AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

gallo, poi, era delizioso! Chic-chi-i-i-richì.!.. chi-chi-i-i-richì... chic-chi-i-i-ric-richì-ìì-ì-ì-ì!»
«Madame Joyeuse, vorrei pregarvi di mantenere un contegno più serio!» la
interruppe il nostro anfitrione, questa volta assai adirato. «O vi comportate come
conviene a una signora, o lasciate immediatamente questa stanza... A voi la scelta.»
L’anziana signora (che fui molto stupito di sentir chiamare madame Joyeuse, dopo
la descrizione di madame Joyeuse da lei stessa appena compiuta) arrossì fino alla
radice dei capelli e sembrò terribilmente confusa da quel rimprovero: abbassò subito
il capo e si astenne dal replicare sia pure una sola sillaba. Ma già un’altra e ben più
giovane commensale aveva ripreso il discorso interrotto. Era nientemeno che la bella
ragazza da me incontrata nel salottino!
«Oh, madame Joyeuse era una pazza!» esclamò la giovane. «Ma c’era invece
molto buon senso, dopo tutto, nelle opinioni di Eugénie Salsafette. Era una ragazza
molto bella e modesta, dall’aria grave e pensierosa, convinta che l’usuale modo di
abbigliarsi fosse del tutto sconveniente: riteneva infatti fosse preferibile vestirsi
ponendosi fuori dalle proprie vesti, e non certo dentro. È una cosa molto semplice da
fare, dopo tutto. Basta fare così... e poi così... così... così... e ancora così... così...
così... e poi...»
«Mon Dieu! Ma’mselle Salsafette!» gridò a questo punto una dozzina almeno di
voci in coro. «Cosa state mai facendo?... Fermatevi!... È più che sufficiente!...
Abbiamo capito tutti perfettamente come si fa!... Basta!... Basta!» e già numerosi
commensali erano balzati in piedi dai loro posti per trattenere ma’mselle Salsafette
dal mettersi alla pari con la Venere dei Medici, quando lo scopo venne prontamente
ed efficacemente raggiunto grazie a una serie di acute grida, di autentiche urla anzi,
provenienti da qualche punto del corpo principale di quel château.
I miei nervi, devo confessare, furono messi a dura prova da quegli urli, ma l’effetto
che ebbero sugli altri convitati fu veramente impressionante: credo di non aver mai
visto in vita mia un gruppo di persone ragionevoli così orribilmente atterrite. Si
fecero tutti pallidi come altrettanti cadaveri e si rincantucciarono nelle loro sedie
scossi da brividi e balbettii di terrore, con le orecchie ben tese a captare l’eventuale
ripetersi di quei suoni. E le grida tornarono a risuonare, almeno in apparenza più forti
e più vicine, e poi ancora una terza volta, ora assai prossime, e ancora una quarta
volta, ma con intensità adesso chiaramente in diminuzione. Poiché era ormai evidente
che il rumore stava allontanandosi sempre più, l’umore della compagnia si risollevò
immediatamente, riacquistando l’allegria e il piacere di raccontare aneddoti che
l’avevano fino a poco prima animata. A questo punto, mi arrischiai di chiedere quale
fosse la causa di tanto turbamento.
«Un’autentica bagatelle» mi rispose monsieur Maillard. «Noi siamo abituati a
questo genere di cose e non ci badiamo davvero molto. I pazzi, di quando in quando,
si mettono a urlare in coro, si eccitano l’un l’altro, come talvolta succede di notte con
i latrati dei cani. Talvolta però accade che questo concerto d’urli sia fatto seguire da
un simultaneo sforzo per liberarsi, ed allora, naturalmente, può capitare che sorga
qualche pericolo.»
«Attualmente quanti pazienti ospitate?»
«Al momento non abbiamo che una decina di ricoverati in tutto.»