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AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

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«Ma davvero! Mi stupite, non c’è che dire.»<br />

«Ci siamo resi conto, signore», continuò con un sospiro «che era assolutamente<br />

necessario tornare ai vecchi sistemi. <strong>Il</strong> pericolo insito nel sistema della dolcezza era<br />

sempre presente e terribile, mentre i suoi vantaggi erano stati troppo sopravvalutati.<br />

Sono convinto, signore, che in questo luogo lo si sia sperimentato a fondo come mai<br />

in altri. Abbiamo tentato con ogni mezzo che ci suggerisse il nostro spirito<br />

umanitario, sempre illuminato dalla ragione. Sono veramente spiacente che voi non<br />

abbiate potuto visitarci prima, così da rendervi conto di persona della situazione.<br />

Presumo però che conosciate bene il metodo della dolcezza, anche nei suoi<br />

particolari.<br />

«No, affatto. Le informazioni che ho ricevuto erano tutte di terza o di quarta<br />

mano.»<br />

«Potrei allora definirvi il metodo, nelle sue linee essenziali, come un sistema per<br />

cui i pazienti vengono sempre ménagés, assecondati. Non contraddicevamo nessuna<br />

delle fantasie che potevano nascere dal cervello del pazzo. <strong>Al</strong> contrario, non soltanto<br />

le accettavamo, ma addirittura le incoraggiavamo; e proprio in questo modo siamo<br />

riusciti a ottenere le cure dagli effetti più durevoli. Non c’è argomento che<br />

maggiormente tocchi là debole ragione di un pazzo della reductio ad absurdum.<br />

Abbiamo avuto, per esempio, pazienti convinti di essere dei polli: in questo caso la<br />

cura consisteva nell’insistere sulla loro fantasia prendendola per realtà effettiva,<br />

accusando addirittura il paziente di stupidità perché non accettava di riconoscere sino<br />

in fondo le conseguenze di una situazione che doveva essere presa integralmente<br />

come realtà. A questo punto gli si rifiutava qualunque altro cibo che non fosse quello<br />

proprio di un pollo: in tal modo bastava un po’ di grano e di ghiaietto perché il<br />

miracolo si compisse.»<br />

«E bastava questa specie di acquiescenza?»<br />

«Certamente no. Facevamo anche molto conto su divertimenti di tipo assai<br />

comune, come la musica, la danza, gli esercizi ginnici in genere, le carte, un certo<br />

tipo di letture e così via. Fingevamo poi di dover curare ognuno di loro come fosse<br />

stato affetto da un comune disturbo di origine fisica, e la parola “pazzia” non veniva<br />

mai usata in nessun caso. Un altro punto fondamentale del sistema era quello di<br />

incaricare ogni pazzo della sorveglianza sulle azioni degli altri: infatti, mostrare<br />

fiducia nelle capacità intellettive e nella discrezione di un pazzo significa<br />

conquistarselo anima e corpo. In questo modo, inoltre, potevamo anche fare a meno<br />

di un dispendioso corpo di sorveglianti.»<br />

«E non vi serviste mai di punizioni di nessun genere?»<br />

«Nel modo più assoluto.»<br />

«Non fu mai necessario isolare i vostri pazienti?»<br />

«Molto raramente. Talvolta, quando la malattia di qualche soggetto in cura<br />

sfociava in una crisi o d’improvviso si scatenava in un eccesso di violenza, allora lo<br />

trasportavamo in una cella segreta, per timore che il suo disordine contagiasse gli<br />

altri, e ve lo tenevamo rinchiuso finché non ci era permesso di riconsegnarlo ai suoi<br />

parenti. Noi infatti non abbiamo nulla a che fare con i pazzi furiosi. In questi casi, di<br />

solito, il malato viene affidato agli ospedali pubblici.»<br />

«E ora avete cambiato tutto... credete in meglio?»

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