico artista che cercava di aprire quella<br />

casa oblunga servendosi di uno scalpello e di un mazzuolo, quest’ultimo sicuramente<br />

avvolto – per attutire il rumore dei colpi – in qualche pezza di cotone o di lana.<br />

In questo modo fui in grado anche di poter discernere il momento in cui gli riuscì<br />

di schiodare il coperchio, che sentii poi sollevare e immaginai venisse posato sulla<br />

cuccetta inferiore di quella stanza. Quest’ultimo particolare, per esempio, lo arguii da<br />

alcuni leggeri colpi prodotti sicuramente dal coperchio che urtava contro gli spigoli di<br />

legno della cuccetta mentre l’artista cercava di posarlo con estrema delicatezza, non<br />

essendovi infatti alcun spazio possibile sul pavimento della cabina. Poi subentrò un<br />

silenzio di tomba, e non mi fu dato di udire altri rumori fin quasi all’alba, e questo<br />

ambedue le notti. Per essere precisi, qualcos’altro mi giunse alle orecchie, un suono<br />

così sommesso da risultare a stento percepibile e simile a un debole singhiozzare o a<br />

un flebile mormorio. Ma non è detto che quel rumore non fosse solo frutto della mia<br />

immaginazione. Ho già detto che sembrava, un singhiozzare o un sospirare, ma<br />

probabilmente non era né l’uno né l’altro, era forse soltanto un ronzio nelle mie<br />

orecchie. Senza dubbio il signor Wyatt, com’era del resto sua abitudine, stava<br />

semplicemente dando libero corso a uno dei suoi passatempi preferiti... lasciandosi<br />

andare a una crisi di entusiasmo artistico. Aveva aperto la sua cassa oblunga per poter<br />

ammirare una volta di più lo squisito tesoro d’arte che racchiudeva. E non c’era<br />

quindi assolutamente nulla di che singhiozzare per tale gesto. Quanto mi sembrava di<br />

aver udito non poteva quindi essere, torno a ripeterlo, che uno scherzo della mia<br />

fantasia, eccitata dall’ottimo tè verde del capitano Hardy. Prima che spuntasse l’alba,<br />

e in entrambe le notti di cui sto parlando, udii distintamente il signor Wyatt che<br />

rimetteva al suo posto sulla cassa oblunga il coperchio e riconficcava i chiodi negli<br />

stessi fori da cui erano stati precedentemente divelti, sempre servendosi dello stesso<br />

mazzuolo imbottito. A operazione compiuta, lo vidi uscire dalla sua cabina,<br />

completamente vestito, e dirigersi verso quella di sua moglie per chiamarla.<br />

Navigavamo ormai da sette giorni, e ci trovavamo già al larga di Capo Hatteras,<br />

quando cominciò a imperversare un fortissimo vento di sudovest. Eravamo comunque<br />

preparati a un siffatto cambiamento, perché già da qualche giorno il tempo era andato<br />

peggiorando. La nave venne preparata ad affrontare il maltempo legando ogni cosa<br />

tanto sopra quanto sottocoperta, e mentre il vento si faceva sempre più freddo e<br />

violento tutte le vele vennero ripiegate tranne quella di randa e il parrocchetto,<br />

entrambi però doppiamente terzarolati.<br />

In quest’assetto riuscimmo a navigare senza danni di rilievo per quarantott’ore: la<br />

nave dimostrò infatti un’eccellente tenuta anche in condizioni tanto avverse e non<br />

imbarcò acqua se non in minima quantità. <strong>Al</strong>lo scadere di quel periodo però la<br />

tempesta si trasformò in un violento uragano: le vele di poppa erano ormai ridotte a<br />

brandelli, e ciò ci lasciava in balia dei marosi mentre cavalcavamo onde di altezza<br />

prodigiosa che si susseguivano ininterrotte. La violenza del mare costò la vita a tre<br />

uomini dell’equipaggio che finirono fra i flutti insieme con la cambusa e la quasi<br />

totalità del parapetto di babordo. Ci eravamo appena ripresi da quel duro colpo,<br />

quando anche la vela della coffa di trinchetto si lacerò rovinosamente, costringendoci

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