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AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

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questo proposito Hélène, mia cognata, ma di una cosa sono certo: sicuramente non<br />

sapeva regolare né far funzionare la pressa.»<br />

«Forse era stata regolata a quel modo la sera prima, alla fine del lavoro?»<br />

«Senz’altro no. La caduta non è mai a zero.»<br />

«Capisco. Potete sollevarla lentamente?»<br />

«No. La velocità di rialzo non è regolabile. Ma in ogni caso non è molto elevata<br />

quando il maglio è disposto per singoli colpi.»<br />

«Bene. Potete mostrarmi che cosa fare? Non sarà piacevole da guardare, sapete.»<br />

«No, no, non si preoccupi. Non avrò problemi.»<br />

«Tutto pronto?» chiese il commissario agli altri. «Bene allora, monsieur Delambre.<br />

Quando volete.» Guardando la schiena di mio fratello premetti lentamente, ma con<br />

fermezza, il pulsante di rialzo.<br />

<strong>Il</strong> silenzio insolito della fabbrica fu interrotto dal sospiro dell’aria compressa che<br />

premeva nei cilindri, un sospiro che ogni volta mi fa pensare a un gigante che tiri un<br />

respiro profondo prima di colpire con forza un altro gigante, e la massa d’acciaio del<br />

maglio tremò e poi si sollevò velocemente. Udii anche un rumore di suzione quando<br />

si staccò dalla base metallica e pensai che sarei stato preso dal panico quando vidi il<br />

corpo di André sollevarsi un poco e un debole fiotto di sangue riversarsi su tutta la<br />

massa in poltiglia scoperta dalla pressa.<br />

«Non ci sono pericoli che si abbassi di nuovo, monsieur Delambre?»<br />

«No... in nessun caso» mormorai mentre colpivo l’interruttore della sicura e,<br />

girandomi, vomitavo con violenza di fronte a un giovane poliziotto dalla faccia verde.<br />

Per settimane il commissario Charas lavorò sul caso, ascoltando, interrogando,<br />

correndo dappertutto, preparando rapporti, telegrafando e telefonando a destra e a<br />

manca. Più tardi entrammo in rapporti cordiali e lui ammise di avermi a lungo<br />

considerato come sospetto numero uno, ma che aveva finito con l’abbandonare l’idea<br />

non solo perché non c’erano indizi di nessun genere, ma anche perché non c’era<br />

neppure un movente.<br />

Hélène, mia cognata, rimase così calma durante tutta la storia che i dottori finirono<br />

per confermare quella che io avevo da tempo considerata come l’unica possibile<br />

soluzione, cioè che fosse pazza. Stando così le cose non ci fu naturalmente nessun<br />

processo.<br />

La moglie di mio fratello non tentò mai di difendersi in alcun modo e finiva con<br />

l’innervosirsi quando si rendeva conto che la gente la prendeva per pazza; e quella<br />

era naturalmente considerata una conferma che lo fosse per davvero. Ammise<br />

l’omicidio del marito e dimostrò con facilità di sapere come far funzionare la pressa;<br />

ma non disse mai perché, come e in quali circostanze aveva ucciso mio fratello. <strong>Il</strong><br />

grande mistero era come e perché mio fratello avesse così compiacentemente infilato<br />

la testa sotto il maglio, perché quella era l’unica possibile spiegazione di quella parte<br />

del dramma.<br />

<strong>Il</strong> guardiano notturno aveva udito la pressa colpire; l’aveva persino sentita due<br />

volte, dichiarò. Questo era molto strano e il contacolpi, che dopo il lavoro veniva<br />

sempre riportato a zero, sembrava dargli ragione dal momento che segnava il numero<br />

due. Inoltre, il capo officina responsabile della pressa confermò che dopo averla

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