AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)

affibbiò un colpo sonoro sul cranio calvo «il cervello era limpido e sveglio, io vidi e
non fu necessario fare deduzioni.»
«Se conoscete questo dottore», mi azzardai a dire, dopo una pausa alquanto
fastidiosa «devo dedurne che non condividete la buona opinione del nostro oste sul
suo conto.»
Fettes non mi prestò la minima attenzione.
«Sì», disse con improvvisa decisione «devo incontrarlo faccia a faccia.»
Vi fu un’altra pausa, poi una porta venne sbattuta con una certa violenza al primo
piano e sulle scale si udirono dei passi.
«È lui» disse l’albergatore. «Se vi spicciate, riuscirete a raggiungerlo.»
C’erano soltanto due passi dalla saletta alla porta della vecchia locanda del
George; l’ampia scala di quercia terminava quasi in strada; fra la soglia e l’ultima
rampa di gradini c’era spazio solo per un tappeto turco e nient’altro; tuttavia, questo
spazio ristretto era illuminato brillantemente ogni sera, grazie non solo alla lampada
sulle scale e a quella ancor più vivida sistemata sotto l’insegna della locanda, ma
anche alla calda luminosità proveniente dalla finestra del bar. In questo modo il
George si segnalava vistosamente all’attenzione dei passanti che transitavano nella
strada gelida. Fettes si diresse con passo saldo verso l’area illuminata e noi, che lo
seguivamo, vedemmo i due uomini incontrarsi, come aveva detto uno di loro, faccia a
faccia. Il dottor Macfarlane era agile e robusto, con candidi capelli che ne mettevano
in risalto il viso pallido e tranquillo ancorché energico. Era vestito eloquentemente,
con un abito di finissimo panno nero e una camicia bianchissima, e portava una
pesante catena da orologio in oro; anche i gemelli ai polsi e la montatura degli
occhiali erano dello stesso prezioso metallo. Aveva una cravatta dal nodo grosso,
bianca e punteggiata di lilla, e sul braccio reggeva una comoda pelliccia da viaggio.
Non c’era dubbio che portasse molto bene i suoi anni, e inoltre emanava un’aura di
ricchezza e notevole sicurezza; era quindi un contrasto davvero sorprendente vedere
il nostro ubriacone – calvo, sporco, foruncoloso e curvo nel suo vecchio mantello –
fronteggiarlo dal fondo delle scale.
«Macfarlane!» esclamò con voce molto alta, più simile a un araldo che a un amico.
Il grande dottore si arrestò bruscamente sul quarto scalino, come se la familiarità di
quel richiamo avesse sorpreso e in qualche modo urtato la sua dignità.
«Toddy Macfarlane!» ripeté Fettes.
L’uomo di Londra quasi barcollò. Fissò per una frazione di secondo l’uomo che gli
stava davanti, si diede un’occhiata alle spalle con aria spaventata, e infine sussurrò
stupito: «Fettes! Tu!».
«Già», disse l’altro «in persona! Credevi che fossi morto anch’io? Non è facile che
la nostra conoscenza possa finire così.»
«Zitto, zitto!» esclamò il dottore. «Zitto! Questo incontro è talmente inaspettato...
vedo che sei solo. Sulle prime, devo confessarlo, quasi non ti riconoscevo; ma ora
sono lietissimo... lietissimo di questa opportunità di rivederti. Al momento però non
posso fare altro che dirti quanto sia felice di ritrovarti e salutarti, poiché la mia
carrozza mi sta aspettando e non devo assolutamente perdere il treno; ma tu devi...
vediamo... sì, devi darmi il tuo indirizzo, e puoi star certo che presto avrai mie
notizie. Dobbiamo fare qualcosa per te, Fettes. Temo che tu non navighi in acque