AA.VV. - Al Cinema Con Il Mostro (Ita Libro)
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infedeltà passeggere, che di tanto in tanto tirava fuori ed evidenziava con colpi<br />
malsicuri sul tavolo. Beveva rum: cinque bicchieri, regolarmente, tutte le sere, e per<br />
la maggior parte della sua permanenza notturna al George rimaneva seduto, con il<br />
bicchiere nella mano destra, in un malinconico stato di saturazione alcolica. Noi lo<br />
chiamavamo il Dottore, poiché si riteneva che avesse qualche particolare cognizione<br />
medica e perché si sapeva che in certi casi aveva saputo sistemare una frattura o<br />
ridurre una slogatura con uno strattone. Tuttavia, tranne questi particolari di scarso<br />
rilievo, non conoscevamo nulla della sua personalità né dei suoi precedenti.<br />
In una buia notte d’inverno – erano suonate le nove poco prima che l’albergatore si<br />
unisse a noi – al George alloggiava un malato, un importante proprietario dei dintorni<br />
che improvvisamente era stato colto da apoplessia mentre si recava al Parlamento. <strong>Al</strong><br />
suo capezzale era stato chiamato per telegrafo da Londra l’ancor più importante<br />
medico personale. Era la prima volta che a Debenham succedeva una cosa del genere,<br />
anche perché la ferrovia era stata inaugurata da poco, e ognuno era toccato<br />
dall’avvenimento, sia pure a modo proprio.<br />
«Lui è arrivato» disse l’albergatore non appena ebbe riempito e acceso la pipa.<br />
«Lui?» dissi io. «Chi?... il dottore per caso?»<br />
«In persona» rispose il nostro anfitrione.<br />
«Come si chiama?»<br />
«Dottor Macfarlane» disse l’albergatore.<br />
Fettes era ormai a buon punto con il suo terzo bicchiere e aveva un’aria fra lo<br />
stupido e l’annebbiato: scrollava ogni tanto la testa in avanti e si guardava intorno<br />
con occhi stupiti, ma a quell’ultima parola sembrò risvegliarsi e ripeté due volte il<br />
nome “Macfarlane”, prima abbastanza tranquillamente, poi con improvvisa<br />
emozione.<br />
«Sì», disse l’albergatore «si chiama proprio così, dottor Wolfe Macfarlane.»<br />
Fettes sembrò tornare immediatamente sobrio: i suoi occhi si risvegliarono, la voce<br />
divenne chiara e forte nonché salda, il linguaggio impetuoso e infervorato. Restammo<br />
tutti sbalorditi dalla trasformazione, come se un morto fosse risorto dalla tomba.<br />
«Chiedo scusa», disse «ma temo di non aver prestato molta attenzione alla<br />
conversazione. Chi è questo Wolfe Macfarlane?» Poi, quando ebbe ascoltato la<br />
spiegazione dell’albergatore, aggiunse: «Non può essere, non può essere... eppure,<br />
sarei contento di incontrarlo faccia a faccia».<br />
«Lo conoscete, dottore?» chiese l’imprenditore con un sussulto.<br />
«Dio me ne guardi!» fu la risposta. «E tuttavia è un nome abbastanza strano:<br />
sarebbe troppo pretendere che ve ne fossero due simili. Ditemi, padrone, è vecchio?»<br />
«Be’», disse l’albergatore «non è un giovanotto, questo è certo, e i suoi capelli<br />
sono bianchi, ma a vederlo sembra più giovane di voi.»<br />
«E tuttavia è più vecchio; più vecchio di diversi anni. Ma» e assestò un colpo sul<br />
tavolo «quello che vedete sul mio volto è il rum... il rum e il peccato. Quell’uomo,<br />
forse, potrà anche avere una coscienza a posto e una buona digestione. Coscienza!<br />
Statemi bene a sentire. Voi forse pensate che io sia stato un bravo, vecchio, moderato<br />
cristiano, vero? E invece no, non è così; non sono mai stato un ipocrita. Forse<br />
Voltaire l’avrebbe fatto, se si fosse trovato nei miei panni, ma il cervello», e si