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AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

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faccende, il giardino era completamente nascosto da un fitto intrico di ciliegi,<br />

sambuchi e lappole dagli alti gambi coperti di frutti rosati uncinati. Sopra quel<br />

groviglio di alberi e arbusti multicolori si allungava, a mo’ di tetto, una rete di<br />

luppolo selvatico rampicante, che si aggrappava alla’ staccionata e ricadeva<br />

insinuando i suoi viticci attorcigliati nelle macchie di campanule selvatiche. Oltre la<br />

staccionata, che formava la linea di confine del giardino, si estendeva una vera e<br />

propria foresta di erbacce incolte e lussureggianti, tutt’altro che piacevole a vedersi, e<br />

che a giudicare dall’aspetto avrebbe sbriciolato qualsiasi falce che avesse tentato di<br />

tagliare quegli enormi steli, tenaci e stopposi.<br />

Quando il filosofo cercò di superare la staccionata, i suoi denti e il suo cuore<br />

battevano con tanta violenza da spaventarlo. I lembi della sua lunga toga sembravano<br />

appiccicati al terreno, come se qualcuno ve li avesse inchiodati. Nell’arrampicarsi<br />

sulla barriera, gli parve di sentire una voce che gli rintronava nelle orecchie con un<br />

sibilo assordante, dicendo: “Dove avresti intenzione di andare?”. Homa Brut si tuffò<br />

tra le erbacce e partì di corsa, inciampando frequentemente in vecchie radici e<br />

calpestando parecchie tane di talpa. Vide che una volta uscito dalla distesa di erbacce<br />

avrebbe dovuto attraversare un campo, e che oltre quel campo c’era uno scuro<br />

boschetto di prugnoli, in cui si sarebbe trovato al sicuro, o almeno così pensava.<br />

Dopo averlo superato, prevedeva di poter imboccare in poco tempo la strada che<br />

conduceva dritta a Kiev. Attraversò il campo di corsa e si trovò nella folta macchia di<br />

prugnoli.<br />

Strisciò tra gli arbusti spinosi, lasciando brandelli di panno della toga su ogni rovo,<br />

e finalmente sbucò in una piccola conca. Un salice piegava i suoi rami fin quasi al<br />

suolo. Un ruscelletto luccicava, puro come argento. La prima cosa che Homa Brut<br />

fece fu stendersi per bere, poiché aveva una sete terribile. «Ah, buona quest’acqua!»<br />

disse, asciugandosi le labbra. «Potrei anche fermarmi qui un attimo a riposare!»<br />

«No, è meglio proseguire subito; verranno a cercarvi!»<br />

Quelle parole echeggiarono sopra la sua testa. <strong>Il</strong> filosofo si voltò a guardare... di<br />

fronte a lui, ritto in piedi, c’era Yavtuh. “Yavtuh della malora!” pensò il filosofo in<br />

un impeto di collera. “Potrei saltarti addosso e pestarti... E potrei ammaccarti quella<br />

brutta faccia e il resto del corpo con un randello di quercia...”<br />

«Non avreste dovuto fare tutta questa deviazione» riprese Yavtuh. «Avreste fatto<br />

meglio a seguire la strada che ho preso io, passando di fianco alla scuderia. È un<br />

peccato che abbiate rovinato così il vostro vestito. È stoffa buona, quella. Quanto<br />

l’avete pagata al metro? Comunque, ci siamo spinti fin troppo lontano... è ora di<br />

rientrare.»<br />

<strong>Il</strong> filosofo arrancò dietro Yavtuh, grattandosi. “Adesso quella maledetta strega me<br />

la farà pagare! “ rifletté. “Però, in fin dei conti, cosa vado a pensare? Di cosa ho<br />

paura? Sono o non sono un cosacco? Perbacco, ho già superato le prime due notti...<br />

Iddio mi soccorrerà anche nella terza. Quella dannata strega deve aver commesso una<br />

bella sfilza di peccati, a quanto pare, visto che il Maligno scatena un simile putiferio<br />

per lei!»<br />

Tali erano le riflessioni in cui Homa era assorto mentre entrava nel cortile.<br />

Tenendo alto il proprio morale con questi pensieri, chiese a Dorosh, che grazie<br />

all’intercessione del maggiordomo a volte aveva accesso alle cantine, di tirar fuori un

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